L’animazione targata Disney ha sempre esplorato i più diversi angoli del globo, ben prima che Hollywood diventasse sensibile – più per tornaconto che per sincero interesse – al dibattito sull’inclusività. Certo, un film come Encanto sarebbe stato molto diverso trent’anni fa, meno attento allo sviluppo dei personaggi femminili e al coinvolgimento di una quota “etnica” tra gli autori: in questo caso si tratta della cubana-americana Charise Castro Smith, co-regista e co-sceneggiatrice insieme a Byron Howard e Jared Bush, gli stessi dell’ottimo Zootropolis.
Alla base del soggetto, in effetti, c’è l’idea di rendere protagonista una famiglia latina, in modo non troppo dissimile da quanto fatto dalla Pixar con Coco. Qui il discorso culturale è meno complesso, ma Encanto sceglie comunque un’ambientazione geografica precisa: le montagne della Colombia, che nascondono il villaggio della famiglia Madrigal.
A illustrare il contesto ci pensa la protagonista, Mirabel Madrigal, con la voce originale di Stephanie Beatriz. Attraverso un numero musicale – perché di musical si tratta – Mirabel racconta che sua nonna Alma fuggì dal suo paese natale insieme al marito, che si sacrificò per fermare i loro inseguitori. Rimasta sola con tre gemelli neonati, grazie al potere di una candela magica Alma fondò un villaggio tra le montagne per dare rifugio ai suoi concittadini.
Al centro dell’insediamento c’è la casita dei Madrigal, un coloratissimo edificio che ha vita propria. Dal canto loro, i membri della famiglia vengono graziati con delle abilità speciali dopo un rito iniziatico che si svolge in giovane età. Isabela, sorella maggiore di Mirabel, è in grado di far crescere piante e fiori col solo pensiero, mentre Luisa, la sorella mediana, possiede una forza straordinaria. La zia Pepa può influenzare i fenomeni atmosferici con l’umore, il cugino Camilo è mutaforma, la cugina Dolores ha un udito sovrumano: insomma, tutti hanno un dono… tranne Mirabel, il cui rito fallì quand’era una bambina e nessuno sa perché. Senza poteri in una famiglia dove tutti sono speciali, la ragazza deve risolvere il mistero del profetico zio Bruno – scomparso da tempo – e impedire che la magia della candela si estingua.
Si capisce subito come lo sguardo resti pienamente americano, pur con tutta la buona volontà del caso. Hollywood tende a vedere le realtà straniere (soprattutto asiatiche e latine) solo come “folclore”, estrapolando aspetti generici di ogni cultura per farne un modello ideale, il più possibile esaustivo e rappresentativo. È curioso, poi, che il conflitto alla base della trama nasca da una concezione tutta statunitense: questo desiderio di essere “speciali” (peraltro in un contesto dove ognuno ha qualcosa di eccezionale) è figlio della medesima visione individualista su cui è costruita la società americana. L’abbiamo visto in molti film d’animazione, ma Encanto ha quantomeno il merito di valorizzare i legami interpersonali e la solidarietà umana, al di là della magia e dei superpoteri: ciò che conta, alla fine, è riconoscere le difficoltà altrui, dando ascolto alla parte più scomoda di chi ci sta vicino.
Alla scrittura del soggetto hanno partecipato anche Jason Hand, Nancy Kruse e lo stesso Lin-Manuel Miranda (autore delle canzoni), e il merito dell’intreccio è di cercare strade alternative rispetto alla solita opposizione protagonista/antagonista. Encanto preferisce lavorare sui rapporti familiari, sulle aspettative che le vecchie generazioni riversano sulle nuove, e sul percorso di un’eroina che cerca il suo ruolo nella diplomazia, più che nella magia. Non tutte le svolte narrative hanno una chiara giustificazione logica (talvolta gli autori si prendono qualche libertà), ma sono dettate da ragioni emotive o psicologiche: la magia si nutre infatti di sentimenti, è influenzata dagli stati d’animo e dai rapporti di forza tra i Madrigal. Sono parità ed equilibrio a generare armonia, non certo le vessazioni.
La musica è il mezzo con cui esprimere il proprio umore, il proprio disagio, i propri desideri: le scene cantate non fermano l’azione, ma rivelano sempre il lato nascosto di un personaggio, un retroscena o uno stato emotivo. In genere sono gradevoli e spassose (d’altronde, Miranda è una garanzia), anche se la più memorabile resta Colombia, Mi Encanto, il tema principale intonato dal colombiano Carlos Vives. Ne deriva uno spettacolo sontuoso, anche in virtù dell’animazione particolareggiata e sofisticatissima. L’esplosione di colori sembra quasi debordare dal quadro, e i momenti migliori del film sono quelli che celebrano la vitalità della natura.
Scomodare il realismo magico della letteratura sudamericana è forse troppo, ma è evidente che Encanto cerca di calare la magia in un clima di quotidianità, come dimostra la divertente invenzione della casita, che usa gli elementi architettonici e d’arredo per servire i suoi inquilini: miracoli della character animation, che attribuisce una personalità anche a oggetti inanimati privi di espressione. Sul piano dell’intrattenimento, come cura nel dettaglio e soluzioni estetico-musicali, è una gran festa.