SerieTV News Cinecomic

Perché The Falcon and The Winter Soldier sta cambiando il MCU

Pubblicato il 21 aprile 2021 di Giulio Zoppello


Nessuno sapeva cosa aspettarsi da The Falcon and the Winter Soldier. L’opinione più diffusa era quella di una buddy serie, con Bucky e Sam intenti a sconfiggere un po’ di cattivi tra una battuta comica e l’altra. Sbagliato. Assolutamente sbagliato. Questa serie ha portato l’universo Marvel in una direzione completamente diversa ed inedita, anche più sorprendente di quella creativa, pop e fantasiosa donataci da WandaVision.

Qui i temi dominanti sono stati l’America, la sua storia, la sua società, un mondo instabile, utilizzando gli iter narrativi dei diversi personaggi, per modellare un’analisi quanto mai attuale e pertinente, sovente anche scomoda. Invece di sorrisi, risate e azione, ci siamo trovati di fronte ad una realtà che di episodio in episodio, diventava sempre più cupa, più complessa e intricata, in cui bene e male non erano più così distinti. Qualcosa di terribilmente familiare, qualcosa che conosciamo bene: è il mondo in cui viviamo.

Il volto tetro e violento dell’America



Il personaggio dai significati più profondi in The Falcon and the Winter Soldier è il nuovo Capitan America: John Walker. Sparito Steve Rogers, Falcon non se l’era sentita di impugnarne lo scudo. Al suo posto, a tradimento, l’esercito ha scelto un sosia di Steve, l’ennesimo ariano biondo dagli occhi azzurri e dal cuore gonfio di patriottismo e buoni sentimenti. Walker però si è rivelato in breve tempo un individuo instabile, violento, afflitto da un egocentrismo che l’ha fatto diventare l’anima oscura della serie. Si può certamente dire che la morte del suo camerata Hoskins sia stato un duro colpo, ma la realtà, è che Walker è sempre stato totalmente diverso da Rogers. Fin dall’inizio, è compenetrato da un’inquietante dimensione mediatica, sorretto da uno show in cui la narrazione pop si veste di echi hitleriani. Viene presentato al pubblico tra majorette, baionette, bandiere patriottiche e discorso strappalacrime. La narrazione, la grande arma del potere del XXI secolo, ha in lui un assoluto protagonista. Non deve stupire che un autore come Garth Ennis si sia a suo tempo ispirato anche a Walker per il suo Patriota di The Boys. Perché in fondo Steve Rogers, era come l’America pensava di essere, come amava dipingersi: la Generazione Gloriosa, lo scudo della libertà. John Walker, così come il Patriota, è come essa è stata nella realtà: il braccio armato di una superpotenza spietata, l’omino verde dei detersivi di cui parlava Kubrick in Full Metal Jacket.

Una metafora della nostra storia


La geopolitica era già comparsa altre volte nell’universo Marvel, ma mai in modo così potente. Black Panther, la sua carica ucronica di un’Africa scevra dal colonialismo è l’esempio più noto. Ma non il migliore. In Age of Ultron, per esempio, Tony Stark creava un mostro cercando di edificare un sistema di protezione globale, convinto che prevenire fosse meglio di vendicare. In Winter Soldier, connesso alle atmosfere de I Tre Giorni del Condor, scoprivamo l’anima segreta ed eversiva degli Stati Uniti. Poi era arrivato Civil War, con le vittime collaterali, il concetto di responsabilità e libertà personale, e soprattutto con lui, Zemo, un cattivo che poi un cattivo neppure lo era. A Civil War questa serie si collega profondamente, nel dipingere un mondo che è un torbido e caotico gorgo, con governi tirannici, soldati spietati e terroristi idealisti. Costoro hanno come alfiere Karli Morgenthau, la leader dei Flag-Smashers, una ragazza che sente di lottare per gli ultimi, di poter mobilitare le masse per distruggere quel sistema che non permette l’autodeterminazione. Ha tante buone intenzioni Karli, le stesse che all’inizio avevano i membri della Rote Armee Fraktion. E di buone intenzioni è lastricata da sempre la via che porta agli Inferi.



Non è un paese per neri


I personaggi in questa serie sono incredibilmente complessi. Se Bucky è travolto da sensi di colpa, stress post-traumatico, Sam invece è colui attraverso il quale abbracciamo la verità scomoda e terribile dietro il mito di Steve Rogers: Isaiah Bradley. Il super-soldato nero, torturato per trent’anni, è simbolo della segregazione mai cancellata del tutto, dell’oppressione dei neri in America. Davvero vi è spazio per loro nel sogno americano? No, è la risposta Isaiah. Non dopo cinquecento anni di dolore, non quando le strutture sociali ed economiche ti sono contro, come Sam ha modo di comprendere guardando la sorella Sarah, assediata da povertà e precarietà.

Non vi può essere un Capitan America nero, non ci deve essere, perché non è mai stato il loro paese, ha avuto sempre e solo simboli bianchi, ha schiavizzato le minoranze, le ha usate come carne da cannone. Guardando al nostro mondo, a come l’inclusività trova ancora ostacoli, a come l’odio razziale attraversa gli Stati Uniti, non si può che ammettere che The Falcon and the Winter Soldier abbia messo il dito nella piaga: l’America è ben lontana dall’essere la terra degli uomini liberi. Ammesso che lo sia mai stata.