Craig Gillespie è una voce fuori dal coro

Craig Gillespie è una voce fuori dal coro

Di Giulio Zoppello

Pam & Tommy, ora disponibile su Disney+, ha sicuramente fatto sensazione, con il suo ritornare a quel sex tape, il più iconico di sempre ed anche il primo ad essere diventato virale grazie alla rete, che celebrò la distruzione del mito della Hollywood padrona del proprio storytelling. Grazie al talentuoso regista australiano Craig Gillespie, questa serie è stata anche l’occasione di decostruire la narrazione pop degli anni ’90, ma più ancora di mettere alla berlina la violenza insita nella società americana. 
Si tratta di qualcosa che in fin dei conti Gillespie ha sempre fatto per tutta la sua carriera, usando spesso la formula del biopic, riproducendo la realtà ma anche facendo appello alla fantasia, per parlarci dell’individualismo della società americana, della bugia dietro il mito del successo garantito, della differenza tra immagine e realtà.


Il recupero degli anni ’80

Gillespie è sicuramente un regista che fonda la sua cinematografia sul concetto di contrasto, di opposizione, crede nella negazione e assieme alla conferma dei topoi. 
Soprattutto è il sogno americano ad essere grande protagonista della sua cinematografia, basta pensare non solo a Pam & Tommy, ma anche a I,Tonya, Million Dollar Arm, Mr Woodcock o Lars e una ragazza tutta sua. In quasi tutti i suoi film abbiamo un protagonista alle prese con il sogno di trionfare, con la celebrità e il successo, con il doversi anche conformare a tutta una serie di diktat della società per quello che riguarda la sua immagine, il saper cogliere o meno delle opportunità avvelenate.

A conti fatti il suo è un cinema che strizza molto l’occhio agli anni Ottanta, il decennio più americano di sempre, con il suo trionfalismo, il machismo, il culto del successo e dell’eroe che il suo L’Ultima Tempesta portò verso lidi più realistici. Ma vi è anche una narrazione incredibilmente seducente accattivante, personaggi sorprendenti e una dimensione del sesso tra il plasticato e il giocoso.

I,Tonya e Pam & Tommy ne sono un esempio, ma lo è anche Fright Night, remake di un cult vampiresco del 1985, un mix perfetto di ironia, trasfigurazione e di quell’eccessivo stile kitsch-horror che tuttora rende le pellicole di quel decennio uniche nel loro genere.

Il più delle volte può sembrare quasi che Gillespie abbia un rapporto di amore e odio con i cardini della narrazione americana, sostanzialmente il suo cinema è una lente di ingrandimento su un corpo sottoposto ad autopsia. Emerge in lui una dualità, che lo fa sembrare sia affascinato che pieno di repulsione per i meccanismi interni alla narrazione e ai simboli culturali a stelle e strisce.
La sua visione della società americana è quella di una giungla selvaggia, caotica, abitata da gente sordida, moralmente infantile, con il mito della fama e del denaro, cresciuti con una concezione totalmente catodica della vita. Gli anni ’80, appunto.

La distruzione dell’American Dream

Million Dollar Arm, basato sulla vera storia di Rinku Singh e Dinesh Patel, i primi lanciatori indiani della storia del baseball americano, rappresenta forse un’eccezione, perlomeno in superficie. 
Sì, è vero, pare dirci Gillespie in questo film, l’America è ancora la terra delle opportunità, ma è anche un paese connesso alla chiusura mentale e culturale, preda di quel credo eccezionalista che la rende tutt’ora una realtà ostile ad ogni contaminazione esterna, a dispetto del mito del melting pot. Di base vige una sorta di regola pirandelliana per la quale ad ognuno è affidata una maschera, decisa dagli altri, molto spesso dai media o dal gruppo dominante, ed è molto difficile discostarcisi.

I, Tonya forse è la sua opera migliore, un biopic spietato, frizzante e dove lo sfondamento della quarta parete è sempre dietro l’angolo. Tonya Harding, talento cafone e brutale dei pattini, viene cresciuta da una madre dispotica e insensibile, per diventare una fuoriclasse del ghiaccio. Alla fine quando è arrivata a un passo dal realizzare quell’obiettivo, si trova però a finire strangolata da una relazione tossica e violenta, dai suoi peggiori istinti, ma soprattutto dai media che ieri come oggi, hanno bisogno di un cattivo o una cattiva, qualcuno che sia la perfetta contrapposizione ad un eroe funzionale al loro diventare il simbolo di tutti quei pregi che sono i soli a riconoscersi. 
Pam & Tommy, miniserie sul sextape più famoso di sempre, è una continuazione di tale dinamica semiotica e semantica, del paradosso di far cadere nell’ignominia lei, Pamela Anderson, sostanzialmente la Barbie 2.0 con cui ogni maschio sognava una possibile copulazione.

Quando quella avvenuta assieme all’allora marito Tommy Lee viene pubblicata nel primo caso di Revenge Porn che si ricordi, ecco allora che diventa la peccatrice, ancora più carne da macello per l’immaginario machista e possessivo di un paese che ha un rapporto assolutamente tossico con il sesso e l’eros. 
Un caso che sia Tonya che Pamela siano infine diventate nella vita reale un’attrazione a luci rosse per il pubblico adulto? No. E il regista australiano tale dimensione di anaffettività l’ha poi approfondita in quella piccola perla che fu Lars e una Ragazza Tutta Sua

Crudelia

Storie di donna

Gillespie ama gli spiriti solitari, i ribelli, i differenti dalla norma e per questo è anche immancabilmente un grandissimo narratore di storie al femminile. Il suo Crudelia non ha poi molti pregi che lo distinguono dagli altri live Action Disney, ma una cosa la può tranquillamente rivendicare: ha una protagonista femminile di grande complessità.

Crudelia, Tonya, Pamela, sono tutto tranne che donne allineate ai dettami della società, pur essendone in un certo senso anche manifestazione loro malgrado. Sono tutte diverse tra di loro, eppure hanno in comune una grande fragilità, un dolore, un’emarginazione che cercano di colmare nei modi sbagliati o più dannosi. Hanno tutte e tre a che fare con delle figure di riferimento tossiche, insensibili oppure scarsamente affidabili, che possono essere la madre, dei fidanzati disastrosi o una Baronessa crudele, ma più in generale è la società in cui si muovono a costringerle a diventare squilibrate, violente oppure ad essere schiave di una certa immagine, di una finalità che non è quella che magari vorrebbero tenere per sempre.

Sicuramente Gillespie è un regista che più che all’intreccio in sé, è sempre concentrato sui personaggi, sulla loro evoluzione, senza neanche per un istante cedere alla pessima tentazione di dare lezioni al pubblico, di voler per forza dirci che cosa è giusto o sbagliato. 
Gillespie è stilisticamente molto riconoscibile, ama il ritmo serrato, la regia dinamica e il montaggio frenetico, la  sovrapposizione, ma allo stesso tempo è freddo, è all’esterno, pare quasi prenderci per mano e portarci su di un tavolo operatorio, alla fredda disamina di un fenomeno.

Di certo, al netto di una certa incostanza nei risultati ottenuti, rimane uno dei narratori più fantasiosi, eccentrici e differenti dalla noiosa norma dei nostri giorni, soprattutto un autore che non ha problemi a mettere a disagio lo spettatore pur di dargli qualcosa di diverso.


LEGGI ANCHE: Sogno erotico americano: la recensione di Pam & Tommy

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