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La serie di Cuphead! – La recensione senza spoiler

Pubblicato il 18 febbraio 2022 di DocManhattan

A volte le sorprese, se non sono tutto, fanno comunque tanto. Nel guardare qualche giorno fa in anteprima La serie di Cuphead! (in originale The Cuphead Show!), la trasposizione animata del celebre videogame Cuphead, uscita oggi su Netflix, mi sono chiesto che effetto mi avrebbe fatto personalmente il tutto se del mondo di Cuphead non avessi saputo nulla. E la risposta è che, con ogni probabilità, l’effetto sarebbe stato quello provocatomi dal gioco, ormai quattro anni e mezzo fa. Ovvero la detonazione nella testa di una bomba allo stupore. Giusto con un sacco (ma un sacco) di imprecazioni in meno.

TAZZINE D’ALTRI TEMPI

Facciamo un piccolo passo indietro. Un minimo di contesto per chi non sia patito dell’arte dello smanettamento videoludico o non abbia comunque il polso di ciò che va di moda in fatto di cultura pop: Cuphead è un videogioco di genere run ‘n’ gun (Metal Slug, Commando, Contra, Turrican… presente?) uscito nel 2017 per PC e Xbox One, e arrivato in seguito alla spicciolata anche sulle altre piattaforme. A renderlo da subito un successo furono lo spietato, bastardissimo livello di difficoltà e lo stile grafico adorabile. Un atto di amore, tutto animato a mano, nei confronti dei cartoon degli anni Trenta, come i lavori dei Fleischer Studios e del primo Walt Disney.

Era materiale perfetto, dunque, per chiudere il cerchio traendone una serie animata, ed anche se c’è voluto qualche anno, La serie di Cuphead! è esattamente questo. I fratelli tazzina, Cuphead e Mugman, creati da Chad e Jared Moldenhauer di Studio MDHR, in un loro cartoon da 12 episodi, che cerca di catturare lo stesso spirito del gioco. Ci riesce? Più o meno.

ISOLA CALAMAIO, SCONTI PER FAMIGLIE

Nonostante la serie veda gli stessi fratelli Moldenhauer come produttori, il target è più ampio rispetto al Cuphead da giocare su PC e console. Si è puntato dichiaratamente a un pubblico più vasto, e questo vuol dire che per quanto la trama di fondo sia a grandi linee la stessa di quella del videogame – invero esigua; del resto si trattava di un run ‘n’ gun, non di un’avventura – il mood è differente.

C’è sempre in ballo l’anima di Cuphead persa a un gioco con il diavolo, Satanasso Pigliatutto, anche se la dinamica dei fatti qui è diversa, e ci sono gli altri abitanti di Isola Calamaio, come Nonno Bricco, Re Dado, le rane pugili, Cotechino e il suo emporio, gli Ortaggiosi, eccetera. Quello che manca è quel taglio più cattivo, tipico dell’animazione anni Trenta, che il gioco riprendeva benissimo. Nella serie TV, invece, il tono è più innocuo, per tutta la famiglia, e la cosa si nota.

RIDI, BRICCACCIO

L’altra faccenda che si nota è che l’umorismo delle gag, ne La serie di Cuphead!, non sempre funziona. Gli episodi sono tutti di breve durata: un quarto d’ora che, al netto delle sigle, si riduce a una decina di minuti ciascuno. Alcuni sono più divertenti (come quello del manico rotto), altri meno. C’è un minimo di trama orizzontale, ma quasi ogni puntata fa storia a sé. Le battute suonano di già sentito, e non spingono quanto potrebbero. Dispetti, cazzotti, bricconate e bricchi, ma nulla di nuovo.

Potrebbe sembrare una cosa voluta, visto che il punto di riferimento a cui si è guardato sono produzioni animate di novant’anni fa, ma non è così. Molti di quei vecchi cartoon usati come modello per le due tazzine con i guanti – Topolino, Felix il Gatto, Oswald, Gabby, etc – fanno ridere ancora oggi. Sono spesso, come dire, molto più feroci nel loro tipo di umorismo. Perché osavano più di quanto vediamo in questo show.

Si sarebbe potuto allora puntare comunque, pur nell’ottica di una serie family-friendly, su un tasso di follia più accentuato. Ma pure lì sembra che si sia andati avanti con il freno a mano un po’ tirato. E prima che qualcuno alzi l’indice per far presente che non è facile fare dell’ironia volutamente sgangherata con dei personaggi ispirati alle icone della Golden Age dell’animazione, sarà bene ricordare che lo si è fatto, in tempi recenti, pure con lo stesso Topolino. Con la serie Topolino (2013-2019) e con l’ancor più folle Il meraviglioso mondo di Topolino (partita nel 2020). Chi ha visto il folle episodio “Una serata di musica disco”, per dire, sa.

MA ALLORA, SE NON SONO UN FAN, LA GUARDO LO STESSO?

Decisamente sì. D’accordo, non tutto scorre come avrebbe potuto. Vale per le storie e vale marginalmente per il comparto visivo, per alcune inevitabili scorciatoie adottate: certi scenari e movimenti di camera tridimensionali fanno un pochino a cazzotti con lo stile generale come le due citate rane pugiliste, e si nota spesso che le animazioni sono realizzate sì a mano, come nel gioco, ma qui con il supporto del digitale. O ci sarebbe voluto il doppio del tempo.

Ma il resto è, visivamente, davvero splendido. Se si è fan di Cuphead, vedere le avventure di Cuphead e Mugman in mezzo a diavoli, fantasmi e scheletrini è una gioia per gli occhi, a prescindere dal resto. Se si è a digiuno del tutto, c’è in più l’effetto sorpresa. Il che ci riporta al punto di partenza. Potrebbe trattarsi del tipico esempio di una produzione perfetta, paradossalmente, per chi è un vero fan dell’opera originale e per chi non ne sa nulla. Con qualche sfumatura meno gioiosa per chi si trova in mezzo.

Vale, per tutti, che una serie con una tale personalità artistica, in cui ti capita peraltro di trovar citati vecchi comprimari di Braccio di Ferro e nella quale ogni cavallo è un parente stretto di Orazio, è un gran bello spettacolo.

Con un po’ di coraggio in più poteva venirne fuori un dannato capolavoro, ma anche così com’è, quei dieci minuti di contenuto per episodio scorrono piacevolmente. E quanto meno, a differenza del gioco, qui non ti viene ripetutamente voglia di lanciare il pad contro il televisore.