Perché Don’t Look Up sta polarizzando così tanto critica e pubblico?

Perché Don’t Look Up sta polarizzando così tanto critica e pubblico?

Di Marco Triolo

Viviamo in un’epoca a dir poco divisiva, specialmente per quanto concerne la cultura popolare. È un discorso che abbiamo fatto altre volte, anche durante le nostre live su Twitch: Internet e la discussione sui social finiscono spesso per favorire le opinioni polarizzate, e per far perdere il terreno di mezzo delle opinioni ponderate. Insomma, tendenzialmente, su Internet un film o è un capolavoro o fa schifo, e non ci sono vie di mezzo, non c’è spazio per contrattare o discutere, magari anche in maniera costruttiva.

Il che è anche ironico se pensiamo che Don’t Look Up, uno dei film più discussi del momento, e uno dei più polarizzanti, tra le altre cose parla dell’incapacità endemica di ascoltare il prossimo e vagliare l’opinione altrui. Il film di Adam McKay, che ha debuttato l’8 dicembre nelle sale italiane e su Netflix il 24 dicembre, sta dividendo fortemente la critica internazionale, un po’ meno il pubblico. Su Rotten Tomatoes, il punteggio della critica è 56% (per il sito il film è “Marcio”), quello pubblico 77%. Il film non è sicuramente perfetto, è certamente troppo lungo e ha problemi di tono, ma è ugualmente difficile capire perché proprio Don’t Look Up, che non è un film di supereroi, non è tratto da alcuna saga letteraria celebre e, oltretutto, è “politicamente corretto”, stia causando tali reazioni contrapposte.

C’è chi lo ha accolto come “il nuovo Dottor Stranamore“, si parla di possibili candidature agli Oscar (e, d’altra parte, con un cast che include Leonardo DiCaprio, Jennifer Lawrence, Meryl Streep, Jonah Hill, Cate Blanchett, Timothée Chalamet e Mark Rylance, come non aspettarselo?) e dell’importanza del messaggio che veicola (una riflessione sulla crisi climatica per “interposta catastrofe”), mentre gli hater puntano il dito sulla metafora troppo didascalica, la pretenziosità, la durata eccessiva e il fatto che non faccia ridere come una commedia dovrebbe.

Arriviamo addirittura al grottesco se tiriamo in ballo la lettura che certi ambienti legati ai no-vax e ai complottisti ne stanno facendo: Don’t Look Up punta palesemente e senza dubbio alcuno il dito contro di loro e li percula allegramente per due ore e mezza. Eppure gli stessi lo stanno vedendo come un film sui “poteri forti” e su come ci tengano nascoste le cose per il loro personale tornaconto. It’s 2021 2022, baby.

Tutti quanti, comunque, per una ragione o per l’altra lo hanno guardato, e dalla sua uscita Don’t Look Up è il film più visto su Netflix a livello globale.

Ma perché Don’t Look Up sta dividendo così tanto?

Arriviamo dunque al punto cruciale della questione: perché Don’t Look Up sta creando questa polarizzazione? Partiamo dalla sintesi che Rotten Tomatoes fa dell’opinione della critica:

Don’t Look Up punta troppo in alto perché le sue frecciatine generalizzate possano funzionare costantemente, ma la satira popolata di star di Adam McKay centra il bersaglio della negazione collettiva in pieno.

Una frase che forse è anche troppo ottimista, considerando che invece la stampa sembra proprio dividersi sull’efficacia satirica del film. L’opinione diffusa è che il film accumuli troppe battute e situazioni, disperdendo così il suo potenziale e il suo messaggio. Un film che si crede più intelligente di quello che è, oltretutto.

A gettare benzina sul fuoco ci hanno pensato i diretti interessati, ovvero il regista Adam McKay e l’autore del soggetto David Sirota. Su Twitter, McKay ha scritto:

Adoro tutto questo dibattito acceso sul nostro film. Ma se non avete almeno un briciolo di ansia sul collasso climatico (o sul fatto che gli USA stiano vacillando) non credo che possiate capire Don’t Look Up. Sarebbe come se un robot vedesse una storia d’amore. “Perché le loro facce sono così vicine?”.

Sirota invece scrive:

Un film sul clima è il film più popolare sulla più grande piattaforma streaming del mondo. Questa è un’enorme vittoria. Se non potete almeno riconoscere questo, è facile scommettere che siete un personaggio del film.

Commenti che hanno ovviamente scatenato un mare di risposte polemiche, da parte di gente che, anche giustamente, ha fatto notare ai due come implicare che chi non ha amato il film sia per forza negazionista della crisi climatica è disonesto.

Messaggio e film sono due cose diverse

Ma forse il punto sta proprio qui. Perché di film che hanno diviso la critica pur avendo enorme successo e finendo per competere agli Oscar ce ne sono stati parecchi, ma non tutti scatenano un tale livore nei detrattori ed entusiasmo nei sostenitori. Questo succede ai film che hanno “un messaggio”, e Don’t Look Up lo ha, eccome. Ed è un messaggio fortemente legato all’attualità e a un tema già ampiamente dibattuto e divisivo di suo. È probabile che chiunque si avvicina al film si sia già fatto un’idea del fenomeno del riscaldamento globale e si approcci a Don’t Look Up con un’opinione ben precisa, politicamente schierata e inamovibile. Chi crede nella catastrofe climatica lo vede come un film profetico e importante, da mettere su un piedistallo. Chi invece la nega lo liquiderà come l’ennesima sparata “di sinistra”. Entrambi gli schieramenti lo useranno come prova della loro posizione e proseguiranno a vomitarsi insulti addosso.

Prova di questo è il fatto che, spesso, chi commenta una recensione negativa di Don’t Look Up non lo fa argomentando sul film, ma sul fatto che il recensore non ha capito il messaggio importante che il film intende veicolare. Prendersela con i critici perché hanno bocciato il film equivale, insomma, a perdere di vista il senso della questione: da un lato ci sono i temi del film, che sono indubbiamente importanti ed è positivo che un film se ne faccia portavoce e abbia così tanto successo, e ci mancherebbe altro! Dall’altra c’è invece un discorso critico sul film in quanto tale, sull’opera d’arte, che può essere riuscita o meno indipendentemente dal tema che veicola.

Ma questo è Internet. Un luogo in cui tutti possono parlare, ma dove ascoltare può essere difficile.

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