The Book of Boba Fett: la recensione del terzo episodio

The Book of Boba Fett: la recensione del terzo episodio

Di Marco Triolo

Nel nuovo episodio di The Book of Boba Fett c’è del namedropping, una gang di bikers, ci sono mostri famigliari, guest star d’onore, inseguimenti e – sì, lo avevamo prospettato – meno flashback e più intrighi. Nonostante ciò, nonostante succeda più roba in termini di trama orizzontale, l’episodio, intitolato The Streets of Mos Espa, è tutta una preparazione a quello che arriverà nella seconda metà della stagione, ovvero gli ultimi tre episodi.

Il piatto principale del menù, servito con abbondanza di contorni (fuor di metafora: cose “in più” ma comunque piacevoli da vedere, strizzate d’occhio all’universo di Star Wars e dettagli che fanno world-building con tocchi leggeri), è la traiettoria che porta finalmente Boba Fett a incontrare, anzi a identificare, i suoi veri avversari, quelli dietro all’attentato alla sua vita che abbiamo visto nel primo episodio.

Stavolta, come dicevamo in apertura, si ribalta la ratio tra flashback e trama “odierna”, e quello che vediamo nel passato di Boba si ricollega direttamente a quello che accade oggi. Ovvero: l’avversario che darà all’ex mercenario del filo da torcere viene dal suo passato su Tatooine. Il flashback serve anche in qualche modo a concludere il suo arco di maturazione, o guarigione, all’interno della tribù dei Tusken, aprendogli la strada verso una nuova fase che sarebbe culminata nell’incontro con Din Djarin e negli eventi mostrati in The Mandalorian. Resta da vedere se Jon Favreau – che scrive anche questo episodio – abbia l’intenzione di mostrarci altro, o se i flashback siano davvero conclusi.

Come già in The Mandalorian, Favreau costruisce lentamente una squadra intorno al protagonista: rivali diventano alleati e i reietti della Galassia ritrovano uno scopo nella vita lavorando insieme e costituendo una sorta di strana famiglia fuori dalla griglia della società. Anche qui c’è un interessante parallelo tra passato e presente: nel passato Boba era solo, oggi invece ha trovato dei compagni di viaggio, anche se con scopi tutt’altro che nobili. È una cosa molto americana questa: sia Boba che Mando partiranno pure dal cavaliere senza nome dei film di Sergio Leone, ma sostituiscono il cinismo del regista romano con una cucchiaiata di buoni sentimenti malcelata da una finta durezza in superficie. In un mondo senza regole in cui ogni uomo e donna è per sé e la famiglia di sangue è assente (l’America), non resta che costruirsela la famiglia.

Il passaggio dal western al crime movie come genere di riferimento porta con sé un atto finale incentrato su un inseguimento automobilistico, anziché sull’assalto al treno/diligenza dello scorso episodio. Robert Rodriguez torna alla regia e fa il suo lavoro, anche se, come in The Mandalorian e come nel primo episodio di Boba Fett, sceglie di adeguarsi al format invece di arricchirlo con i suoi guizzi personali. Rodriguez si concede giusto un omaggio al suo cinema, nella figura di una guest star d’eccezione (che magari avrà un ruolo ricorrente, chissà).

L’episodio dà ulteriore spazio a Black Krrsantan, il cacciatore di taglie Wookiee visto nella puntata precedente, che qui è utile anche per dimostrare ancora una volta come Boba Fett ragioni fuori dagli schemi. Il modo in cui Krrsantan esce di scena al termine dell’episodio ci fa pensare che lo rivedremo prima della fine.

Ma l’aggiunta più vistosa alla serie è certamente la gang di bikers che Boba assume come suo personale braccio armato. Un gruppo di cyborg ribelli con dei look anacronistici e delle moto colorate come i leoni di Voltron (o i Power Rangers, scegliete il vostro riferimento), pronti a tutto pur di guadagnarsi il pane (e l’acqua, che su Tatooine scarseggia).

Alla fine si resta con la sensazione di aver assistito a un prologo lungo tre episodi. E sì, può essere frustrante, considerando che siamo già a metà della (prima) stagione. Ma, ora che tutti i pezzi sono al loro posto sulla scacchiera, possiamo aspettarci che le danze inizino sul serio.

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