Piazziamocelo subito, un bello SPOILER ALERT, così siamo tranquilli: se non avete ancora visto Venom – La furia di Carnage e/o Internet non vi ha già spoilerato quello che succede nell’ormai nota scena post-credits (mid-credits, a voler fare i precisini) del secondo film di Venom, fermatevi qui. In caso contrario, con me: dobbiamo parlare di quello che quel finale comporta, delle porte che spalanca, delle infinite possibilità a cui dà il benvenuto. Poi no, in realtà le possibilità sono essenzialmente due, ma “infinite possibilità” suona meglio.
E dunque. Quella stanza d’albergo che cambia, il telegiornale presentato da un certo tipo che conosciamo con tante J nel nome, il volto familiare di Tom Holland. Eddie Brock e il suo simbionte sono finiti nell’MCU, con tutta la stanza d’albergo. Questa tendenza continua alla serialità dei film, nella moda dei cliffhangeroni che fanno restare tutto il pubblico in sala anche quando sullo schermo scorrono ormai i nomi degli elettricisti e dei responsabili del catering, fa sì che a volte la cosa che piace e/o fa discutere di più di unl film sia proprio la scenetta dei titoli di coda. Non so voi, ma è la cosa che in assoluto ho apprezzato di più in Split di Shyamalan (che rimpatriata! Chissà cosa ne verrà fuori di figo e… no) o, per tornare ai film di super-eroi, in Deadpool 2 (la sequenza da titoli di coda più divertente di sempre?).
Con Venom – La furia di Carnage succede grosso modo la stessa cosa, perché è impossibile restare indifferenti davanti a questa convergenza di mondi. Il casino del multiverso scatenato da Loki ha prodotto conseguenze più vaste del previsto nel mondo di Spidey. Non solo in No Way Home ci sarà una rimpatriata di villain (e con ogni probabilità ragni) dalle incarnazioni Sony precedenti del personaggio, ma ora pure Venom è stato trascinato lì. E se c’è una cosa che è mancata ai primi due film del simbionte con la passione per i cervelli e la cioccolata, è stato proprio il rapporto con Peter Parker.
Non che di questa convergenza non avessimo visto in giro vari indizi, seminati nel corso dei mesi. Da quel poster nel trailer di Morbius a Tom Hardy immortalato con un cappellino da baseball con il logo di Spider-Man: No Way Home. Era già tutto lì. Il punto, semmai, è vedere quali scenari si aprono ora. Il “cambio di stanza” significa che gli eventi dei primi due film si sono svolti in un altro universo, e fin qui. Ma ora che Venom è arrivato nell’MCU, lo vedremo in No Way Home? O in Doctor Strange 2: nel Multiverso della Pazzia, diretto da Sam Raimi, che l’anno prossimo sarà verosimilmente chiamato a metter ordine a tutto questo pasticciaccio pandimensionale?
E dopo?
Tom Holland ha parlato di No Way Home, in questi giorni, come di una chiusura del cerchio per la saga del suo Peter Parker. Tanti credono a un possibile addio di Spider-Man all’MCU, per dar corpo all’SSU. Cioè al Sony’s Spider-Man Universe (SSU), che prima aveva l’improbabile nome di “Sony Pictures Universe of Marvel Characters” (SPUMC), e che ha in programma tutta una serie di altre pellicole legate a villain e comprimari del mondo dell’Arrampicamuri. Da Morbius (2022?) a Kraven il cacciatore (2023), oltre al progetto mai abbandonato di riunire i Sinistri Sei, e a quelli di Olivia Wilde per Spider-Woman, di Madame Web, eccetera. Il rapporto di Spider-Man con l’MCU è davvero destinato a concludersi? Conviene a Sony coltivare unicamente il proprio orticello? Si accantonerà questa che dall’esterno sembra decisamente una win-win situation sfornasoldi per le due major? Vedremo.
Quel che è certo è che prima dell’ultimo giro di giostra, Venom – il “protettore letale”, come si autodefinisce più volte nel film, citando il titolo della prima miniserie a fumetti di Venom, nel 1993 – parteciperà alla sagra. Speriamo solo non sia una sagra del cioccolato (o delle galline), o la festa potrebbe finire troppo presto.