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Frenchie Ha: la recensione di Playlist

Pubblicato il 25 gennaio 2022 di Lorenzo Pedrazzi

Quanto a lungo si può parlare di Playlist senza tirare in ballo Frances Ha? Non molto, come dimostra la scheda critica che introduce il film su MUBI. Le assonanze tra l’esordio di Nine Antico e il cult targato Baumbach-Gerwig sono tante, ma c’è anche dell’altro: Playlist è infatti un’opera di riappropriazione culturale da parte del cinema francese, orgoglioso di rimettere la bandierina sulle palesi suggestioni cinematografiche (la Nouvelle Vague) che avevano ispirato il precedente americano. Senza contare che stavolta c’è Parigi al posto di New York, quindi il giro è proprio completo.

Comunque, la Sophie di Sara Forestier è davvero una cugina francese di Frances: ventottenne senza arte né parte, condivide un appartamento con un’amica e sogna di guadagnarsi da vivere con i suoi disegni, salvo ritrovarsi a lavorare per un editore di fumetti come segretaria. La situazione si complica quando Sophie resta incinta, e il ragazzo con cui aveva rapporti occasionali non vuole saperne di stare con lei. Altri uomini entreranno nella sua vita, formando un’ideale playlist umana (ebbene sì) che potrebbe anche tradursi in impulso creativo.

Nel delicato bianco e nero di Julie Conte si dipana una stralunata ricerca di sé, dove lo smarrimento e l’incostanza si confermano tratti distintivi della Generazione Y (non certo per colpa propria). L’abbiamo già visto non solo in Frances Ha, ma anche nel recentissimo La persona peggiore del mondo, altra riflessione profondamente generazionale. La regista e fumettista Nine Antico offre però una sua personale rilettura di questo percorso, e ha il merito di affrontare con naturalezza le più disparate sfaccettature che possono caratterizzare la vita di una donna: esemplare, in tal senso, il modo in cui viene trattata l’interruzione di gravidanza, senza ricorrere a melodrammi né tantomeno a moralismi. Anche perché Playlist è soprattutto una commedia dall’ironia pacata e surreale, talvolta un po’ straniante, dove un narratore extradiegetico (Bertrand Belin) interviene per dare lezioni sull’amore e sui rapporti di coppia che Sophie impara a proprie spese.

Ne deriva il ritratto di una ragazza tanto irrisolta quanto vitale, che non sa cosa vuole e si lascia trascinare dagli eventi: non a caso, comincia a farsi piacere un uomo solo se lui manifesta interesse per lei, sempre pronta a cominciare la storia della vita sulla base di un vago interesse reciproco. Efficace la trovata dei nomi degli uomini che vengono scritti sullo schermo, e poi subito cancellati quando le cose non vanno come dovrebbero: un espediente per nulla gratuito, ma che trova una piena giustificazione nell’epilogo. Nine Antico porta quindi a compimento il viaggio della sua eroina, un percorso formativo scalcinato, zoppicante e imperfetto come le prospettive della generazione che incarna. Anche per questo, non è affatto difficile entrare in empatia con le sue disavventure, filtrate da uno sguardo giocoso e disincantato: è lo stesso con cui molti di noi, volenti o nolenti, si relazionano al mondo.