Trainspotting: il film di Danny Boyle, 25 anni dopo

Trainspotting: il film di Danny Boyle, 25 anni dopo

Di DocManhattan

“Scegliete una vita. Scegliete un lavoro. Scegliete una carriera. Scegliete una famiglia. Scegliete un maxi televisore del…” Ho rivisto Trainspotting giusto qualche sera fa e ieri una pagina FB mi ricordava che sono passati venticinque anni dall’uscita negli USA del film di Danny Boyle. Un quarto di secolo da quel monologo, snocciolato da Mark “Rent Boy” Renton (Ewan McGregor), mentre corre a rotta di collo. E un maxi televisore finalmente ce l’ho davvero, ma non credo sia questo il punto.

Trainspotting

MEGA MEGA WHITE THING

Ci sono film molto più vecchi di Trainspotting che pure sembrano più recenti, per il semplice fatto che non sono collocabili all’istante in un periodo così preciso. Ma Trainspotting di Danny Boyle no. Lo guardi e pensi immediatamente alla metà degli anni Novanta. Anzi, no: lo guardi e sei immediatamente nella seconda metà degli anni Novanta. Pure se non sei mai stato ad Edimburgo in vita tua, metti. Per come sono vestiti Mark e gli altri, per quello che dicono, per quello che si ascolta durante tutto il film. Una colonna sonora a base di Underworld (che ha proiettato “Born Slippy” in qualsiasi radio del pianeta, ai tempi), Blur, Pulp, Damon Albarn. Più 1996 di così, si muore.

È lì, grosso modo, che è iniziato tutto, dove per “tutto” intendo la mia fissazione per i film di Danny Boyle. L’avventura di questa banda di eroinomani scoppiati, Mark, Spud, Sick Boy e il suo pallino per Sean Connery e James Bond, Begbie e gli altri, mi ha gettato in un mondo di cui sapevo poco o nulla, più prossimo a dei tizi che vedevi girare in sala giochi qualche anno prima che a tanto altro cinema. Probabilmente perché a vent’anni non sapevo ancora nulla degli operai e dei disoccupati di Ken Loach.

Era divertente, ma anche terrificante, Trainspotting, e proprio per questo credevo funzionasse più di ogni spot contro la droga. Sì, nonostante quella storia dell’orgasmo moltiplicato per mille. Era la storia di una banda di disperati, legati nella misura in cui possono esserlo persone in quelle condizioni. “Eravamo tutti insieme, amici, la cosa aveva un significato. Un momento come quello può toccarti nel profondo, ma non dura a lungo, non quanto sedicimila sterline,” dice sempre Mark, al riguardo. E com’è andata con quella borsa da palestra lo sappiamo. “La verità è che sono cattivo. Ma questo cambierà,
io cambierò, è l’ultima volta che faccio cose come questa. Metto la testa a posto, vado avanti, rigo dritto. Scelgo la vita”. Senza dimenticare il maxi televisore del caz*o.

Trainspotting

LA STORIA DI UN MANCATO ELETTRICISTA

Era uno di quei film di cui ai tempi parlavano tutti, Trainspotting. L’avevano girato con un milione e mezzo di sterline, aveva incassato almeno trenta volte tanto. Tutto era nato dal romanzo omonimo di Irvine Welsh, uscito tre anni prima. Uno scozzese che aveva lasciato Edimburgo da ventenne, nel ’78, per vivere in prima persona la scena punk londinese, Welsh aveva smesso di fare l’elettricista da ragazzo dopo esserci quasi rimasto secco per un filo scoperto, e aveva collezionato una buona dose di piccoli reati, prima di decidere di darsi una calmata. Trainspotting, questa storia di amicizia, eroina e voglia di sfuggire a una vita deprimente, è il suo primo romanzo, ed è un successo.

Qualche mese dopo, il romanzo finisce nelle mani del produttore Andrew Macdonald, che accompagnerà la carriera di Danny Boyle e il debutto alla regia di Alex Garland con Ex Machina. Macdonald si affida al regista Danny Boyle, scozzese pure lui e all’epoca non ancora trentenne, con alle spalle il film Piccoli omicidi tra amici (Shallow Grave), interpretato, tra gli altri, da un giovane Ewan McGregor, e dal futuro Dottore Christopher Eccleston. La sceneggiatura di Trainspotting viene affidata a John Hodge, e pure lui aveva già lavorato con Boyle, sceneggiando Shallow Grave. Non è facile procurarsi un budget per un film del genere, ma Macdonald se li fa dare da Channel 4, l’emittente pubblica, che ha una sua divisione cinematografica, Film4 Productions e fa quello che dovrebbe fare un’emittente pubblica: finanzia il bello.

UN PO’ ALFIE, UN PO’ DRUGO

Per il ruolo di Mark Renton, Boyle vuole qualcuno che sia un qualcosa a metà strada tra l’Alfie di Michael Caine nel film omonimo e l’Alex DeLarge di Malcolm McDowell in Arancia Meccanica. Cioè “repellente ma con amabile, pronto a calarti in una sensazione ambigua quando lo vedi fare quello che fa”. Un risultato che viene ottenuto affidando la parte ad Ewan McGregor e facendogli rasare la testa e perdere 12 chili. Anche Keith Allen, come McGregor, veniva da Piccoli omicidi tra amici, e qui impersonava sostanzialmente lo stesso personaggio. Boyle pensa anche di richiamare Eccleston per Begpie, ma alla fine sceglie Robert Carlyle, apparso già in diversi film, tra cui Riff-Raff – Meglio perderli che trovarli di Ken Loach.

Diane è Kelly Macdonald; è una cameriera di un bar di Glasgow, finita al provino dopo aver visto un volantino, e negli anni avrebbe lavorato per i Coen, sarebbe apparsa in Soffocare, nella saga di Harry Potter, in Guida galattica per autostoppisti e in un sacco di altri film. Ewen Bremner viene scelto come Spud perché aveva già recitato nell’adattamento teatrale del romanzo di Welsh (solo che in quel Trainspotting da palcoscenico lui era Mark Renton), mentre Jonny Lee Miller diventa Sick Boy perché la sua imitazione di Sean Connery fa sbellicare Boyle. Kevin McKidd sarebbe finito in carriera nell’antica Roma e a fare il medico in un ospedale dove è pericolosissimo lavorare, e dove tutti pensano a copulare anziché salvare la gente.

Trainspotting

BUONA (PER FORZA) LA PRIMA

Boyle gira il tutto in sette settimane, in una fabbrica abbandonata di Glasgow, usando cioccolata per quelle scene dei, beh, peggiori cessi di Scozia. Tutto è talmente tanto girato in economia che è quasi sempre buona la prima. Presentato fuori concorso al Festival di Cannes, Trainspotting esce in sala il 23 febbraio nel Regno Unito, il 19 luglio negli Stati Uniti e poi alla spicciolata, nei mesi a seguire, nel resto d’Europa. Da noi debutta il 3 ottobre. Presentato negli USA da Miramax come il Pulp Fiction britannico, Trainspotting spopola anche lì, diventando uno dei maggiori incassi di tutti i tempi, Oltreoceano, per una pellicola prodotta nel regno di Betsy. È il film perfetto, in quel momento, perché tutti ascoltano quel tipo di musica e il femomeno Cool Britannia è all’apice, capitanato dagli Oasis quanto da Lara Croft.

L’anno dopo, agli Oscar, John Hodge riceve la nomination per la miglior sceneggiatura non originale. Lì inizia tutto, dicevo. Divento all’istante un fan di Boyle e ne seguo con vivo interesse la carriera, i salti da un genere all’altro. Una vita esagerata (A Life Less Ordinary, nel ’97, con McGregor e Cameron Diaz), poi The Beach con DiCaprio, che non piace a chi non è un devoto del dio videogioco, ok, succede. Poi Boyle con Alex Garland, l’autore del romanzo di The Beach, inizia a lavorarci e ne vengono fuori 28 giorni dopo e Sunshine. Qualcuno vi dirà che questo tuffo nell’horror e nella fantascienza è uno dei periodi probabilmente più fortunati nella carriera del regista, Trainspotting a parte. E quel qualcuno potrei anche essere io, diciamo. Di certo non lo è quel cacchio di Yesterday.

T2: Trainspotting

VECCHI IL GIUSTO PER IL SEQUEL

Intanto quella faina di Mark è diventato un maestro Jedi, anzi, uno dei più famosi maestri Jedi di tutti i tempi, e pure una delle cose migliori della trilogia prequel di Star Wars, e chi cavolo l’avrebbe mai detto. Sarebbe una chiosa già di suo passabile, l’ultimo rigo, per questa storia. Non fosse che nel 2017 salta fuori il sequel. T2 Trainspotting, che Boyle e Hodge mettono in piedi attingendo dal primo romanzo di Welsh e dal suo seguito del 2002, Porno. Scoprire cosa ne è stato, vent’anni dopo, di Mark e gli altri è stato come scorrere tra le pagine di un libro che non sei sicuro di voler comprare. Un po’ volevo sapere, un po’ no, mi andava bene il monologo finale di due decenni prima. Ma alla fine ha prevalso la curiosità, e mi sono divertito.

La rimpatriata, il nuovo giro in quell’ironico pessimismo, ha funzionato, pigiando sui tasti giusti. Boyle aveva in mente questo sequel da quasi dieci anni, ma per tornare a parlare di quasi-amici che si fregano soldi a vicenda ha aspettato che gli attori originali invecchiassero il giusto. Erano dei ventenni, allora. Oggi sono uomini di mezza età.

Ma, miseria ladra, vale pure per noialtri, il pubblico. Sei appena cresciuto, ragazzo, cose bianche mega mega. 

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