Chi sarebbe Anna Frank oggi? Come raccontare la sua storia affinché possa arrivare con altrettanta potenza sia alle giovani generazioni che a chi, anche se adulto, forse non si rende conto che ancora oggi ci sono persone che vivono storie simili, forse neanche troppo lontano da noi? Sono queste, a prima vista, le due domande da cui è partito il regista israeliano Ari Folman per realizzare il suo Anna Frank e il diario segreto, presentato fuori concorso al Festival di Cannes 2021.
La storia è quella di Kitty, immaginaria amica di Anna Frank che diventa una persona in carne ed ossa, ai giorni nostri, svegliandosi nella casa museo di Amsterdam. Fa amicizia con un suo coetaneo, un giovanissimo borseggiatore che spesso ripulisce i tanti turisti che quotidianamente comprano il biglietto per vedere dove vissero la bambina e la sua famiglia prima della deportazione. Kitty crede che Anna sia ancora viva e così convince il giovane amico ad aiutarla nel mondo esterno per capire e vedere che fine abbia fatto. Purtroppo per lei la verità è inquietante e la lezione che ne sarebbe dovuta scaturire è stata forse già dimenticata dall’uomo…
Anna Frank e il diario segreto è il primo film mai realizzato con il sostegno dell’importante fondazione Anne Frank Fonds Basel fondata dal papà di Anna, Otto Frank, con i proventi del libro. Per realizzarlo il cineasta isreliano, già firma dello splendido Walzer con Bashir e nipote a sua volta di deportati nei campi di concentramento, si è avvalso degli splendidi disegni digitalizzati, più di 159 mila, dell’illustratrice Lena Guberman. Il progetto è durato diversi anni ed ha coinvolto, sul piano produttivo, una decina di Paesi. Insomma, c’erano tutte le premesse per un film da consigliare, eppure non è così.
Per quanto visivamente affascinante Anna Frank e il diario segreto tenta con così tanta insistenza di sottolineare la tragicità della storia (sia quella di Kitty, che quella, attraverso i flashback, di Anna Frank) e il suo confronto con la situazione dei rifugiati di oggi che alla fine tutto sembra posticcio. Le parole di Anna Frank sono arrivate fino a noi perché forti senza pretesa di esserlo. Qui invece ogni dialogo è scritto con il proposito o di sottolineare l’ingenuità dei protagonisti davanti un mondo crudele o, a volte anche in parallelo, per far sentire lo spettatore colpevole. È difficile valutare come il tutto verrebbe recepito da un bambino, ma da una parte non si racconta bene la storia di Anna Frank, dall’altra si rischia, per semplificare, di mettere sullo stesso piano i nazisti e il fantomatico mondo occidentale per come tratta i richiedenti asilo, un comportamento che è difficile immaginare come perfetto, ma non certo paragonabile a quello di chi mandava le persone nei campi di concentramento.