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The Boys, il banco vince sempre nell’episodio 2×07 | Recensione

Pubblicato il 02 ottobre 2020 di Lorenzo Pedrazzi

Sul piano strettamente “drammaturgico”, uno degli aspetti più intriganti di The Boys risiede nel colossale disequilibrio delle forze in campo: con l’eccezione di Kimiko e Starlight, i nostri eroi sono persone “normali” che devono affrontare nemici invulnerabili e semidivini, per di più spalleggiati da una multinazionale potentissima che ha radici ovunque. Un conflitto impari, disperato, che proprio per questo guadagna ulteriore fascino. Butcher, Baker, Candlestick Maker, penultimo episodio della seconda stagione, conferma l’impressione di lottare contro un muro di gomma, che assorbe ogni attacco e lo rispedisce indietro al doppio della velocità.

La pancia del paese

Se avete visto The Social Dilemma, documentario che sta facendo molto discutere su Netflix, l’incipit di Butcher, Baker, Candlestick Maker potrebbe sembrarvi familiare. Il prologo dell’episodio, infatti, mette in scena lo stesso tipo di alienazione raccontata dai segmenti fittizi del docufilm, con un giovane solitario – il Charley Koontz di Community – che vive in una bolla di social network e fake news. La sua camera tappezzata di gadget dei supereroi (soprattutto Stormfront) rievoca quella concezione del fascio-nerd che si è diffusa negli ultimi anni, infarcita di estrema destra, suprematismo bianco e misoginia: è qui che l’alt-right scova un terreno fertile per le proprie ideologie, facendo leva sulla frustrazione degli emarginati sociali – o che si credono tali – e sulla paura della classe dominante nei confronti del “diverso”; nonché sul vittimismo di una maggioranza che ama dipingersi come oppressa. Abbagliato dalla retorica populista di Stormfront, questo ragazzo vede il nemico nell’ignaro gestore di un convenient store, e lo uccide perché crede che sia un super-terrorista. Si tratta di un incipit molto significativo, che conferma la lucidità degli autori nel rielaborare l’attualità, ma un po’ troppo frettoloso nel ritrarre il mondo soffocante del personaggio. In compenso, dà modo alla stessa Stormfront di esprimere le sue condoglianze alla famiglia della vittima, con quella retorica del «thoughts and prayers» che fu parodiata da un bellissimo episodio di Bojack Horseman. L’alt-right lancia il sasso e nasconde la mano, come si suol dire.

L’estensione di questo prologo è nella sottotrama che coinvolge proprio l’eroina dell’estrema destra e Homelander, i quali fanno visita a Becca e al piccolo Ryan dopo un comizio in piazza. La folle supercoppia sa bene che Ryan potrebbe rappresentare il futuro del movimento, e che Becca lo sta educando nella direzione opposta: fa tenerezza vedere l’innocenza del bambino, che riproduce i film preferiti della madre con il LEGO, in stop motion; ma Stormfront e Homelander hanno altri piani per lui, si capisce subito. È un dettaglio interessante, poiché conferma la priorità del contesto sulla genetica: Ryan sta crescendo come un bambino dolce e sensibile per merito di Becca, ma l’influenza del padre potrebbe condurlo sulla strada sbagliata. D’altra parte, viene detto che lo stesso Homelander era molto dolce da piccolo, ma evidentemente è stato traviato da un’educazione pessima e anaffettiva. L’impressione è che Ryan giocherà un ruolo importante nella serie, come ago della bilancia tra il populismo reazionario di Stormfront, il capitalismo neoliberista della Vought e gli sforzi dei nostri eroi per debellare entrambi.

Padri e figli

La dinamica tra padri e figli, peraltro, coinvolge anche Billy Butcher, costretto a incontrare l’odiato genitore a causa di un inganno: la madre gli fa credere che sia già morto, ma non è così. L’ottimo John Noble dà corpo all’asprezza paterna con la solita bravura, gettando una luce sul carattere arcigno di Billy, del quale lui stesso va fiero (per intenderci, gliel’ha trasmesso a suon di botte). È curioso il parallelismo con Hughie, che è l’opposto di Billy sullo spettro dell’identità maschile: sensibile e politicamente corretto il primo, cinico e tagliente il secondo. Non a caso, Hughie è cresciuto con una figura paterna che è antitetica rispetto a quella di Butcher, fragile e passiva. L’intera serie, in un certo senso, è il percorso formativo di Hughie verso l’azione, il decisionismo, la forza di volontà: lo dimostra il fatto che, quando Starlight è in pericolo, Hughie prende subito in mano la situazione, pur con tutte le incertezze del caso. Ciò che ne consegue è un mutamento nei rapporti di potere all’interno dei Sette, con schieramenti che diventano piuttosto chiari: da un lato Homelander, Stormfront e Black Noir, dall’altro Starlight e Queen Maeve, a cui potrebbero aggiungersi anche A-Train e/o Abisso.

Di fatto, Butcher, Baker, Candlestick Maker è un episodio di riconciliazioni: Billy con sua madre, Frenchie con Kimiko, Hughie con Starlight, e anche quest’ultima con sua madre. L’intera squadra è finalmente riunita sotto lo stesso tetto per vedere la diretta dell’udienza di Jonah Vogelbaum al congresso, che dovrebbe dimostrare i crimini della Vought. Ma ricordate cosa si diceva all’inizio? È un conflitto impari contro avversari apparentemente imbattibili. Proprio quando i nostri eroi pensano di aver vinto la partita, qualcosa va storto, e l’ennesimo grand guignol soffoca sul nascere le loro speranze. La sensazione è che il gruppo sia ormai al limite della sopportazione, soprattutto Butcher, come si può dedurre dall’inquadratura finale. C’è però da considerare il supporto crescente dell’opinione pubblica, manipolata dalla retorica di Stormfront e dall’invasione di hashtag e meme politici. D’altra parte, Stormfront lo dice in modo chiaro: l’esistenza di un nemico comune – in tal caso si riferisce alla “traditrice” Starlight – permette di unire le masse sotto la stessa bandiera, concentrandone l’odio contro un unico obiettivo. Purtroppo, anche Butcher e la sua squadra potrebbero ricoprire quel ruolo infausto. Staremo a vedere.