Peter Jackson presenta Get Back: i Beatles come non li avevamo mai visti

Peter Jackson presenta Get Back: i Beatles come non li avevamo mai visti

Di Marco Triolo

Sono passati sette anni da Lo Hobbit: La battaglia delle cinque armate. Sette anni durante i quali Peter Jackson non ha più diretto film di finzione. Nel frattempo ha realizzato il documentario They Shall Not Grow Old e poi si è sostanzialmente chiuso in una sala montaggio, mentre fuori il mondo veniva travolto da una pandemia, e ha lavorato con pazienza al suo nuovo progetto.

Un progetto ambiziosissimo, che gli ha richiesto quattro anni di lavoro: The Beatles: Get Back, una sorta di versione estesa, “supercharged”, come la definisce lui, di Let It Be, il celebre documentario di Michael Lindsay-Hogg che ritraeva i Beatles durante le sessioni di prova e registrazione dell’omonimo album, uscito dopo lo scioglimento della band. Da un film di 80 minuti passiamo qui a una docuserie con episodi di circa due ore e mezza l’uno. Anche montando un documentario sui Beatles, Peter Jackson non può fare a meno di realizzare una trilogia con episodi lunghissimi. E sì, i Beatles avrebbero voluto interpretare Il signore degli anelli. Tutto torna.

The Beatles: Get Back arriva in un momento molto difficile per l’umanità intera, e nasce dall’amore di un fan sfegatato con l’intento preciso di donare un po’ di gioia al mondo. “Chi meglio dei Beatles potrebbe farci tornare il sorriso sul volto?”, si chiede Jackson durante la conferenza stampa online a cui ScreenWeek ha partecipato. “Quando ero piccolo i miei avevano circa una trentina di dischi, ma nessuno dei Beatles. Con un po’ di risparmi comprai le due compilation, i dischi rosso e blu. Quella fu la prima volta in assoluto in cui comprai un LP”, spiega il regista. “Sono un fan dei Beatles da allora”.

E solamente un fan avrebbe potuto realizzare questo documentario, facendosi strada tra circa 150 ore di registrazioni audio e 60 ore di video, materiale rimasto chiuso in un magazzino per 52 anni. Perché solo un fan avrebbe potuto “capire e decifrare alcuni dei riferimenti che fanno durante le loro conversazioni”. Conversazioni che, oltre a essere il punto focale dell’operazione, sono state in parte estrapolate grazie alle nuove tecnologie. “John [Lennon] e George [Harrison], in particolare, erano molto consapevoli del fatto che le loro conversazioni private stavano venendo registrate”. Per ovviare, “quando parlavano, alzavano il volume dei loro amplificatori e strimpellavano”. Con le tecnologie moderne, però, Jackson e la sua squadra sono riusciti a eliminare dal mix il suono degli strumenti, riportando alla luce le voci dei Beatles: “Mi sentivo come se stessi origliando, come la CIA, conversazioni di 52 anni fa”.

Guarda The Beatles: Get Back su Disney+.

Le riprese originali

Torniamo indietro un attimo fino al 1969, per capire il contesto di Get Back. Il 2 gennaio, i Beatles si riuniscono presso i Twickenham Film Studios, a Londra. L’idea è quella di comporre e provare una serie di nuovi brani per tenere poi, il 19 e 20 gennaio, un concerto dal vivo (per la prima volta dal 1966) durante il quale eseguire i brani e inciderli contemporaneamente per un disco. Il concerto verrà girato su un set e mandato in onda in TV. Come sappiamo, i piani sarebbero presto saltati: vuoi per la disorganizzazione, vuoi per le crescenti tensioni tra i quattro, vuoi per il precipitoso abbandono e il seguente ritorno di George Harrison (che Lindsay-Hogg non aveva potuto raccontare, ma che è presente in Get Back), i Beatles furono costretti ad abbozzare, a cambiare volto al progetto. Dopo un periodo molto difficile agli studi Twickenham, forniti in maniera praticamente gratuita dal produttore Dennis O’Dell, che stava producendo anche il film The Magic Christian (in Italia Le incredibili avventure del signor Grand col complesso del miliardo e il pallino della truffa) con Ringo Starr in un teatro di posa adiacente, la band decise di proseguire con le prove agli studi Apple e di concludere il tutto con l’ormai leggendario concerto sul tetto degli stessi.

La prima cosa che salta all’occhio – anche vedendo i 42 minuti di anteprima che Disney ci ha fornito – è la disorganizzazione che si percepisce tra i Beatles e i loro collaboratori. Lo spiega molto bene Peter Jackson:

L’ultima volta che avevano suonato dal vivo, avevano Brian Epstein che organizzava tutto, le camere d’albergo, i viaggi […]. Avevano Brian con loro, ma a questo punto lui era ovviamente già morto. E, quando andavano in studio a registrare un album, di solito avevano George Martin ad Abbey Road che organizzava le loro sessioni di registrazione. Ma qui stavano solo provando, non erano in uno studio di registrazione […]. In pratica si gettano in questo progetto senza la solita squadra di supporto. E a tutt’oggi, guardando i filmati, non riesco a capire chi avrebbe dovuto organizzare cosa. Sembrano pensare che ci sia un responsabile dietro le quinte, che suppongo fosse Dennis O’Dell, il produttore. Ma lui si sta anche occupando della pre-produzione di The Magic Christian, che sta per entrare in lavorazione. Quindi non è propriamente full time, è part time. Perciò, sì, è tutto abbastanza disorganizzato.

The Beatles vs. Michael Lindsay-Hogg

Un altro aspetto molto interessante che emerge è la sfida amichevole tra la band e il regista. Jackson spiega che i Beatles stavano pagando di tasca propria le riprese, e dunque desideravano essere ripresi. Ma non desideravano essere ripresi sempre: la loro idea iniziale era stata quella di filmarsi durante le prove per mandare in onda, prima dello speciale televisivo, un segmento di mezz’ora dietro le quinte. I Beatles erano da sempre molto attenti alla loro immagine e non avrebbero mai voluto far uscire dettagli controversi o esporsi per quello che davvero erano: quattro persone normali, con le loro idee e i loro conflitti. Eppure è esattamente quello che Lindsay-Hogg aveva intenzione di fare:

Michael sa che i Beatles sanno di essere ripresi. E intende tentare di filmarli e registrarli il più possibile senza che se ne accorgano […]. Per questo impiega alcune tecniche per tentare di filmarli in maniera spontanea.

Metteva la macchina da presa su un treppiede, […] il cameraman […] preparava l’inquadratura, schiacciava il pulsante e poi se ne andavano. Fingevano di andarsi a prendere un tè mentre la macchina da presa, con una pellicola da dieci minuti, filmava in silenzio. La macchina da presa aveva una lucetta rossa quando era accesa, così lui era solito coprirla con del nastro adesivo.

I Fab Four cercarono di arginare il regista senza mai dirgli di fermarsi, strimpellando, appunto, per non farsi sentire dai microfoni (problema ora risolto, sorry Beatles). Solo in un’occasione Paul McCartney chiese di fermare le riprese, senza sapere che i tecnici del suono, su ordine di Lindsay-Hogg, stavano proseguendo a registrare l’audio, che costava molto meno. “Una delle differenze chiave rispetto a Let It Be è che qui raccontiamo anche la storia di Michael Lindsay-Hogg mentre tentava di fare il film”.

“Pensiamo di conoscere i Beatles”

Peter Jackson spiega come realizzare questo film gli abbia fatto conoscere meglio i Beatles come singole persone. “Pensiamo di conoscere i Beatles”, afferma il regista, perché “abbiamo visto Tutti per uno e Aiuto!. Li abbiamo visti suonare” e “abbiamo visto le interviste e le conferenze stampa”. Ma tutte queste erano occasioni pubbliche, ovvero delle performance. Get Back, invece, dimostra come “il modo migliore per rivelare la verità su qualcuno è vedere come affronta una crisi”.

Questo è stato fondamentale per mettere in luce come ciascuno dei Beatles avesse un carattere diverso e diverse opinioni e ambizioni. “Pensiamo ai Beatles come a un’unità, ma qui vediamo che non lo sono. Sono solo quattro ragazzi. Quattro esseri umani diversi”. “Penso ai Beatles in modo molto diverso ora”, conclude. “Penso a loro come persone”. Oltretutto persone “piuttosto perbene e sensibili. Non c’è ego, non ci sono primedonne”.

Cosa ne pensano Paul e Ringo?

Jackson ha rivelato inoltre di aver mostrato il film a Paul McCartney e Ringo Starr e di non aver ricevuto “alcun appunto” da loro. Nessuna richiesta di modifiche, come accaduto invece a Michael Lindsay-Hogg, che si era trovato a dover accontentare i membri di una band allo sfascio e non aveva potuto nemmeno mostrare la breve uscita di scena di George Harrison. Jackson rivela la reazione dei due Beatles rimasti:

Paul […] mi ha detto che è un ritratto molto accurato di come erano all’epoca […]. Anche Ringo ha detto che è onesto. Credo che l’onestà fosse la cosa più importante per loro. Non vogliono essere addolciti. Disney voleva rimuovere le parolacce e Ringo, Paul e Olivia [Harrison, vedova di George] hanno detto “Noi parlavamo così. È così che vogliamo che il mondo ci veda”.

A proposito del sonoro

Infine, Peter Jackson ha rivelato come, al di là del restauro dell’immagine (ottenuto utilizzando gli stessi software sviluppati per i restauri di They Shall Not Grow Old), sia stato quello del sonoro la vera svolta tecnologica del progetto. Attraverso una tecnologia sviluppata per l’occasione, un software basato sull’intelligenza artificiale, la crew è stata in grado di dividere la traccia mono registrata all’epoca dai microfonisti (ricordiamo che si trattava di prove, non di sessioni di registrazione) in singole tracce, una per ogni strumento. Questo ha permesso anche di recuperare le famose conversazioni coperte dalla musica, e persino di dividere le voci dei singoli cantanti per ottenere un audio stereo più pulito.

The Beatles: Get Back arriverà su Disney+ il 25, 26 e 27 novembre. QUI potete vedere il trailer della docuserie, QUI una clip. QUI invece potete vedere una featurette dedicata ai luoghi del documentario oggi, e QUI un nuovo spot.

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