La predilezione di Kenneth Branagh per le riletture dei classici trova in Agatha Christie una sfida ben diversa dai suoi vecchi lavori shakespeariani, basati su opere divenute ormai universali (se non archetipiche). Già Assassinio sull’Orient Express esprimeva l’esigenza di mediare fra contemporaneità e tradizione, ma Assassinio sul Nilo compie un passo ancora più lungo, indipendentemente dal fatto che lo si apprezzi o meno.
Il prologo è già emblematico, in tal senso: assistiamo a un episodio cruciale nella vita di Hercule Poirot, durante la Grande Guerra, che contribuisce ad arricchirne il “mito” come personaggio seriale, quasi fosse una storia di origini. Branagh e lo sceneggiatore Michael Green si sforzano così di attribuire un passato al detective, con una caratterizzazione precisa e una spiegazione del suo formidabile intuito, legato a una sindrome ossessivo-compulsiva: insomma, un tipico approccio da giallisti contemporanei, pur basato sulle idee originali dell’autrice (anche nei romanzi Poirot è metodico e amante delle simmetrie). Qui lo vediamo alle prese con una crociera sul Nilo, organizzata dalla ricchissima Linnet Ridgeway Doyle (Gal Gadot) e dal neo marito Simon Doyle (Armie Hammer). La coppia è preoccupata dalla presenza di Jacqueline De Bellefort (Emma Mackey), ex fidanzata di Simon, che sembra intenzionata a vendicarsi di loro. Quando un omicidio sconvolge la vacanza, Poirot mette in azione il suo fiuto: come al solito, tutti sono sospettati.
Nella versione di Branagh, l’investigatore belga diviene un uomo più attraente, più agile, anche più portato all’azione, e Assassinio sul Nilo rispecchia questa metamorfosi: un eroe più coerente con l’immaginario dei blockbuster, da cui deriva anche la combinazione di set reali (splendida la nave con le sue superfici trasparenti) e panorami in CGI, a volte un po’ posticci. Non è il Poirot di Agatha Christie, è il Poirot della Hollywood contemporanea, con il suo gusto kitsch e idealizzante. Il film arranca nella lunga fase preparatoria che giunge all’omicidio, ma da quel momento in poi Branagh trova la quadra dei momenti di suspence, rendendo la narrazione bella tesa e appassionante. Le soluzioni di regia sono meno ardite rispetto ad Assassinio sull’Orient Express, ma si mantengono solide ed efficaci, soprattutto per come sfruttano gli elementi architettonici dell’ambientazione.
I cambiamenti nella trama e nei personaggi servono anche ad accogliere le spinte di un mondo in evoluzione, più aperto alla necessità di includere anziché di escludere. Se si accettano le regole del gioco – e di una rilettura figlia del suo tempo – Assassinio sul Nilo riesce quantomeno a offrire un buon intrattenimento.