Margaret, il capolavoro dimenticato di Kenneth Lonergan

Margaret, il capolavoro dimenticato di Kenneth Lonergan

Di Lorenzo Pedrazzi

Kenneth Lonergan non è un regista prolifico, e difficilmente potrà mai diventarlo. I suoi film ardono di un’intensità particolare, che si concentra in sceneggiature tanto dense e stratificate quanto la psiche dei suoi protagonisti. Pur avendo lavorato su commissione, dà il meglio di sé nelle opere più personali, quando mette in pratica le suggestioni psicanalitiche derivanti dalla sua formazione. “Sono stato allevato dalla Società Psicanalitica di New York” confidò lui stesso al New Yorker nel 2017, anno dell’Oscar per il copione di Manchester by the Sea. I suoi genitori, entrambi psichiatri, discutevano spesso dei pazienti su cui lavoravano, e lui ascoltava tutto. L’idea per la sceneggiatura di Terapia e pallottole, poi diretto da Harold Ramis, nacque proprio da lì.

Ma si parlava di Manchester by the Sea, la grande rivalsa di Lonergan nei confronti di Hollywood. Sì, perché il suo film precedente lo costrinse a una lunga battaglia legale con la produzione, ed è ricordato – dai pochi che ne hanno memoria – come il paradigma del classico scontro fra la visione intima di un regista e quella pragmatica degli studios. S’intitola Margaret, fa parte del catalogo di Star su Disney+: abbiamo quindi una buona occasione per scoprirlo, essendo un’opera lungamente oscurata da questioni extra-cinematografiche.

Lonergan lo gira nel 2005, quando la ferita dell’11 settembre è ancora fresca sul tessuto di New York. La trama ruota attorno alla diciassettenne Lisa Cohen (Anna Paquin), che richiama l’attenzione di un autista di autobus (Mark Ruffalo) mentre fa shopping nell’Upper West Side, interessata al suo cappello da cowboy: l’uomo si lascia distrarre, passa col rosso e investe una donna chiamata Monica Patterson (Allison Janney), che muore tra le braccia di Lisa. Sentendosi in colpa, quest’ultima coinvolge un’amica di Monica per fare causa all’autista, che invece non vuole ammettere le sue responsabilità. Attorno a lei, una costellazione di personaggi viene influenzata dalle sue azioni o dai suoi stati d’animo: professori, amici, compagni di scuola, e soprattutto la madre Joan (J. Smith Cameron), attrice teatrale divorziata dal marito (interpretato dallo stesso Lonergan), che ora vive in California con una nuova compagna. Joan comincia a frequentare un suo ammiratore, l’uomo d’affari Ramon Cameron (Jean Reno), ma ben presto si rende conto che Lisa vive un momento difficile.

Attorno a loro c’è Manhattan, luogo che il nostro immaginario ha ormai trasfigurato in uno spazio mentale, città fantastica di avventure sognate. Lonergan però ci ricorda che i suoi orizzonti sono reali, le sue strade brulicano di persone che vivono, lavorano, soffrono, ridono, si incontrano, parlano. Il cineasta ne abbraccia il panorama con lunghe inquadrature dall’alto, mentre le voci di anonimi newyorkesi si accumulano fra loro: si tratta di dialoghi reali che Lonergan ha sentito per caso in città, e che ha annotato sul suo taccuino. È proprio risalendo al dato umano di New York che Lonergan rielabora il lutto del World Trade Center. La metropoli vive ancora, si lecca le ferite, riflette sull’accaduto. Margaret, insieme a La 25ma ora, è forse il più grande film della New York post-11 settembre, una testimonianza storica irripetibile che riecheggia nelle discussioni “politiche” tra Lisa e i compagni di classe.

Si respira lo Zeitgeist dell’epoca, ma i contrasti fra Lonergan e la produzione non gli permettono di uscire nel momento giusto. Il montaggio del cineasta raggiunge i 186 minuti, mentre la Fox vuole restare entro i 150. Ne deriva una battaglia legale di ben sei anni, durante la quale Lonergan approva una versione da 165 minuti montata con Martin Scorsese e Thelma Schoonmaker, ma rifiutata dal produttore Gary Gilbert. La corte, alla fine, dà ragione a Lonergan, che fa uscire la sua extended cut in dvd nel 2012. Un anno prima, però, la Fox aveva distribuito il proprio montaggio di 150 minuti, ripudiata dal cineasta e di scarso successo ai botteghini. Su Star troverete questa versione, che però è già sufficiente per apprezzare il valore del film.

Se è vero che alcuni snodi narrativi paiono irrisolti, l’esperienza ipnotica e trascinante di Margaret non ne viene intaccata. Si ha l’impressione di assistere a un caleidoscopio umano che vive il conflitto tra la propria individualità e il mondo sconfinato di cui fa parte, come dimostra il dialogo tra le riprese d’insieme e le inquadrature più intimiste. Lonergan ha un modo estremamente personale di scrivere le scene: rende i personaggi vitali attraverso le sovrapposizioni di voci, gli scontri verbali e ideologici, le interruzioni impazienti. Ogni confronto è ricco di tensione (politica, sociale, romantica, sessuale, familiare), senza mai scivolare in un melodramma ricattatorio. I personaggi si parlano addosso, aggrappandosi a ogni minimo dettaglio per scatenare i loro rancori.

In effetti, è proprio di contrasti che si nutre il percorso formativo di Lisa. Non dimentichiamo che il film è datato 2005, e Anna Paquin era una delle attrici più cercate da Hollywood per interpretare lo smarrimento adolescenziale: l’aveva già fatto in X-Men e soprattutto La 25ma ora, dove il personaggio di Mary D’Annunzio ha qualcosa in comune con Lisa. Anche grazie alla sua performance, Lonergan costruisce un personaggio che sacrifica la facile empatia in favore della verosimiglianza. Lisa è la figlia primogenita di una famiglia benestante, è abituata agli agi, vive in perenne conflitto con la madre, e si confida con un padre ben intenzionato ma inutile. La sua lotta per far condannare l’autista di autobus non ha nulla di eroico: è frutto di una visione romantica ed egoriferita, peraltro contro un uomo della working class che non gode dei suoi stessi privilegi. Il suo impeto è di natura infantile, e la chiave per decifrarlo sta tutta nella poesia Primavera e autunno di Gerard Manley Hopkins, discussa dalla classe di Lisa in una scena.

Il titolo del film cita proprio l’attacco della poesia, dedicata a una bambina di nome Margaret che si rattrista nel vedere un luogo amato perdere le foglie. I suoi “freschi pensieri” di fanciulla sono talmente innocenti da farla preoccupare tanto per gli alberi spogli quanto per le “cose umane”, ma un giorno si renderà conto che “le fonti del dolore sono uguali”: si piange per la caducità della vita, per la propria stessa mortalità, anche quando ci si rattrista per le foglie morte. Analogamente, Lisa vede nella fine straziante di Monica (una delle scene più dolorose che il cinema americano abbia prodotto negli anni Duemila) un riflesso di sé stessa e della sua fine. Con la sua purezza giovanile, tenta di mettere le cose a posto e fare giustizia; ma il mondo, più maturo e spietato, le rema contro.

Così, utopia e pragmatismo si scontrano in Margaret, raro film hollywoodiano dove individuale e universale si compenetrano a vicenda. “Per il danno cui l’uomo è nato, per Margaret, per te stessa piangi” recitano gli ultimi versi di Primavera e autunno. Lonergan ne traspone il senso in una vicenda che valorizza il lato epico della quotidianità, preziosa come un imprescindibile documento storico.

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