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The Falcon and the Winter Soldier – La recensione del quarto episodio

Pubblicato il 09 aprile 2021 di Lorenzo Pedrazzi

Nel quarto episodio, The Falcon and the Winter Soldier porta a compimento la trasizione del Marvel Cinematic Universe verso storie sempre meno manichee, soprattutto se consideriamo lo schematismo di un certo retaggio supereroistico. Ora più che mai, lo scontro non è tanto fra “bene” e “male”, ma fra due o tre visioni contrapposte, ognuna delle quali è convinta di avere ragione e lotta per raddrizzare i torti subiti.

Tutte le anime di The Falcon and the Winter Soldier

Avevamo lasciato Bucky con Ayo in un vicolo di Riga, e l’episodio riparte proprio da lì, dopo un suggestivo prologo in Wakanda che mostra la guarigione dell’ex Soldato d’Inverno dai condizionamenti dell’Hydra. Dopo aver scoperto che Zemo è libero, Ayo e le altre guerriere della Dora Milaje vogliono catturarlo per aver ucciso il Re T’Chaka, ma Bucky riesce a temporeggiare. L’interconnettività fra i “mondi” del MCU si esprime qui con grande naturalezza: la presenza del Wakanda non è affatto gratuita, poiché trova giustificazione nella continuity dei diversi franchise, talvolta con risultati piacevolmente imprevedibili. È il caso della successiva schermaglia tra le soldatesse wakandiane e John Walker, dove quest’ultimo si rende definitivamente conto di non potere nulla contro individui dotati di superpoteri o addestramenti speciali. «Non erano nemmeno dei supersoldati» mormora Walker avvilito, dopo essere stato sconfitto anche dalla Dora Milaje. È un passaggio importante nella sua presa di coscienza, e prefigura ciò che avverrà in seguito.

Le intromissioni esterne, insomma, non rallentano la trama, bensì ne influenzano gli snodi narrativi fondamentali, compresa la fuga di Zemo. Stavolta Derek Kolstad imbastisce un intreccio senza forzature, dove condensa tutte le anime della serie: azione, universo condiviso, temi di natura politica (si fa per dire) e un pizzico di buddy cop. Si tratta dell’episodio migliore fra quelli che abbiamo visto finora, e il merito è anche della sua deriva drammatica. L’eloquente inquadratura finale conferma il nucleo del discorso: se la vicenda ruota attorno all’eredità di Steve Rogers, lo scudo è il simbolo che lo rappresenta più di ogni altra cosa. Ma lo scudo non può lordarsi del sangue altrui, non può essere usato per uccidere. Quel sangue tradisce il suo retaggio, i suoi valori più alti. È un punto di non ritorno.

In un certo senso, l’inquadratura finale coagula in sé lo status quo post-Blip. Karli Morgenthau ritiene che lo scudo sia un simbolo del vecchio mondo, e non lo sente proprio. Un mondo fatto di confini e nazioni elitarie, di carnefici e vittime, a cui lo schiocco di Thanos ha paradossalmente messo fine: con metà della popolazione mondiale sparita, le barriere erano cadute, i paesi erano ben lieti di accogliere profughi, rifugiati, immigrati… salvo poi espellerli quando gli scomparsi sono tornati. Karli è la campionessa degli ultimi, degli oppressi, degli esclusi, e Sam non può che empatizzare con la sua causa. Anche lui e la sua famiglia vengono discriminati, per giunta dalla loro stessa nazione. Sua sorella Sarah lo dice chiaramente: «All’America non importa del mio mondo… quindi, perché a me dovrebbe importare della sua mascotte?». Di nuovo, il conflitto profondo è tra due visioni diverse degli Stati Uniti: una multietnica e progressista, l’altra bianca (anzi WASP) e tradizionalista.

Punti di vista

La solidarietà fra oppressi scatta facilmente, ma le differenze riguardano i modi, più che gli obiettivi. Nonostante sia d’accordo con lei, Sam non approva i modi violenti di Karli, pur essendo lui stesso disposto a usare la violenza (e qui emergono le contraddizioni degli americani, che si arrogano il diritto di stabilire chi meriti la morte e chi no). The Falcon and the Winter Soldier ha il coraggio di mettere in scena un mondo – non così diverso dal nostro – in cui è impossibile definire quale sia la parte giusta, e tutti ritengono di avere ragione; tutti credono che i suprematisti siano gli altri, non loro stessi.

In tal senso, Zemo funge da raisonneur: medita sugli eventi, e stimola una riflessione sia negli altri personaggi sia nel pubblico. È indubbiamente il più bravo a leggere la situazione, e anche a prevedere i rischi del siero del supersoldato (gli stessi, per esteso, di tutti gli individui superumani: «Il desiderio di diventare sovrumani non può essere separato da ideali suprematisti» dice Zemo, convinto che i superpoteri causino un complesso di onnipotenza e la pretesa di spadroneggiare sulle vite altrui). Nelle sue parole c’è anche una velata critica all’eccezionalismo americano, di cui i superpoteri diventano una facile metafora. Zemo, d’altra parte, mette sullo stesso piano i nazisti, Ultron e gli Avengers, tutti accomunati da «un’aspirazione distorta».

Il supervillain mette in crisi le convinzioni di tutte le fazioni, nonostante ognuna di esse creda di essere nel giusto: la stessa Karli rifiuta l’appellativo di “terrorista”, e si definisce “rivoluzionaria”. Alcuni dialoghi sono un po’ troppo didascalici ed esplicativi, ma nel complesso l’episodio riesce a gestire bene la complessità dei temi e dei punti di vista, sfidando l’istinto empatico degli spettatori. Chi merita la nostra solidarietà? Persino John Walker, odiato da tutti, intenerisce per la responsabilità che grava sulle sue spalle, il senso di inadeguatezza e il dramma personale. The Falcon and the Winter Soldier racconta conflitti per nulla banali, e porta davvero a chiedersi come verrà chiusa la vicenda: non solo dal punto di vista narrativo, ma anche in termini ideologici. Staremo a vedere.