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Natale a 8 bit, la recensione

Pubblicato il 22 dicembre 2021 di DocManhattan

È proprio vero che non bisogna giudicare un libro dalla copertina. Anche quando non si tratta di un libro. E non c’è una copertina. Mi fossi fermato al titolo o ai primi dieci minuti di visione, durante i quali il nome “Nintendo” viene pronunciato molte più volte perfino rispetto a quanto accadesse nel film-spottone del 1989 Il piccolo grande mago dei videogames (The Wizard), avrei considerato probabilmente Natale a 8 Bit (8-Bit Christmas) un film ruffiano e basta. Una delle infinite produzioni simili degli ultimi dieci anni, armate di carta copiativa e citazionismo feroce. Tutto fumo nostalgico e poco arrosto. E invece è un film natalizio divertente. Un omaggio ai classici del genere, certo, ma con un suo perché. E alla fine ti sei ritrovato a guardare i titoli di coda con gli occhi lucidi. Niente di meno? Niente di meno.

C’è l’attore famoso il cui racconto a un bambino fa da cornice alla storia, ma questa volta non è l’ispettore Colombo che fa il nonno di Fred Savage, ma Neil Patrick Harris che deve raccontare alla figlia di quel Natale del 1988 e dell’avventura vissuta per ottenere il Nintendo a 8-bit che sognava. C’è la banda di ragazzini sfigati (tra cui uno che racconta un sacco di balle), vessati da un bullo e derisi da un adolescente ricco e viziato. E che i film Amblin e quelli arrivati in scia di questi ultimi siano l’ovvio punto di riferimento, Natale a 8 bit lo dice praticamente subito, piazzando un poster de I Goonies nella cameretta del protagonista, un ragazzino di nome Jake Doyle. Ma proprio quando inizi a pensare dopo qualche minuto che sia tutto già visto, e che l’unica cosa inconsueta sia presentare la prima console Nintendo come uno status symbol negli Stati Uniti di fine ’88 – il Nintendo Entertainment System era in vendita negli USA da anni e aveva piazzato già milioni di pezzi – Natale a 8 bit prende il binario giusto.

LA NOSTALGIA NEL MODO GIUSTO

C’è questa consapevolezza moderna, per cui si ironizza nel giusto modo su cose e miti dell’epoca, ribadendo ad esempio, sin da subito, che il Power Glove era un’incommensurabile, glorificata minchiata. La storia scorre, il ritmo è sostenuto e tutti i topos delle avventure in provincia dei ragazzini americani sfigati in cerca di gloria sono giocati bene, con un adeguato tasso di avventura, walkie-talkie, follia e una messa in scena che, in sprazzi da Scott Pilgrim vs. the World ad altezza di ragazzino, se ne frega del realismo. E così il Nintendo dell’espositore da grande magazzino si anima e parla, c’è lì alle medie un ripetente che avrà tipo vent’anni (l’attore ne fa diciannove la prossima settimana), e il padre dell’insopportabile Richie Rich di quartiere conduce una crociata personale contro i videogiochi a causa di un cane. Perché sono ricordi, no? E allora va bene tutto.

C’è una cura per il particolare, però, e lo vedi da quella transizione tra Paperboy, il gioco, e un vero paperboy, o dalla “firma” delle Cabbage Patch Kids. O da come si evita con un sorriso quella buccia di banana enorme che sarebbe stato quel certo pacco lì arrivato dall’estero. Ma al di là dei dettagli, quello che più conta, oltre a una storia scritta con mestiere – la sceneggiatura è di Kevin Jakubowski ed è tratta dal suo romanzo omonimo del 2013 – è che la nostalgia viene utilizzata in Natale a 8 bit nel modo giusto. Il che è buffo, perché non sembra esser stato capacissimo di farlo neanche Spielberg – con Ready Player One – pur essendo stato ai tempi regista o produttore di una fetta grossa così di quel tipo di immaginario, artefice dei film da cui tutto è partito e a cui tutti continuano a guardare, nel citare, ricitare, riricitare il pop degli anni 80.

SOGNI DI ROCK AND BIT

Il punto è che non basta buttare sullo schermo dei nomi e dei marchi, imbottire quegli anni 80 simulati di icone pop che in tale misura, e con tale feroce ubiquità, nei veri anni 80 non erano presenti in quei luoghi. Non basta mettere dei Casio con la calcolatrice ai polsi e citare i successi del grande schermo del periodo. Devi cogliere il senso delle cose, o altrimenti è solo colorata tappezzeria. E Natale a 8 bit non è un film che parla del Nintendo o della nostalgia per il Nintendo, ma di come tanti ragazzini di quell’età sarebbero stati disposti a vendere non dico la madre, ma un cugino sì, per aver una nuova console. Sostituite al NES il vostro primo home computer, o la vostra prima console, in quel periodo, e saprete ESATTAMENTE di cosa stiamo parlando. Quella storia del premio per le ghirlande? Già tanto che non sia partita una rivolta. Avrebbero avuto tutta la mia comprensione.

Ed è per questo che il film funziona e diverte. Ed è sempre per questo che quel finale ti coglie completamente di sorpresa, cacchio. Sarà che fra tre giorni è Natale, e quella scena lì, a tavola, pizzica tutta una serie di corde, producendo una musica che non sono ancora abituato a sentire. Non tutti lo vivranno nello stesso modo, certo, ma cavolo se è vera pure quella cosa, del film.

Diretto da Michael Dowse, Natale a 8 bit è uscito in America su HBO Max e da noi è disponibile in digitale, a circa 7 euro, su una lista lunghissima di piattaforme digitali, da iTunes e Prime Video a Chili, Rakuten e tante altre. Le trovate elencate tutte sul sito ufficiale di Warner.