La cavalcata di WandaVision prosegue nel suo nuovo “formato”, dove le vicende metanarrative di Westview si alternano alle indagini dello S.W.O.R.D., con Monica Rambeau, Jimmy Woo e Darcy Lewis in prima linea. Un’impostazione che diventa sempre più soddisfacente: siamo talmente avvinti che ogni finale arriva troppo presto.
A sorpresa, l’excursus della serie salta un decennio: dopo gli anni Ottanta della scorsa puntata, ora passiamo direttamente ai primi Duemila. In effetti, le sit-com “familiari” degli anni Novanta hanno molto in comune con quelle degli anni Ottanta, e le innovazioni dell’epoca coincidono invece con prodotti come Friends o Will & Grace, che lavorano sulle amicizie nel caos vibrante di New York. Passare ai primi anni Duemila consente quindi di variare la formula e giocare con i codici narrativi di Malcolm in the Middle, compresa la sigla in finto VHS e le battute che oltrepassano la quarta parete. Se in quel caso era Malcolm a rivolgersi direttamente al pubblico, qui si tratta invece dei piccoli Tommy e Billy.
La grande novità è però il Pietro di Evan Peters. La sua origine non è chiara, ma pare proprio che non sia lo stesso Quicksilver di X-Men: Giorni di un futuro passato. In ogni caso, Pietro incarna alla perfezione lo stereotipo dello zio “fico” e immaturo, che porta scompiglio nel nucleo familiare. Siamo ad Halloween, e ogni personaggio replica i costumi dei fumetti con adorabile goffaggine, compresi i due gemelli (le cui identità supereroistiche, Speed e Wiccan, potrebbero avere un futuro nel Marvel Cinematic Universe). I dialoghi tra Pietro e Wanda sono i primi in cui l’eroina parla candidamente di ciò che ha fatto a Westview, pur non ricordandosi come sia accaduto. Il fratello, però, ne rimane impressionato, ed è consapevole del ruolo che Wanda voleva per lui.
In generale, questo è l’episodio in cui la “funzione” dell’eroina diventa ancora più esplicita. È chiaramente la showrunner di Westview, assegna un personaggio e delle mansioni a ogni cittadino, e tiene tutto sotto controllo. È per questo che reagisce con stupore quando Visione esce dalla parte, e decide di fare per conto suo. L’androide sa che la popolazione è tenuta prigioniera, e il suo tentativo di avvertire lo S.W.O.R.D. è uno dei momenti più dolorosi della serie. Almeno finora.
Come al solito, WandaVision rimedia accuratamente i tratti distintivi delle sit-com, variando di epoca in epoca. Oltre alla rottura della quarta parete, qui c’è anche l’utilizzo dei repentini flashback comici, una pratica introdotta dalle serie animate (I Simpson e I Griffin) e poi approdata al live-action proprio negli anni Duemila. Il contrasto con la realtà esterna è sempre delizioso, ma il mondo felice di Wanda è ormai contaminato, e l’inquietudine è di casa.
La commistione di toni è sempre bilanciata con abilità, ma sorprende anche la scioltezza con cui gli autori riescono a porre le basi per il futuro del MCU. Non solo Billy e Tommy cominciano a manifestare i loro poteri, ma potremmo aver assistito alla genesi di Monica Rambeau, che diverrà la supereroina nota come Spectrum: WandaVision è una storia di origini anche per lei.
L’episodio fa un notevole salto in avanti anche sul piano della trama, grazie alle doti informatiche di Darcy. Tale snodo è forse l’unico punto debole della sceneggiatura (da anni, ormai, Hollywood sfrutta l’hackeraggio come una facile scappatoia narrativa), ma ci permette di scoprire la misteriosa sorveglianza di Hayward su Visione, e l’esistenza di un’enigmatica arma dal nome suggestivo. La peculiare impostazione della serie, senza un antagonista esplicito né l’azione tipica dei cinecomic, rende gli sviluppi narrativi ancora più imprevedibili, e alimenta il piacere di farsi spiazzare da ogni episodio. Ne mancano tre, e l’esperimento dei Marvel Studios può già dirsi vincente. Attraverso il ribaltamento “morale” di una delle sue eroine, e la marginalizzazione del lato più “fisico” dei supereroi, WandaVision offre un’alternativa ai soliti schemi. Il genere, insomma, ha ancora qualcosa da dire.