Nella graduale trasformazione del cinema italiano mainstream, Groenlandia sta certamente svolgendo un ruolo di primo piano, come dimostra anche il recente esperimento action de La Belva. La casa di produzione fondata da Matteo Rovere e Sydney Sibilia è una delle poche realtà nostrane che esplora territori poco battuti, generi lungamente accantonati e persino spazi da creare o reinventare. Il primo Re è forse l’esempio più compiuto di questa tendenza, ma lo stesso discorso vale anche per L’incredibile storia dell’Isola delle Rose, ulteriore conferma di come i film targati Netflix puntino ad avere un appeal globale.
In effetti, il film di Sibilia prende i codici della commedia – uno dei generi più battuti dal cinema italiano – e li spinge verso orizzonti più ampi, che guardano alle tendenze del cinema internazionale. A pensarci bene, è curioso che la storia di Giorgio Rosa e della sua micronazione venga trasposta solo adesso, ma bisogna considerare che l’intera vicenda è stata lungamente dimenticata, e solo nel 2000 è diventata oggetto di studi (almeno per quanto riguarda i suoi risvolti “utopici”).
È l’ottimo Elio Germano a interpretare Rosa, giovane ingegnere di Bologna che non ama le regole imposte dall’alto, tant’è che si è persino costruito un’automobile con cui gira per la città emiliana, senza targa. La sua ex ragazza Gabriella (Matilde De Angelis) è un’avvocatessa specializzata in diritto internazionale che lo rimprovera di vivere in un mondo tutto suo. Giorgio, ancora innamorato di lei, si sente punto nel vivo, e ha un’idea: costruire un’isola artificiale al largo di Rimini, oltre i confini delle acque territoriali italiane, dove potrà vivere secondo le proprie leggi. A lui si unisce l’amico Maurizio (Leonardo Lidi), che fornisce i capitali tramite l’azienda del padre. Il risultato è una piattaforma di 400 metri quadrati che ottiene un immediato riscontro turistico, anche perché ospita un bar, una discoteca e altri svaghi. Non solo: Giorgio si circonda di fidati collaboratori, e comincia a stampare francobolli, emettere passaporti e valutare richieste di cittadinanza. Nasce così la Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose, con l’esperanto come lingua ufficiale. Ma quando Giorgio si rivolge all’ONU e all’Unione Europea perché la sua micronazione venga riconosciuta, lo Stato italiano reagisce con forza.
Come accade spesso nei liberi adattamenti (nonostante la didascalia iniziale parli di “storia vera”), il film piega la realtà ai propri scopi, per renderla più appetibile e “cinematografica”, oltre che meno problematica. Un’operazione piuttosto comune, che non deve stupire. A suscitare maggiori dubbi, se mai, è il fatto che L’incredibile storia dell’Isola delle Rose trasponga i limiti della commedia italiana contemporanea su scala più vasta, riducendo le innovazioni a una mera questione tecnica. Fa piacere vedere una produzione come questa, che esce dai confini domestici e persino da quelli nazionali, con notevole dispiego di mezzi grazie al valido mestiere di Effetti Digitali Italiani e alle scenografie di Tonino Zera. Purtroppo, però, il film è attraversato da un umorismo spesso stucchevole, artificioso, che riflette la costruzione stessa dell’opera.
Si ricava infatti l’impressione di una commedia troppo schematica, che non riesce a nascondere la meccanicità dei propri risvolti narrativi, e nemmeno i suoi debiti verso alcuni successi stranieri (I Love Radio Rock e persino The Social Network, di cui cita una linea di dialogo). Anche il tema dell’utopia socio-politica è solo accennato, per quanto ci sia un’effettiva contrapposizione tra il singolo – un sognatore individualista – e il potere costituito, proprio mentre il Sessantotto infuria. Più audace – almeno nell’idea – la parodia di alcune cariche politiche italiane dell’epoca, soprattutto Giovanni Leone e Franco Restivo, interpretati rispettivamente da Luca Zingaretti e Fabrizio Bentivoglio: non accade spesso che nel cinema italiano si prendano di mira le cariche politiche reali, sebbene l’umorismo sia davvero esile e innocuo.
Comunque, dimostra le ambizioni de L’incredibile storia dell’Isola delle Rose, indubbiamente una delle commedie di più ampio respiro realizzate in Italia negli ultimi anni. Il problema è lo stesso che affligge La Belva, per citare un altro film recente di Groenlandia: la scrittura non è all’altezza delle ambizioni produttive. Peccato, perché l’attitudine a (re)inventare gli spazi è molto stimolante, e permette di superare quel grigio “realismo” – vero o supposto – che per troppo tempo ha accorciato gli orizzonti del cinema italiano. Groenlandia sta tracciando una rotta che, con qualche accorgimento, potrebbe davvero essere quella giusta.
[L’incredibile storia dell’Isola delle Rose uscirà su Netflix il 9 dicembre]