Ultima notte a Soho – La recensione da Venezia 78

Ultima notte a Soho – La recensione da Venezia 78

Di Marco Triolo

Mentre cercavo di mettere in ordine le idee dopo la visione di Ultima notte a Soho alla Mostra di Venezia, mi è venuto in mente Salvate il soldato Ryan. “Che c’entra Salvate il soldato Ryan?” potresti chiedere tu, caro lettore. E non avresti tutti i torti. Perché iniziare un pezzo sull’ultimo film di Edgar Wright parlando di un film di Steven Spielberg uscito oltre vent’anni fa? Perché i due film hanno qualcosa in comune, a parte il fatto di essere stati presentati entrambi a Venezia.

Detto in parole molto semplici, entrambi iniziano come dei capolavori e finiscono “solamente” belli. Nel caso di Salvate il soldato Ryan, a quell’incipit epocale e devastante, con la ricostruzione dello sbarco in Normandia, seguiva un film che, pur rimanendo di alto livello, non si ripeteva più a quel livello. Nel caso di Ultima notte a Soho, una prima parte straordinaria lascia spazio a un horror/thriller sovrannaturale molto ricco e inventivo, ma piuttosto convenzionale nel plot.

Erano dieci anni che Edgar Wright tentava di fare questo film. Contiene tutto il suo amore per il genere horror, da Hitchcock a Bava, e, come ha spiegato in conferenza a Venezia, il suo amore/terrore per Londra. Ed è tutto lì, davanti all’obbiettivo. La fotografia di Chung-hoon Chung (Oldboy, It), virata nei toni del rosso, cattura una Londra tanto sontuosa e avvolgente quanto piena di terrificanti zone d’ombra. Ultima notte a Soho abbraccia lo spettatore e non lo lascia più andare. E il problema è che quell’abbraccio somiglia sempre più a una stretta mortale.

È ciò che prova la protagonista Eloise (Thomasin McKenzie), giovanissima aspirante stilista che approda a Londra con una borsa di studio, e finisce invischiata in una storia sovrannaturale che la lega a Sandie (Anya Taylor-Joy, dopo La regina degli scacchi, in un altro ruolo che unisce fascino e stile), aspirante cantante nella Swinging London degli anni ’60. Eloise è intrappolata in un’epoca che idealizza ossessivamente, dagli abiti alla musica, e scoprirà quanto sia pericoloso vivere nel passato.

Last Night in Soho

Proprio questo è il tema portante su cui Wright e la co-sceneggiatrice Krysty Wilson-Cairns basano il film: non basta una superficie attraente e seducente per rendere qualcosa migliore. Ciò vale per tutto, nel film, ed è questo processo di scoperta a fare da motore alle vicende di Eloise. Il fatto che Wright abbia scelto di raccontare questa presa di coscienza avvolgendo lo spettatore in una ricostruzione del passato tanto bella da essere commovente non è perciò un controsenso. Il regista vuole cullarci in una storia che sembra confermare questi stereotipi e poi strapparci il tappeto da sotto i piedi nel momento giusto. E questo funziona.

A funzionare un po’ meno è il campionario di trucchi e twist narrativi che a un certo punto si impadronisce del film. Sembra quasi che Wright e Wilson-Cairns non avessero una storia poi così originale da raccontare e abbiano deciso di raccontarla nel modo più originale possibile, tra scelte di regia e montaggio quasi sperimentali e scenografie e fotografia ricercatissime. Chiariamoci, il giallo alla base di Ultima notte a Soho non è banale, anzi: porta avanti una serie di temi molto attuali e azzecca una svolta molto forte nel finale. Ma, come nel caso di Salvate il soldato Ryan, non riesce mai a eguagliare, in termini di puro stupore e meraviglia, l’inizio.

Mi riferisco in particolare alla scena (visibile anche nei trailer) in cui Eloise si ritrova per la prima volta nella Soho degli anni ’60. Edgar Wright mescola musica e immagini in un crescendo travolgente. Wright è sempre stato un narratore visivo di talento, e negli anni ha affinato sempre più il suo mestiere. Da questo punto di vista, Ultima notte a Soho è forse il suo traguardo più alto e questa scena in particolare è forse il suo Everest. È la definizione stessa di cinema. E la maestria con cui Wright coordina tutti i reparti, coreografando e orchestrando ogni elemento per creare una singola opera d’arte di tale forza espressiva, è impressionante.

Ma forse quello che è il punto di forza di questa sequenza diventa, alla lunga, il punto debole di Ultima notte a Soho. Wright ci teneva talmente a questo progetto da averlo controllato un po’ troppo, confezionando un film indubbiamente bellissimo da vedere, ma che dimentica di abbinare a questo comparto visivo straordinario un plot altrettanto memorabile, ed è talmente ossessionato dalla perfezione formale da dimenticare che i capolavori si fanno anche con l’estro e l’imprevedibilità.

Comunque, magari non sarà un capolavoro, ma avercene di film come Ultima notte a Soho. Avercene di opere capaci di mescolare con questa scioltezza citazionismo e originalità, per raccontare paesaggi – urbani e umani – in modo così intenso attraverso il genere. Uscirete dalla sala forse un po’ esausti e frastornati, ma decisamente non indifferenti.

Ultima notte a Soho arriverà nelle sale italiane il 4 novembre, distribuito da Universal.

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