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Freaks Out è il primo vero blockbuster italiano: la recensione del film di Mainetti da Venezia 78

Pubblicato il 08 settembre 2021 di Lorenzo Pedrazzi

Ormai lo sappiamo: Lo chiamavano Jeeg Robot era solo l’inizio. Dopo aver dimostrato di saper rielaborare i modelli stranieri in un contesto italiano, Gabriele Mainetti porta il discorso su un livello ben più complesso e ambizioso, che spalanca il cinema italiano mainstream su orizzonti del tutto nuovi. Freaks Out è un film che assorbe le suggestioni della cultura pop internazionale, ma non le scimmiotta in modo acritico: al contrario, se ne appropria per lavorare autonomamente sull’evasione fantastica, sullo spettacolo visivo che rimanda al cinema delle attrazioni, pur senza dimenticare il cuore dei personaggi.

La combriccola superumana stavolta si moltiplica per quattro, ed è composta da Fulvio (Claudio Santamaria), Cencio (Pietro Castellitto), Mario (Giancarlo Martini) e Matilde (Aurora Giovinazzo). Questi “fenomeni da baraccone” lavorano nel piccolo circo di Israel (Giorgio Tirabassi), che li porta in giro nella Roma occupata del 1943. Ognuno di loro possiede abilità straordinarie: l’irsuto Fulvio ha forza sovrumana e sensi fuori dal comune, come una sorta di uomo lupo; Cencio può controllare gli insetti; Mario ha poteri magnetici; mentre Matilde genera elettricità come una dinamo vivente, ma è costretta a evitare i contatti fisici con altre persone. I quattro freak vivono alla giornata, finché un folle nazista di nome Franz (Franz Rogowski), che gestisce il vicino Zirkus Berlin, non comincia a dar loro la caccia per il bene del Terzo Reich.

L’incipit di Freaks Out è una sorta di dichiarazione programmatica: vediamo i nostri eroi esibirsi sulla scena con i rispettivi poteri, passando il testimone dall’uno all’altra. È spettacolo puro di immagini e musica, all’insegna di un cinema che – caso rarissimo in Italia – non si vergogna di suscitare meraviglia. Viene subito in mente Guillermo Del Toro, con le sue storie immaginifiche calate in scenari storici reali. Mainetti segue quel tracciato, ma resta anche fedele a un immaginario più ruvido e ben poco hollywoodiano, fatto di sarcasmo, turpiloquio e impulsi carnali. La cianografia dei blockbuster si traduce in un film che, pur essendo costato un decimo dei colossal americani, non prova alcuna soggezione nei loro confronti: anzi, dispiega mezzi tecnici di altissima qualità grazie alle scenografie di Massimiliano Sturiale, ai costumi di Mary Montalto e agli effetti visivi di EDI, curati da Stefano Leoni (già vincitore del David di Donatello per L’incredibile storia dell’isola delle rose). Ne deriva un racconto avventuroso che non soffoca mai le proprie mire spettacolari, sfociando in un grandissimo climax degno del migliore intrattenimento supereroistico.

Certo, c’è qualche lungaggine nella parte centrale, ma siamo di fronte a un film capace di riscrivere le ambizioni del cinema italiano mainstream, con tanti elementi nuovi da mettere in gioco, quindi è comprensibile. Anche le libertà di carattere storico, che possono sembrare un po’ eccessive nella caratterizzazione dei partigiani e del circo nazista, sono giustificabili all’interno di un contesto palesemente fantasy. Mainetti e Nicola Guaglianone (co-sceneggiatore e autore del soggetto) si dividono tra idee derivative, figlie degli X-Men e di Fenice, e altre più audaci e originali, in grado di spiazzare il pubblico. Il risultato è trascinante, poiché agevola l’empatia verso gli scapestrati protagonisti e recupera l’idea del “diverso” come individuo eccezionale, opposto alle vessazioni totalizzanti del nazismo. Non è una novità di per sé, ma funziona: Freaks Out diviene così il primo vero blockbuster italiano, e rappresenta una speranza per tutta l’industria cinematografica del paese. La prova che si possono inseguire modelli internazionali senza sacrificare la propria identità.