Come ti ammazzo il franchise: la recensione di Come ti ammazzo il bodyguard 2

Come ti ammazzo il franchise: la recensione di Come ti ammazzo il bodyguard 2

Di Marco Triolo

Come ti ammazzo il bodyguard 2: La moglie del sicario è finalmente uscito dopo mesi di attesa. Non ve ne eravate accorti? È perché il sequel di Come ti ammazzo il bodyguard non è arrivato nelle sale, ma su Prime Video.

Uscito in USA, e altri territori, la scorsa estate, Come ti ammazzo il bodyguard 2 è stato un discreto flop: costato 70 milioni di dollari, ha incassato esattamente quella cifra sommando il box office globale. Ha recuperato i costi? No, perché metà di quei soldi vanno agli esercenti. E dunque si configurava come il perfetto titolo da riservare allo streaming, in quest’era strana che stiamo vivendo. Il ritardo dell’uscita italiana si è quindi trasformato in una quieta uscita su Prime Video, dove il film potrà trovare un pubblico generico di persone che, scrollando la home page in cerca di una “roba” da guardare per passare quelle due ore senza troppi pensieri, lo selezionerà vedendo le facce di Samuel L. Jackson, Ryan Reynolds e Salma Hayek.

A questo punto sarebbe bello potervi dire che, contro ogni aspettativa, Come ti ammazzo il bodyguard 2 riserverà una bella sorpresa a chi lo sceglierà un po’ a caso. E invece tocca dire che il film di Patrick Hughes, che torna dietro la macchina da presa dopo il primo capitolo, è esattamente come lo abbiamo descritto in apertura: una “roba” per passare due ore. Un buddy movie estremamente generico e derivativo, che fa sembrare il primo un film molto riuscito. Perché sì, va detto che anche Come ti ammazzo il bodyguard (titolo italiano che già non aveva senso la prima volta e stavolta è totalmente fuori luogo) era un action movie banalotto e risaputo, ma tutto sommato aveva i suoi momenti. Specialmente grazie a un Sam Jackson a briglia sciolta, a cui avevano fondamentalmente detto “Fa’ quello che ti pare, basta che dici molte volte motherfucker”. Qui anche lui è non pervenuto, chiaramente annoiato e con gli occhi che guardano oltre l’obbiettivo, verso l’assegno che la produzione gli sventolava dietro le quinte.

Come ti ammazzo il bodyguard 2 è quello che succede quando un sequel viene fatto solo perché il primo film era andato bene e non ci sono grosse idee su cosa raccontare. Già il primo era costruito su degli archetipi generali del filone e non aggiungeva gran che, a parte le battutine di Ryan Reynolds e un minimo di alchimia tra i co-protagonisti; questo non ci prova nemmeno a trovare una storia interessante e si adagia sul classico cattivo bondiano che vuole far saltare in aria i poteri forti (un Antonio Banderas impegnato a interpretare un oligarca greco che parla in inglese con accento spagnolo). Siccome bisogna anche trovare un arco al protagonista, il Michael Bryce di Reynolds (sospeso dalla gilda dei bodyguard al termine del primo film e in cerca di redenzione agli occhi dei colleghi), ecco che gli sceneggiatori Phillip e Brandon Murphy inforcano la strada più ovvia e introducono il padre, o meglio il patrigno, di Michael, interpretato da un Morgan Freeman stanco e svogliato. Michael ha i classici daddy issues perché suo padre è il migliore bodyguard mai vissuto, e dovrà superare questa sua insicurezza se vorrà riottenere la licenza.

Nel frattempo, i coniugi Kincaid, Darius (Jackson) e Sonia (Hayek), litigano perché lei voleva una luna di miele e non è riuscita a ottenerla, e tentano di avere un figlio, spesso in presenza di Michael. Le situazioni imbarazzanti che emergono da questo scenario sono degne di un cinepanettone, così come l’umorismo e il tono generale dell’opera. All’action si preferisce spesso la commedia, la sceneggiatura vaga per l’Italia – dove è ambientata gran parte del film – e l’Europa, senza una direzione precisa e prendendo spesso scorciatoie troppo comode (il padre di Michael vive guarda caso in Toscana, a una distanza percorribile a piedi da dove il trio si ritrova).

Hughes riempie il ruoli collaterali di facce che funzionano, dal sempre gradito Frank Grillo e Tom Hopper di The Umbrella Academy. Quest’ultimo nei panni dell’unico personaggio vagamente interessante, un bodyguard eccezionale che Michael ammira e rispetta nonostante si trovino su fronti opposti.

Il tutto è girato in maniera professionale, ci mancherebbe altro. Patrick Hughes è ormai una sorta di automa ben programmato che viene chiamato a dirigere quel tipo di produzioni che coinvolgono ego molto importanti e in cui, dunque, bisogna timbrare il cartellino, puntare la macchina da presa con un minimo sindacale di decenza, e tornare a casa la sera senza disturbare. Non a caso Sylvester Stallone lo ha voluto alla regia di The Expendables 3 e, altrettanto non a caso, dirigerà per Netflix l’evitabile remake di The Raid.

Ma, quando si fa un buddy movie, l’ultima cosa a cui si deve puntare è essere dignitosi e professionali. Un buddy movie funziona se funzionano i personaggi e la dinamica tra di loro, da cui dipendono l’urgenza e la posta in gioco dell’azione. Se invece, come in questo caso, tutto è scritto col pilota automatico e un generatore di dialoghi e situazioni tipiche del genere, investire in loro e nella loro avventura diventa pressoché impossibile. Ryan Reynolds è ormai avvezzo a questo tipo di intrattenimento innocuo fatto con lo stampino, un po’ come Dwayne Johnson (e infatti i due si sono incontrati in Red Notice). Ma qui lo sforzo è davvero ai minimi storici, e quello che rimane è solo una serie di cartoline, un libro pop-up incapace di coinvolgere davvero. Più che un film, Come ti ammazzo il bodyguard 2 è un best of di altri film, creato appositamente per essere dimenticato dopo la visione, come un messaggio di Mission: Impossible che si autodistrugge.

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