Cinema roberto recchioni Attualità
La prima volta che il grande (relativamente) pubblico ha sentito la parola “metaverso” è stata sulle pagine del romanzo Snow Crash di Neal Stephenson, che da molti viene ritenuto come il canto del cigno della prima ondata del cyberpunk letterario. Partendo dalla geniale visione del cyberspazio creato da William Gibson, Stephenson si è spinto oltre, immaginando uno spazio virtuale molto più fisico, dove gli utenti, utilizzando degli avatar fantasiosi e colorati, potevano muoversi in veri e propri distretti digitali, popolati di negozi e attività. L’idea di Stephenson è stata poi esplorata ed espansa ulteriormente da Ernest Cline nel suo romanzo, Ready Player One. Essendo un fiero esponente della cultura post-moderna, un bravo osservatore del presente e un vero paraculo, Cline ha capito che se il metaverso di Stephenson fosse esistito realmente, non sarebbe stato popolato da avatar personalizzati e immaginifici, figli della creatività degli utenti, quanto da modelli presi dalla cultura pop preesistente: dalla DeLorean di Ritorno al Futuro a Voltron (nel film poi sostituito da Gundam). Questa intuizione non solo ha permesso a Cline di rendere la sua opera un cult per la Generazione X, ma ha anche consegnato alle grandi aziende tecnologiche l’idea decisiva per il futuro, la “next big thing” che tutti andavano cercando.
In estrema sintesi, l’idea di Metaverso che si sta imponendo è quella di uno spazio virtuale persistente e sincrono, dove gli utenti interagiscono tra loro e con l’ambiente in tempo reale. Un mondo in cui accadono cose, programmate (in quel caso si parla di eventi) o spontanee (nate dalle azioni e interazioni degli utenti) e dove vengono venduti, spazi, servizi e prodotti che possono essere acquistati con una moneta fittizia o reale.
È anche, almeno concettualmente, la fine dell’idea di sistemi chiusi e la creazione di un enorme ambiente unico in cui fare tutto. Non più tante app per mandare e-mail, una per scrivere i testi, una per giocare ai videogiochi e una per vedere i film o ascoltare la musica, quanto piuttosto un unico sistema in cui si possono fare tutte queste cose in maniera fluida e coerente.
Il Metaverso che verrà sarà inoltre un ambiente ibrido, capace di vivere e svilupparsi tanto in un contesto virtuale, quanto nel mondo del reale. In sostanza, ci sarà un Metaverso a cui tutti potremmo accedere in maniera convenzionale, osservando cioè la sua resa bidimensionale su un qualche tipo di schermo, e ci sarà un Metaverso VR, che ci farà immergere nel suo spazio grazie all’ausilio di visori per la realtà virtuale. Ma come sarà fatto questo Metaverso? Più o meno in qualsiasi maniera i suoi creatori vorranno, non essendo limitati da nessuna costrizione fisica.
Quello che è certo è che avrà una sua dimensione spaziale e che ci sarà data la possibilità di spostarci al suo interno per fare le cose che dobbiamo fare o raggiungere le attività che ci interessano.
In sostanza, se oggi vogliamo andare a fare shopping su Amazon, apriamo un’app, o clicchiamo su di un link o su una voce nella barra dei preferiti, o digitiamo l’indirizzo nel browser, giusto?
Tante maniere diverse, tanti dispositivi diversi, tanti programmi e tanti contesti diversi, per fare la stessa cosa. Nel Metaverso, invece, ci basterà accedere allo spazio virtuale e scegliere se muoverci “fisicamente” (per modo di dire) nello spazio per andare nel centro commerciale di Amazon o arrivarci direttamente con un “viaggio veloce” (proprio come nei videogiochi open world). Poi avremo la scelta di camminare in mezzo a dei “veri” (sempre per modo di dire) scaffali ricolmi di prodotti, o di interfacciarci con i soliti menù a cui siamo abituati. Oppure di scegliere una situazione ibrida tra questi approcci.
Volete un altro esempio?
Se oggi vogliamo guardare un film, apriamo Netflix (o qualsiasi altra piattaforma streaming di nostro gusto) e scegliamo un titolo da un elenco, per poi vedercelo sul nostro schermo (reale).
Nel Metaverso, invece, Netflix potrebbe essere rappresentato come un palazzo, o un quartiere, o un pianeta, in cui approdare per poi recarsi in un cinema iMax e guardare il film da noi prescelto su un mega-schermo virtuale, in mezzo ad altra gente che, come noi, sta facendo la stessa cosa. Noi potremmo quindi guardare il film in una gremita sala cinematografica virtuale… oppure no, e vedercelo come al solito, sul nostro schermo casalingo.
Un altro esempio ancora? Oggi, quando partecipiamo a una call online di lavoro, ci vestiamo decentemente, apriamo la piattaforma dove si svolge la riunione e ci sediamo davanti a una webcam, pronti a guardare gli altri convenuti nella loro resa bidimensionale imposta dallo schermo. Se abbiamo bisogno di mandare qualcosa a qualcuno usiamo il sistema interno dell’applicazione che stiamo usando o ci affidiamo a qualche altro programma per il trasferimento di un file esterno.
Nel Metaverso, invece, potremmo indossare la nostra “skin” migliore e recarci “fisicamente” in una sala riunioni, dove con il nostro avatar scintillante ci siederemo a un tavolo virtuale assieme ad altri. E se per caso avessimo il bisogno di passare un documento a qualcuno di quelli che stanno vicino a noi, potremmo semplicemente porgerglielo, senza usare strumenti avulsi dal contesto e senza dover aprire applicazioni esterne
Sembra fantascienza, vero? In parte lo è, ma in parte non lo è per niente, perché esperienze del genere sono già possibili, più o meno.
L’idea di Metaverso non è nuova. Esistono e sono esistiti degli abbozzi di Metaverso nel nostro passato recente ed esistono anche nel nostro presente. Second Life o Sony Home non sono stati altri che primi esperimenti (falliti) che hanno provato a portare il Metaverso nelle nostre vite e non c’è MMORPG (Massively Multiplayer Online Role-Playing Game, gioco di ruolo multigiocatore in rete e di massa) che non contenga al suo interno dei concetti del Metaverso. Alla stessa maniera, Minecraft e Fortnite contengono al loro interno moltissime delle idee teorizzate da Neal Stephenson e da Ernest Cline. In tutti questi casi, però, non si parla mai di un contesto virtuale unico, totalizzante e universale, in cui un utente può compiere qualsiasi attività (ludica o professionale) che desideri, senza mai doverne uscire.
Discorso diverso per Roblox, invece, che sta proprio cercando di muoversi in tal senso, anticipando le intenzioni di Epic (che partendo da Fortnite, appunto, ha già una buona base), quelle di Microsoft e ovviamente, quelle del competitor più aggressivo di tutti: Mark Zuckerberg, che sul Metaverso sembra che stia facendo all-in, puntandoci sopra non solo le sue fortune ma il destino stesso della sua compagnia.
I motivi per cui Zuckerberg sta spingendo così tanto sul Metaverso, al punto di cambiare il nome di Facebook (la compagnia, non il social network) in Meta, sono molteplici:
– Perché Facebook (questa volta inteso come social network), ha il futuro segnato dai dati demografici di chi lo utilizza ed essendo stato disertato in massa dalla Generazione Z, è destinato a diventare sempre più irrilevante per quelli che sui social network investono tanti soldi in pubblicità e comunicazione, fino a spegnersi lentamente (e vale la pena ricordare che Facebook è ancora il prodotto di punta e la principale fonte di introiti della società di Zuckerberg).
– Perché Zuckerberg ha un problema di immagine piuttosto grosso a causa dei numerosi scandali che hanno coinvolto la sua creazione e ha bisogno di distogliere l’attenzione dagli aspetti brutti della sua società e tenere agganciati gli investitori con la promessa di qualcosa di straordinario e dall’infinito potenziale economico all’orizzonte.
– Perché la pandemia ha convinto le grandi società (in special modo Meta) che nel futuro le persone saranno meno propense a una socialità reale, pur avendone ancora bisogno. Ai social network attuali manca una dimensione di “fisicità virtuale” che il Metaverso potrebbe invece garantire.
Quindi, chi riuscirà per primo a intercettare e interpretare al meglio questa istanza e bisogno, avrà in mano le chiavi del futuro (questo a patto che l’assunto a monte sia corretto e non una distorsione della bolla percettiva).
– Perché pur essendo allo stato attuale solamente una prospettiva futura, il Metaverso è già in vendita, e se una cosa è in vendita, esiste un margine di guadagno a prescindere che poi diventi una realtà fattuale o meno. In poche parole, ci sono già aziende (a cominciare da Meta) che stanno vendendo e comprando terreni virtuali del Metaverso, aziende che stanno preparando tutta una serie di prodotti e servizi da spacciare ai consumatori e, in ultimo ma non meno importante, un’infinita quantità di nuovi spazi pubblicitari da affittare ai clienti e in cui far risaltare il proprio marchio.
– Perché nessuno vuole essere come Darryl Zanuck, il produttore cinematografico che nel 1946 disse, a proposito della televisione, che presto la gente si sarebbe stancata di stare davanti a una scatola ogni sera, o come l’ingegnere informatico Ken Olsen, che nel 1977 disse che non c’era alcun motivo per cui una persona avrebbe voluto avere un computer in casa. Per ora, insomma, è meglio crederci, investirci dei soldi e magari sbagliare, che non crederci, perdere la possibilità di enormi guadagni e fare la figura degli idioti agli occhi della storia.
– Infine, perché molto probabilmente il nostro Mark crede davvero alla visione di un futuro dominato dal suo Metaverso. Ha cambiato il mondo con Facebook, perché non dovrebbe essere capace di farlo ancora?
Inoltre, il Metaverso immaginato dall’imprenditore non si limita al contesto virtuale ma tracima nel mondo reale. In sostanza, non saremo sempre noi a dover “entrare” nel Metaverso ma sarà anche il Metaverso a venire a farci visita nella nostra realtà.
Come? Usiamo gli esempi che facciamo prima:
Oggi, se usiamo un navigatore per raggiungere un luogo, siamo costretti a guardare uno schermo e ascoltare istruzioni audio. Grazie al Metaverso, invece, la strada giusta si illuminerà davanti a noi. Nel mondo reale, non in quello simulato.
Oppure: stiamo passeggiando (realmente) per il corso e vediamo un prodotto che ci interessa, però non abbiamo voglia di entrare nel negozio e chiedere al commesso ulteriori informazioni. Nessun problema, davanti ai nostri occhi appariranno tutte le cose che vogliamo sapere, compresa la storia produttiva del prodotto preso in esame e una comparativa sui prezzi di vendita.
O ancora: siamo ad un concerto, non nelle prime file, il palco è lontano e distinguiamo appena l’artista che si sta esibendo. Fortuna che sulla nostra testa si muove una gigantesca visualizzazione olografica dello stesso artista che ci permette di vederlo con chiarezza.
Zuckerberg è intenzionato a rendere possibile queste idee attraverso lo sviluppo e il potenziamento di tecnologie legate alla realtà aumentata già esistenti (come gli occhiali smart realizzati da Meta in collaborazione con Ray-Ban, già disponibili in commercio) e con lo sviluppo di nuove soluzioni, come le lenti a contatto smart e l’evoluzione delle nuove soluzioni olografiche (sulle stile di quelle stanno venendo implementate in alcuni parchi a tema della Disney).
Difficile rispondere.
I social network ci “servivano”?
Non proprio, eppure li abbiamo amati e resi parte della nostra quotidianità e oggi è difficile farne a meno. Di sicuro, alcune implementazioni del Metaverso potrebbero intercettare delle istanze di “socialità in sicurezza” che sono emerse negli ultimi due anni e certe innovazioni che il Metaverso ci promette potrebbero aiutarci in tanti contesti (da quelli lavorativi a quelli ludici, passando per la semplice quotidianità), eppure non posso nascondervi che io per primo (che sono un grande appassionato di tecnologia presente e futura) per quanto sia entusiasta all’idea di un ambiente digitale unico che mi permetta di fare tutto quello che faccio normalmente, senza dover mai cambiare il sistema di riferimento, non riesco a sopprimere una certa inquietudine rispetto allo scenario (un tantino alienante) che ci stanno proponendo grandi aziende. E anche un certo scetticismo nel vedere come questi costruttori del nostro futuro siano così convinti che nel futuro avremo tutti voglia di metterci un qualche dispositivo VR sulla faccia e poi andare al cinema con la nostra fidanzata tenendoci mano nella mano, lei a Trieste e noi a Salerno.
Forse sto diventando vecchio, ma quel futuro che mi è sempre piaciuto immaginare, non credo che mi piacerebbe davvero viverlo.