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Thelma & Louise di Ridley Scott debutta nelle sale USA esattamente trent’anni fa, il 24 maggio del 1991. In Italia arriva poco dopo, a settembre. In realtà, negli Stati Uniti avrebbe dovuto esordire diversi mesi prima, all’inizio di quell’anno. Ma la MGM è sull’orlo del baratro, ai tempi, a causa della scalata di un italiano e dei grossi casini finanziari che si tira dietro, e l’uscita viene posticipata a maggio. Poco male. Quando arriva sul grande schermo, il film di Scott – reduce dal suo giuramento di non metter mai più piede in Giappone a causa dei problemi avuti con le riprese di Black Rain – fa discutere. Lo hanno descritto come un road movie neo-femminista, Thelma & Louise. Ma anche come una pellicola misogina, perché nelle sue due ore e dieci di metraggio gli uomini sono tutti stronzi (non è vero). Più in generale, come un film coraggioso. A riguardarlo oggi, tre decenni più tardi, Thelma & Louise è un film assolutamente particolare, che inizi a vedere già con il magone, perché sai come andrà a finire, eppure in grado di farti sorridere, divertirti. E sì, certo: anche farti incazzare.
Tutto alla fine, oggi come allora, ruota attorno a quella frase che Louise Sawyer (Susan Sarandon) dice all’amica Thelma Dickinson (Geena Davis) per spiegarle perché non possono andare alla polizia e raccontare che quell’omicidio è nato da un tentato stupro. Thelma aveva ballato con quello che sarebbe diventato di lì a poco il suo aggressore. Nessuno le avrebbe creduto, perché “non viviamo in quel tipo di mondo”. Che poi purtroppo è vero anche per questo mondo, trent’anni dopo, dove la diffidenza e il se l’è cercata sono sempre dispensati con nonchalance quando si parla della vittima di una violenza.
Fuggono dal loro mondo, Thelma e Louise, e non fidarsi della legge è uno sbaglio, con ogni probabilità, visto che l’unica figura maschile interessata davvero alla loro sorte è il detective Slocumb, un mite Harvey Keitel. Si genera un effetto valanga, e la loro fuga, tra un cowboy-ladro intortatore con la faccia di un giovane attore promettente, tale William Bradley Pitt detto Brad, un negozio di liquori rapinato e un poliziotto chiuso nel cofano della sua volante (ma anche il camion cisterna di un maiale fatto saltare in aria con una posa da pistolere), cambia il loro rapporto. Da principio, Thelma è la più indifesa delle due, vittima di un rapporto tossico, legata da sempre a un marito insopportabile in ogni senso del termine. Louise è quella più matura, che sembra sapere il fatto suo, che innesca tutta la vicenda, non solo proponendo la vacanza, ma premendo quel grilletto. Slocumb è l’unico in tutto il film che sembra capire il peso che si porta dietro, per quanto successole in Texas.
Ma poi le cose cambiano, dicevamo: Thelma scopre che magari è proprio quella la sua natura, ora che si sente libera, e in carcere non ci vuole finire. E da qui la grande domanda: quel volo con la Thunderbird verde del ’66 nel Grand Canyon rende Thelma e Louise libere? È solo la morte a permettere loro di sfuggire ai propri spettri, non c’è un’altra strada, alternativa a quel baratro? Si fossero arrese, le avrebbero condannate per omicidio, e sarebbero morte lo stesso? Non lo so, con gli USA dipende dagli Stati, ma non è comunque quello il punto. E il fermo immagine che scolorisce è il modo giusto per chiudere un film del genere? Che significato vogliamo dargli? Serviva altro, a quel finale, come sostiene qualcuno? No, probabilmente no. E intanto continuo a provare questo senso di, beh, rabbia.
Scritto dall’esordiente Callie Khouri (premiata con l’Oscar per questa sceneggiatura) e accompagnato dalle note di Hans Zimmer e di una serie di brani perfetti per un road movie sulle polverose strade secondarie del sud, Thelma & Louise è un film che continua a far viaggiare soprattutto la testa di chi lo guarda. In questo misto di tristezza e ironia, di libertà e di vincoli, di scelte e conseguenze.
Trent’anni dopo, Geena Davis continua a impegnarsi per combattere i gender bias di Hollywood, e sappiamo da tempo che sul set di Thelma & Louise ci ha ingannati: aveva già un’ottima mira, soprattutto con un arco in mano. E non c’entra niente, ma qui devo aggiungere per forza una nota su quanto diavolo mi manca GLOW, scusate.
Anche Susan Sarandon è impegnata, da una vita intera, sul fronte dei diritti civili: è stata ambasciatrice dell’UNICEF e della FAO, si è occupata della lotta a omofobia e transfobia, ha dato del nazista a un ex papa. Quanto a Ridley Scott, non avrebbe dovuto dirigerlo, Thelma & Louise, ma solo produrlo, con la sua società. Quando lesse il copione per la prima volta, era incredulo che esistessero uomini talmente spregevoli come il marito di Thelma. La sceneggiatrice, Callie Khouri, gli spiegò che c’erano eccome. Solo dopo una serie di rimbalzi, depennando un nome dopo l’altro dei possibili registi, fu Michelle Pfeiffer – che, va’ la sliding door, avrebbe dovuto interpretare il film con Jodie Foster, prima che entrambe abbandonassero il progetto durante la pre-produzione, per altri impegni. Il che, nel caso di Jodie Foster, vuol dire Il silenzio degli innocenti – a convincerlo. Chiamò Scott e gli disse: “Ehi, Ridley, perché non ti decidi a girarlo tu stesso?”