Articolo redatto in collaborazione con Marco Lucio Papaleo
Il 2020 è stato un anno incredibile per gli appassionati di videogiochi: a titoli attesi da lunghissimo tempo e che hanno ampiamente soddisfatto le aspettative si sono uniti prodotti dell’ultimo minuto che in pochissimo tempo sono riusciti a rivelarsi vere e proprie perle rare (non solo nella categoria “indie”).
Stilare una classifica dei migliori 10 giochi dell’anno è stata un’impresa ardua, compiuta redazionalmente a 4 mani; abbiamo deciso di elencare senza soluzione gerarchica i titoli più interessanti, divertenti, giocabili ed anche (in risposta a chi ancora non riesce a vedere caratteristiche nobili nel media videoludico) socialmente importanti: ecco quindi di seguito i migliori giochi dell’anno, titoli che, se non avete ancora giocato, vi consigliamo vivamente di recuperare!
Si abusa sempre di frasi come “Nuova pietra di paragone per il futuro dei videogiochi” o “Gioco che ridefinisce gli standard” o ancora “Miglior gioco della sua generazione”. The Last of Us 2 è tutto questo ed anche di più: un titolo incredibile, tanto tecnicamente quanto a livello narrativo. Naughty Dog riprende tutti i punti di forza del primo The Last of Us e li migliora, esasperandoli in una continua serie di calcolati eccessi che arrivano a sfiorare la perfezione, mentre i personaggi e la storia narrata rimangono il punto forte della produzione: difficilmente abbiamo visto personaggi più veri, profondi, tragici o ben raccontati come quelli di The Last of Us 2, inseriti in una storia che rimescola i topòi narrativi all’insegna di temi come espiazione, riscatto e dolore.
Incredibile (ed estremamente coraggiosa) soprattutto la scelta di mettere nelle mani del giocatore il personaggio di Abby nel momento in cui la si identifica come il “villain” principale del gioco: mai le potenzialità narrative di un videogioco sono state utilizzate così efficacemente, in un ribaltamento dei ruoli che non avrebbe funzionato allo stesso modo in un altro media (come un film o una serie tv: la storia di Abby va “vissuta” appieno, controller alla mano, per essere compresa in toto).
The Last of Us 2, che più che meritatamente si è aggiudicato i premi di Golden Joystick Awards e The Game Awards come gioco dell’anno, è un’avventura che rimane dentro, che fa riflettere, forse addirittura difficile da rigiocare per la potenza delle emozioni che suscita, ma consigliata veramente a chiunque.
Essendo uno dei “mostri sacri” della storia del videogioco, FFVII era in assoluto una delle scommesse più rischiose di sempre per Square Enix da intraprendere in ambito remake.
Scommessa, a mio parere, assolutamente vinta.
Innanzitutto, c’è da dire che S-E ha avuto parecchio fegato nel concepire un “vero” remake e non una semplice remastered con due aggiustamenti o modifiche in croce. I cambiamenti rispetto all’originale ci sono, ma sono tutti per il meglio: da un sistema di combattimento davvero soddisfacente a ritocchi piccoli e grandi nella trama, in funzione di una narrazione migliore e più moderna.
Certo, sul finale-non finale sia chi ha giocato e amato l’originale che chi visita Midgar per la prima volta può rimanere perplesso, non potendo ancora capire dove si voglia andare a parare, ma direi che dopo i passi falsi del recente passato siamo decisamente tornati sulla strada giusta in casa Square, e la mia fiducia se la sono riguadagnata.
Mi sono emozionato, mi sono appassionato, le musiche sono meravigliose, il design dei personaggi ancor di più. I difetti ci sono, è innegabile: principalmente si nota lo stacco grafico tra gli elementi principali e quelli secondari, nonché i punti dove gli sviluppatori hanno avuto meno tempo per soffermarsi. Oltretutto, il mondo di gioco di FFXV risultava molto più vivo e vivido, ma i personaggi principali di VII R bucano così tanto lo schermo che tutto il resto quasi non conta. Ah, sì, la modalità “classica” a turni è un po’ una delusione, avrei preferito qualcosa di davvero più old style. Ma fa nulla, il nuovo combat system per me è perfetto. Non vedo l’ora del capitolo successivo.
Ci sono giochi che si iniziano solo perché se ne parla moltissimo, spinti dalla curiosità ma senza alcuna aspettativa reale: Genshin Impact, gioco gratuito ma che ha battuto ogni record di guadagno grazie ad un calibrato sistema di microtransazioni interne, è uno di questi. Viste le premesse, ritrovarmi a scriverne in una lista dei migliori 10 giochi dell’anno mi risulta ancora un po’ strano, ma Genshin Impact si distingue da ogni altro prodotto simile si sia mai visto finora per qualità e vastità.
Di base, sarebbe un mobile game: incredibilmente, il gioco può essere giocato efficacemente (almeno fino a livelli medi, sconsigliatissimo l’endgame) sul proprio smartphone, ma raggiunge il massimo delle proprie potenzialità su PC e console (nonostante i tempi dei caricamenti su PS4 risultino tediosi).
Genshin Impact ricrea un immenso open world in single player, dove il giocatore è sì spinto a portare alla grandezza gli svariati personaggi (acquistabili tramite microtransazioni ma anche – molto più lentamente – con le ricompense in-game), ma che vuole raccontare una storia, articolata e affatto scontata, discostandosi da dinamiche multiplayer PVP: risulta davvero difficile credere che tutto ciò che di gratuito offre il gioco sia davvero gratuito, ma questa è stata la scelta (super vincente) di MiHoYo, che pur limitando i contenuti a pagamento ad aspetti assolutamente non necessari all’esperienza di gioco ha capitalizzato con esso in maniera incredibile.
“Un gioco che crea dipendenza” è la frase d’avvertimento che andrebbe scritta sulla confezione. Seriamente, è una roba irresistibile, rilassante, ti rimette in pace col mondo, ha salvato la salute mentale di godziliardi di persone durante la pandemia. Date un Nobel per la pace al Director, Aya Kyogoku.
Un “roguelike” che in tempo record ha conquistato i videogiocatori di tutto il mondo: Zagreus, il figlio di Hades, è impegnato in una fuga dagli inferi che si rivela tanto ardua quanto divertente, piena di personaggi che potremmo definire “particolari” in un infinito corridoio di labirinti procedurali. Le forze di Hades sono un comparto visivo semplice ma ineccepibile ed una giocabilità davvero sbalorditiva, con un gameplay che anche se all’inizio può risultare un po’ confuso evolve continuamente e risulta estremamente appagante nell’endgame.
Personalmente ho sempre amato i Toys to life (e le piste delle macchinine), e Mario Kart Live la ritengo l’invenzione più bella degli ultimi anni, per concezione proprio, una di quelle cose che ti fa capire davvero cos’è la “Nintendo difference”. Significa anche Gioco, con la G maiuscola, vivibile in maniera creativa e sempre nuovo e divertente.
Un capolavoro annunciato il sequel di Ori and the Blind Forest, dove ritroviamo lo spiritello guardiano Ori ed i personaggi del primo gioco (fra cui Ku, la piccola gufa nata dall’uovo di Kuro) impegnati in una nuova commovente avventura. La direzione artistica di Ori and the Will of the Wisps è incredibile: sono moltissime le sequenze animate che sembrano “rubate” al miglior film Disney o Pixar di ultima generazione, cui si aggiunge una colonna sonora davvero epica. Inoltre, il già ottimo gameplay del primo titolo viene qui riveduto, corretto e ampliato, rendendo Ori and the Will of the Wisps un gioco imperdibile.
Per uno yamatologo come me, abituato (=rassegnato) ormai a vedere solo samurai e ninja ipercaratterizzati à la Naruto, Ghost of Tsushima è una boccata di ossigeno. Varrebbe la pena giocarci anche solo per l’approccio e l’estetica. Seguire una volpe in mezzo ai campi, accompagnati dal vento, è qualcosa di totalizzante a livello di esperienza e atmosfera.
Annunciato letteralmente dal nulla lo scorso Settembre (poco più di due mesi prima della sua uscita) sulla scia della spasmodica attesa degli utenti Nintendo per Zelda: Breath of the Wild 2, inseriamo in questa classifica anche Hyrule Warriors: L’Era della Calamità, che da campagna mediatica avrebbe dovuto raccontare appunto gli antefatti, ambientati 100 anni nel passato, di Breath of the Wild.
Fin da subito il gioco tradisce le aspettative del pubblico raccontando una storia ambientata in una “realtà parallela”, ma ciò non riesce ad inficiare la qualità di un titolo che risulta divertentissimo da giocare e la cui trama rimane comunque interessante. Decine di personaggi giocabili (alcuni completamente inaspettati) e centinaia di battaglie diverse: non è Breath of the Wild 2, certo, ma durante l’attesa L‘Era della Calamità figura come un graditissimo intermezzo.
Come si migliora qualcosa di già eccezionale? Chiedetelo ad Atlus, che nel suo remake/aggiornamento non solo ha limato le spigolosità presenti nella prima versione, ma ha aggiunto badilate di contenuto che vanno ben al di là del fan service.
Tra i punti di forza una direzione artistica senza paragoni, con le canzoni di Shōji Meguro e Lyn che sono tra le più belle mai sentite in un videogioco. Inoltre, se si gratta sotto la superficie anime della presentazione, c’è una tale complessità di fondo dei temi della storia che una volta afferrata stordisce, per quanto è curata e significativa.
L’unico vero difetto è che i nuovi contenuti hanno contribuito ad abbassare il livello di difficoltà rispetto al predecessore, ma se siete appassionati di jrpg basta cominciare la partita con un settaggio superiore.
Impossibile, davvero impossibile, non citare il titolo CD Projekt Red tra le più importanti uscite dell’anno. Attesissimo e record di vendite al lancio, un titolo ambizioso e mastodontico, zeppo di cose da fare e da scoprire. Ma anche una débâcle clamorosa nella sua versione console, lanciata sul mercato piena zeppa di bug e problemi, creando un vero e proprio caso mediatico che resterà negli annali.