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Les Promesses – La recensione del film con Isabelle Huppert da Venezia 78

Pubblicato il 02 settembre 2021 di Lorenzo Pedrazzi

I funzionari pubblici godono di grande rispetto in Francia, e non sono circondati da quell’alone di sospetto che alimenta il nostro disincanto verso la politica. L’École nationale d’administration è uno dei punti di riferimento internazionali per la formazione dell’alta dirigenza transalpina, al punto da aver ispirato la creazione della nostra Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione negli anni Settanta. Di conseguenza, non è difficile immaginare per quale motivo l’anima di Les Promesses sia così intrinsecamente francese: in qualunque altro paese del mondo, lo stesso soggetto subirebbe un’evoluzione ben diversa. Più cinica e sardonica, forse, e meno connivente con le istituzioni.

Il rischio era palpabile anche qui, soprattutto considerando la fama di Isabelle Huppert (o meglio, i personaggi che solitamente interpreta). La sua Clémence, sindaca di un comune alle porte di Parigi, sta completando il secondo mandato prima di ritirarsi dalla carriera politica, e deve gestire un’ultima grana: il complesso residenziale Les Bernardines, disagiato e cadente, ha urgente bisogno di una ristrutturazione, e gli inquilini hanno smesso di pagare le spese per protesta. Clémence e il suo braccio destro, il direttore dello staff Yazid (Reda Kateb), cercano di ottenere i fondi del governo per i lavori, ma prima gli inquilini devono pagare gli oneri dovuti. Tra lotte politiche interne, offerte luciferine dai piani alti e piccoli criminali che affittano in nero, mantenere le promesse – e la propria integrità morale – non è affatto semplice.

Les Promesses parla proprio di questo: fino a che punto si può spingere il coraggio in politica? È possibile resistere alle sirene dell’ego e alle lusinghe del potere? Thomas Kruithof crede ancora nel “sistema”, purché sia mosso da individui onesti e flessibili. Il regista, in effetti, non si fa illusioni: sa bene che il compromesso è inevitabile per ottenere dei risultati più grandi. La sua sceneggiatura, scritta con Jean-Baptiste Delafon, costruisce un intreccio che sfiora le corde del thriller, ricco di personaggi e alleanze mutevoli. Può sembrare contorto, ma alla fine torna tutto: senza retorica né buonismi, Kruithof rimette il pragmatismo al centro del discorso. Per far funzionare il sistema, bisogna accettarne le regole.

Suona avvilente, eppure Les Promesses trova quel barlume di speranza che solo i francesi, con la loro fiducia nel senso civico, possono avere. Il valore aggiunto è nel rapporto fra Clémence e Yazid, giusto per ricordarci che il dato umano è il nucleo di ogni cosa, politica compresa. Kruithof gioca sulla tensione sessuale fra i due, ma in modo sottile, concentrandosi sul contenuto implicito dei gesti e degli sguardi. Ciò che ne risulta è un solido cinema borghese, vagamente paternalista (la classe dirigente sa sempre ciò che è meglio per la classe lavoratrice), ma lucido e rigoroso nelle sue riflessioni.