Nell’ultimo numero della storica rivista di cinema britannica Empire, Edgar Wright, regista di Hot Fuzz e Baby Driver, ha curato una celebrazione dell’esperienza cinematografica che include i contributi di registi e star come James Cameron, Daisy Ridley, Spike Lee e Daniel Craig. Tutti pronti a condividere con i lettori il loro amore per le sale in un momento di estrema difficoltà per le stesse. Tra gli ospiti invitati da Wright c’è anche Steven Spielberg, che ha voluto dire la sua sul perché, secondo lui, i cinema e l’abitudine a frequentarli non moriranno mai.
Spielberg ha ricordato come momento fondante del suo amore per il cinema la volta in cui vide una copia in 70mm di Lawrence d’Arabia – il suo film preferito – da teenager. E ha aggiunto:
Nel crisi sanitaria corrente, con i cinema chiusi e le presenze drasticamente limitate per via della pandemia globale, ho ancora la speranza, anzi quasi la certezza, che, quando sarà di nuovo sicuro, la gente tornerà nelle sale. Mi sono sempre dedicato alla nostra comunità di frequentatori delle sale, frequentare le sale nel senso di uscire di casa per andare al cinema, e comunità, cioè quella sensazione di vicinanza alle persone che hanno lasciato le loro case e sono sedute accanto a noi. In un cinema, guardi i film con le persone importanti della tua vita, ma anche in compagnia di estranei. È quella la magia che proviamo quando usciamo a vedere un film, una pièce teatrale, un concerto o uno spettacolo comico. Non sappiamo chi siano le persone che siedono intorno a noi, ma quando l’esperienza ci fa ridere, piangere, esultare o riflettere, e poi quando le luci si accendono e lasciamo i nostri posti, le persone con cui ci dirigiamo all’esterno, verso il mondo reale, non ci sembrano più dei completi estranei. Siamo diventati una comunità, simili nel cuore e nello spirito, o per lo meno nell’aver condiviso per un paio d’ore un’esperienza potente. Quel breve intervallo in un cinema non cancella le tante cose che ci dividono: razza, classe, fede, genere o politica. Ma la nostra nazione e il nostro mondo sembrano meno divisi, meno lacerati, dopo che un gruppo di estranei ha riso, pianto, saltato sui sedili insieme, tutti nello stesso momento. L’arte ci chiede di essere consapevoli del particolare e dell’universale, allo stesso tempo. Ed è per questo che, di tutte le cose che hanno il potenziale per unirci, nessuna è più potente dell’esperienza comune delle arti.