Masters of the Universe: Revelation, la recensione

Masters of the Universe: Revelation, la recensione

Di DocManhattan

Sono passati quasi quarant’anni, e per una volta non posso neanche uscirmene con il solito “Sembra ieri”. Perché non lo sembra affatto. Era il 1983 e questi nuovi giocattoli Mattel, la “collezione Masters, i Dominatori dell’Universo” colpirono con forza, attraverso i primi spot TV e le pubblicità su Topolino, l’immaginazione di noialtri ex ragazzini oggi quarantenni. La forza di un pugno caricato ruotando il busto e gridando “Io, He-Man!”. Erano ovunque, negli anni 80, i Masters of the Universe, con i loro castelli, le loro cittadelle del serpente con la voce scherzona, le loro cavalcature feline. Nei fumetti, in cartoleria, sugli zainetti, in mano ai ragazzini di tutta Italia e ai loro coetanei di ogni angolo del pianeta. Costavano poco, erano fighi e c’erano pure le loro avventure in TV, su Rete 4. Di He-Man e poi della sorella gemella She-Ra. Avevano una lore pazzesca e incasinata, i Masters, frutto di tanti giocattoli diversi, fantasy, sci-fi, a un certo punto pure preistorici, con gimmick via via più strambe, messi assieme come capitava. Il che è uno dei problemi principali quando, metti, una quarantina di giri della Terra attorno al Sole più tardi, uno come Kevin Smith pensa di riprendere il vecchio cartoon Filmation e crearne una sorta di seguito. Una nuova serie animata, Masters of the Universe: Revelation, di cui sono disponibili da oggi su Netflix i primi cinque episodi (di 10), rivolta espressamente agli ex ragazzini di cui sopra. Scopo: ripescarne personaggi e trame, mescolarli con tanto altro che dei Masters of the Universe è stato detto e creato nel corso di questi decenni, cavarne una storia avventurosa e drammatica. Per galvanizzare i vecchi fan di una vita. E magari farne inviperire, come uno degli Uomini Serpente, una parte.

Masters of the Universe Revelation recensione

LA FINE DELL’UNIVERSO

Tutto nasce, essenzialmente, perché Kevin Smith è uno di noi, un nerd fatto e finito. Ma pur sempre un nerd famoso, e così, quando si trova a parlare con Rob David, vice presidente di Mattel Television, di questa sua idea per dare un seguito all’He-Man a cartoni degli anni 80, beh, lo ascoltano. Tanto più quando i due poi scoprono che il responsabile delle serie originali Netflix, Ted Biaselli, è un tale impallinato dei Masters da considerarli “più sacri di Star Wars” e da averne tutta la collezione esposta in casa. Un uomo adulto, vergogna (seguono colpi di tosse simulati). Insomma, uno di noi pure lui. Il progetto prende il nome di The End of the Universe, perché lo spunto di Smith è proprio raccontare cosa è successo dopo la vecchia serie animata, He-Man e i dominatori dell’universo (He-Man and the Masters of the Universe), conclusasi nell’85. Ok, l’ennesima scazzottata tra He-Man e Skeletor, e poi? Ma, dicevamo, Smith e il team di sceneggiatori, tra cui Tim Sheridan e Marc Bernardin, non si sono limitati ad attingere dal cartoon Filmation. Masters of the Universe: Revelation è una strizzata d’occhio totale al mondo dei MOTU, che riprende volti, veicoli e sottotrame – adattandole come crede – dai minicomic, dalla serie animata del 2002, dai giocattoli.

Ogni episodio diventa così un pozzo di citazioni, di riferimenti, di prese in giro dell’odore di pino, da alberello per auto, che si porta dietro Moss Man. Ma anche di cameo che giusto i fan più scafati sono in grado di cogliere, in particolare nel quinto episodio. In un’intervista, Smith ha spiegato che per lui Revelation è come un film dell’MCU: gli easter egg li apprezzano solo i veri fan, ma non rovinano la visione a tutti gli altri.

Masters of the Universe Revelation recensione

…BUT SERIOUSLY

Il punto è che il cartoon Filmation, al di là del riciclo furioso delle animazioni, di quelle sequenze in rotoscope sempre uguali, frutto della necessità di tagliare i costi e spicciarsi, era una serie volutamente innocua. Completamente priva di vera violenza o di reali pericoli. Per evitare di finire coinvolti nelle polemiche – ai tempi piuttosto forti negli USA – sui cartoon violenti, He-Man si limitava per la maggior parte del tempo a proiezioni da arti marziali. Nessun essere vivente si faceva mai davvero male, si scassavano solo dei robot. E alla fine c’era pure il pistolotto educativo per sottolineare la morale della storia o spiegare ai giovani spettatori cosa si fa e cosa non si fa, non va bene. Man-At-Arms come Tata Lucia.

Rivolgendosi a un pubblico affezionato, sì, ma ormai adulto, Smith e gli altri avevano la necessità di drammatizzare il tutto, di imbastire una storia in cui i protagonisti, invece, si fanno male eccome. Una storia in cui si sorride, ma con un paio di momenti belli drammatici nel mezzo.

Non che in tutti questi anni non ce ne siano state, di storie dei Masters animate dallo stesso scopo. Tanti sono rimasti comprensibilmente ai giocattoli della loro infanzia e ai vecchi cartoon di He-Man e She-Ra, ma a riorganizzare il mondo dei MOTU ci hanno provato nel tempo in tanti, e con mezzi diversi. Fumetti, serie animate (il notevole, ma purtroppo poco conosciuto e fortunato reboot del 2002, intitolato sempre He-Man and the Masters of the Universe), biografie sulle nuove linee di giocattoli… In tutti i casi, si è provato ad andare oltre rispetto all’umorismo per bambini e alle figure di tolla di Skeletor e compagni, instupiditi da Filmation per renderli meno aggressivi. Non a caso, Masters of the Universe: Revelation parte proprio da quello. Ogni finestra affacciata sul passato ti porta in delle situazioni improbabili, su una scala da zero a Skeletor che si mette a fare il pirata in combutta con Mer-Man. Sfila gli occhiali dalla lenti rosa della nostalgia, ti dice, e ricorda che nessuno si rendeva conto che He-Man e Adam erano la stessa persona, e che Skeletor era il peggior capo che si potesse immaginare.

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UNA SINGOLA COSA MOLTO TOCCANTE

Per sottrarre questa rimpatriata a una semplice, nuova scazzottata tra buoni e cattivi, il pornografico Fisto, l’uomo puzzone Stinkor e il resto della banda, era necessario perciò articolare una storia diversa. Una storia che prende le mosse proprio da una mega zuffa di questo tipo – dopo una sequenza estremamente ruffiana, e perciò bellissima, che anima nei primi secondi degli art old school dei giocattoli – e poi cambiare nettamente registro. C’è un momento preciso in cui, mentre guardavo questi cinque episodi in anteprima, sono rimasto colpito da quanto stava succedendo sullo schermo. Quel singolo momento era, forse, la più toccante rappresentazione di quel personaggio che avessi mai visto. Ho immaginato Kevin Smith sorridente, in piedi sul mio televisore, come San Pietro nella partita di calcetto di Fantozzi.

Alla fine di questi primi cinque episodi, e in attesa di sapere quando arriverà l’altra metà, non è facile trarre delle conclusioni. Un po’ perché sarebbe come giudicare un film dal suo primo tempo, un po’ perché la visione ha suscitato nel cuore di questo vecchio fan ingrigito e con la casa piena di pupazzetti dei Masters vecchi e nuovi delle sensazioni contrastanti. Alcune scelte, pur coraggiose, mi sono piaciute, perché ne ho intuito e apprezzato il senso. Altre cose meno, a cominciare dalle animazioni, come temevo claudicanti in diversi punti. I personaggi che cambiano volto quando cambiano espressione, delle movenze a tratti (ma fortunatamente non sempre) legnose, quei veicoli in CGI mescolati male al resto… un po’ tutti i tratti distintivi della produzione dei Powerhouse Animation Studios, gli stessi ragazzotti texani di Castlevania e Blood of Zeus per Netflix, tra le altre cose.

Ho trovato nel complesso gradevoli queste puntate, il che già di suo è una notizia, vista la scimmia di proporzioni kaiju che mi aveva messo addosso la lunga attesa di Revelation. Ne è rimasta una discreta parte – di scimmia, intendo – per vedere come la storia proseguirà negli altri episodi. Peraltro, è uno di quei pochi casi in cui ho rivisto ogni episodio due volte per apprezzarne entrambi i doppiaggi. Il cast inarrivabile della versione originale (Mark Hamill, Lena Headey, Henry Rollins e tanti, tanti altri) e delle voci a cui sono affezionato per quella in italiano (come Maurizio Merluzzo, Fabrizio Mazzotta e la grande Cinzia De Carolis, che è tornata a doppiare Evil-Lyn!).

Solo che di tutto il resto è semi-impossibile parlare senza scendere nel dettaglio, perciò segue una sezione con SPOILER.

Masters of the Universe Revelation recensione

LA SEZIONE CON SPOILER, APPUNTO

Ripetiamolo, da qui in poi SPOILER. Ok? Ok.

Nella lunga vigilia, tra fan dei Masters of the Universe e nostalgici dei giocattoli, del cartoon (o più in generale degli) anni 80, era circolata sui social una voce insistente. Si diceva che in questa serie Kevin Smith avrebbe fatto accomodare He-Man in panchina, che la vera protagonista sarebbe stata la muscolosa Teela dei trailer. Il che aveva ovviamente provocato non solo una levata di scudi, ma il peana dei fan preventivamente incazzati. “L’infanzia rovinata” e tutte quelle storie lì, tirate fuori ogni volta che un remake, un seguito o qualsiasi altro ricaccione di una vecchia proprietà intellettuale devia di una virgola dall’originale. Ora, quella voce di corridoio era essenzialmente vera. La battaglia tra He-Man e Skeletor del primo episodio di Revelation genera un casino di proporzioni cosmiche, legato alla separazione in due metà (come nei primi giocattoli) della Spada del Potere, e toglie di mezzo il barbaro principe di Eternia e la sua nemesi faccia d’ossa. In realtà nessuno dei due è assente in questa prima parte della serie, perché il finale del quinto episodio rimette in pista entrambi, e He-Man, attraverso i flashback e l’allucinazione di Scare Glow, è comunque in ogni puntata. Il discorso è che spostare l’attenzione su Teela (ed Evil-Lyn. Anzi, una strepitosa Evil-Lyn, diciamolo) scatenerà praticamente subito, questa mattina stessa, i cori incazzati di cui sopra. Commenti sui social imbottiti delle parole “woke” e “tradimento”. Teela è pure interessata a una ragazza, ora? Urla scomposte sulla dittatura arcobaleno di Netflix, e altre stronzate simili.

È legittimo aspettarsi che una nuova serie sui Masters abbia He-Man come protagonista? Ovviamente sì. E incazzarsi se non è così? Beh, al di là del fatto che – ancora – stiamo parlando solo della prima parte di una serie, quei tre episodi lì senza He-Man un senso ce l’hanno, secondo me. Un modo per dare un senso al tutto, appunto, infilarci veicoli, luoghi e personaggi, dal playset di Eternia a Roboto, è raccontare un viaggio in cui si mette insieme il party di eroi. Con il topos dello stacco temporale per mostrare come il mondo (e chi lo popola) è cambiato in assenza dei suoi due leader. Cosa ne è di Eternia senza He-Man (e la magia)? Cosa ne è stato degli sgherri di Skeletor, senza più il culturista con la capa a teschio a tenerli uniti? Il viaggio di Teela, Evil-Lyn e gli altri, da questo punto di vista, funziona. Non avere le due figure più ingombranti sulla scena, permette di dare spazio a tutti gli altri. Di far vivere il summenzionato momento drammaticissimo a Orko, nello scontro con Scare Glow. E cavolo, lì mi sono esaltato e pure un attimo commosso. Con tutto che a me Orko, da bambino, faceva venire l’orticaria.

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ANCORA SPOILER – DI INFANZIE ROVINATE, PUNTI ESCLAMATIVI

Personalmente, le polemiche di quel tipo mi interessano quanto una gita in un parcheggio: mi aspettavo una nuova serie sui Masters of the Universe, che parlasse dei Masters of the Universe. E se mi dai Trap Jaw, Tri-Klops e gli altri, a me va bene. Se ci butti pure le citazioni da ultra-impallinati di quella banda di corridori lì, nella puntata cinque, pure meglio. Quello che verrà dopo, lo vedremo quando sarà il momento. E sì, la cosa di Skelegod ce l’aveva già spoilerata l’omonimo pupazzetto, in vendita da qualche settimana. Se però prima ho parlato di un lotto di episodi “gradevole” è perché i difetti pur non mancano. La “Rivelazione” attorno a cui è costruito il canovaccio, la scoperta (BUONGIORNISSIMO!) di Teela dell’identità segreta di Adam, tanto per iniziare, genera quel risentimento un po’ troppo forzato. Non so, si poteva scegliere forse un fulcro diverso. E se la deriva cultista di Trap Jaw e Tri-Klops è interessante, come l’azzerbinamento di Beast Man o le motivazioni di Evil-Lyn e Orko, non tutto gira al meglio. E visivamente ci sono delle parti zoppicanti, dicevamo, comprese tutte quelle facce un po’ così, di chi ha visto Eternia, dei personaggi sullo sfondo.

E sul fatto che Teela è invaghita chiaramente di Andra (tenente delle guardie di Re Randor nei vecchi fumetti Marvel anni 80 dei MOTU)? Vale lo stesso discorso dell’etnia diversa per la stessa Andra o per King Grayskull: oggi le serie sono più inclusive. E non è strano questo, eh, la cosa strana è che ci fosse un solo guerriero nero nei MOTU, Clamp Champ, e fosse uno stereotipo ambulante. Sono passati quarant’anni, e le cose cambiano. Tanto più se non stai facendo un cartoon anni 80 per bambini, ma una rimpatriata nostalgica per quelle stesse persone che ora sono, o dovrebbero essere, adulte. Si può capire la cosa, o si può continuare a gridare sui social che ti hanno “rovinato l’infanzia”. Ognuno sceglie come impiegare il suo tempo, ci mancherebbe.

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