Gli occhi di Tammy Faye, la recensione del film con Jessica Chastain e Andrew Garfield

Gli occhi di Tammy Faye, la recensione del film con Jessica Chastain e Andrew Garfield

Di Lorenzo Pedrazzi

Non accade spesso che Hollywood esplori il mondo dei telepredicatori, fenomeno tutto americano che coagula in sé i risvolti più grotteschi della società statunitense. Il caso di Tamara Faye Messner e Jim Bakker, però, si presta benissimo alla narrazione preconfezionata dei biopic, la stessa che il cinema mainstream cuce attorno ai personaggi più discussi dell’immaginario collettivo: una classica parabola di ascesa e caduta rovinosa, con tanto di scandali sessuali a segnare la traiettoria della coppia. Gli occhi di Tammy Faye, ispirato all’omonimo documentario, sintetizza la vita della predicatrice nell’arco di circa trent’anni, dal college cristiano (dove conosce il suo futuro marito) alla crisi degli anni Ottanta, quando il loro impero mediatico crolla sotto il peso dei debiti e delle tresche di Jim.

L’insistenza sullo sguardo e sull’aspetto di Tammy Faye – evidente già nel titolo – non è casuale. Il belletto pesante e il trucco attorno agli occhi le valgono i rimproveri di professori e compagni d’università («Gezabele!» la chiama uno studente), ma contribuiscono al suo successo di icona popolare: una vera e propria popstar cristiana, immune alla retorica della morigeratezza e alle spinte conservatrici della chiesa. In tal senso, Tammy diviene una voce progressista in un’istituzione fondamentalmente reazionaria, e supporta la comunità LGBTQ+ fin dagli anni peggiori dell’epidemia di AIDS. La sceneggiatura di Abe Sylvia mette in luce proprio il contrasto tra una fede privata e libera, come quella di Tammy, e le imposizioni dogmatiche dell’establishment religioso, rappresentate dal pastore Jerry Falwell. A metà strada c’è Jim, anch’egli fautore di una visione originale (critica l’idea secondo cui i poveri dovrebbero accontentarsi della loro condizione, in cambio di una supposta grazia divina), ma interessato soprattutto al proprio tornaconto.

La deriva satirica del finale è il culmine del discorso: una vicenda del genere poteva capitare solo negli Stati Uniti d’America, paese dove religione, capitalismo e showbiz sono perennemente intrecciati, e tutto si trasforma in spettacolo. Peccato però che Sylvia e il regista Michael Showalter scelgano l’impostazione più convenzionale, non solo per la sopracitata parabola di ascesa e caduta (che comunque corrisponde alla realtà), ma per la timidezza con cui approcciano il soggetto: ipnotizzati dagli occhi di Tammy, si concentrano più sull’apparenza che sulla sostanza, sulle paillettes che sul lato oscuro di questo impero, o sulle ragioni del suo successo iniziale e del suo successivo fallimento. Poteva essere il Wolf of Wall Street dei telepredicatori evangelicali, ma preferisce fermarsi allo scintillante involucro esterno.

In compenso, Jessica Chastain e Andrew Garfield reggono tutto il film con classe straordinaria, nonostante il make-up prostetico ne alteri i lineamenti. Se Garfield lavora sugli istinti frustrati di Jim, Chastain si rende credibile nelle diverse fasi della vita di Tammy, operando una trasformazione che la allontana da qualunque suo ruolo del passato. Gli occhi di Tammy Faye è un palcoscenico che si illumina con la sua splendida interpretazione, proprio come accade nei sogni gloriosi di Tammy.

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