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Wandavision, ora a colori: la recensione del terzo episodio

Pubblicato il 22 gennaio 2021 di Lorenzo Pedrazzi

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WandaVision, ovvero The Vision Bunch: il terzo episodio della serie Marvel entra negli anni Settanta e cita La famiglia Brady, fin dalla deliziosa sigla musicale di Kristen Anderson-Lopez e Robert Lopez. La vita di Scarlet e Visione – come anticipato nella scorsa puntata – entra nel mondo dei colori e si evolve anche nei toni, aprendosi ulteriormente alle contaminazioni della realtà esterna.

Nove mesi in un secondo

L’episodio è focalizzato sulla repentina gravidanza di Wanda, il cui pancione cresce a vista d’occhio. Il medico di Westview la visita e le assicura che va tutto bene, ma Visione è in ansia, e la coppia comincia subito ad arredare la stanza del bambino. Sono indecisi sul nome: Visione propone Billy, ma Wanda vorrebbe Tommy.

La gravidanza ha effetti paradossali. Le contrazioni provocano cali di tensione, mentre la rottura delle acque corrisponde a una pioggia torrenziale che sommerge l’interno della casa. La situazione si complica quando Geraldine (Teyonah Parris) si presenta in cerca di un secchio, mentre Visione va a richiamare il medico prima che parta per le vacanze.

Ne deriva una buffa commedia degli equivoci, in cui Wanda cerca di nascondere la verità il più a lungo possibile. Gli espedienti comici, non a caso, sono quelli rodati delle vecchie sit-com: c’è un personaggio inconsapevole che non deve scoprire la verità, e una protagonista che tenta di distrarre la sua attenzione. Un meccanismo che rimanda ancora a Vita da strega, più che a La famiglia Brady.

Il buio fuori

Gran parte dell’episodio procede così, con i suoi colori brillanti e la sua comicità di situazione. Elizabeth Olsen e Paul Bettany, come al solito, sono eccezionali: oltre ai grandi tempi comici e all’ottima sinergia, dimostrano di saper traslare agevolmente dai toni gigioneschi delle sit-com alle sfumature introspettive del dramma. Sì, perché il mondo esterno filtra ancor più copiosamente nella terza puntata di WandaVision. L’epilogo semina indizi sulla realtà nascosta di Westview, sulle origini di Geraldine e sul ruolo dello S.W.O.R.D.. Il fluido passaggio di aspect ratio – dai 4:3 delle vecchie TV al panoramico del cinema – dimostra come la serie tenda a far coincidere forma e contenuto, trasfigurandosi all’improvviso in un tipico cinecomic dei Marvel Studios.

Ciò che inquieta è proprio questo passaggio fulmineo. Basta una parola (come un certo riferimento citato da Geraldine), e l’atmosfera si incupisce. Pare sempre più chiaro che Wanda non sia vittima di questa realtà fittizia, ma ne sia l’artefice, anche se forse inconsapevole. Non a caso, i finti spot pubblicitari d’epoca sembrano proiezioni del suo subconscio, e riportano a galla tutto un rimosso di lutti e sofferenze: più che réclame, veri e propri incubi.

Una settimana dopo l’altra

Insomma, WandaVision si conferma un prodotto da assaporare per gradi, che si sedimenta nel nostro immaginario al ritmo della sua distribuzione settimanale. Anche per questo, richiede pazienza: le risposte arriveranno, ma non subito. In tal senso, lo show intrattiene con il pubblico un rapporto molto più simile a quello che i fumetti Marvel intrattengono con i lettori. Una relazione fatta di attese e scoperte progressive, a cadenza fissa.

Il fatto che non abbia bisogno di basarsi sui soliti schemi del racconto supereroistico (quelli che vengono ripetuti dal 99% dei film, non importa di quale studio) la rende spiazzante e originale, basata più sullo straniamento che sull’avventura. Il piacevole contrasto di toni è una gradita novità nel MCU, e attinge tanto a Vendicatori divisi quanto a The Vision di Tom King. Dopo aver costruito il più grande universo condiviso del cinema contemporaneo, la reazione più sensata è farlo a pezzi. WandaVision, come si suol dire, è solo l’inizio.