Non poteva esserci un momento migliore per The Boys, e bisogna dare atto a Eric Kripke, Seth Rogen, Evan Goldberg e Neal Moritz di aver saputo leggere il momento storico in cui versa l’industria culturale. Trasporre oggi il fumetto di Garth Ennis e Darick Robertson significa prendersi gioco della cultura pop in tempo reale, mentre l’egida di Amazon Prime Video alimenta un paradosso ormai consueto: il sistema dominante fa la satira di se stesso, controllando tutte le voci del dibattito, anche quelle dissonanti.
Già nei primi tre episodi della seconda stagione (in uscita il 4 settembre sulla piattaforma on-line), la serie radicalizza quel conflitto tra Davide e Golia che vede i singoli individui opporsi alle corporation, un potere talmente capillare da risultare indistinguibile dalle istituzioni, dai media e dalla cultura pop. The Boys ritrae questi elementi come un sistema integrato di manipolazione delle masse, dove i supereroi sono uno sponsor di facciata.
Difficile combattere una simile autorità, soprattutto se consideriamo che i nostri eroi, all’inizio della stagione, non se la stanno cavando benissimo…
Billy Butcher (Karl Urban) è scomparso: dopo aver fatto saltare in aria la casa di Madelyn Stillwell (Elisabeth Shue), il leader della squadra ha scoperto che sua moglie è ancora viva, e sta crescendo il figlio avuto dallo stupro di Homelander (Antony Starr) in un località ignota. Nel frattempo, Frenchie (Tomer Capon), Latte Materno (Laz Alonso), Kimiko (Karen Fukuhara) e Hughie (Jack Quaid) si nascondono dalle autorità, essendo ricercati praticamente da chiunque. L’assenza di Butcher però non frena Hughie, che vuole fare le cose a modo proprio, e trama con Starlight (Erin Moriarty) per rubare una dose di Composto V da consegnare ai media.
Parallelamente, i Sette accolgono Stormfront (Aya Cash) in sostituzione del defunto Translucent. L’eroina dimostra subito un carattere brillante, ed è molto critica nei confronti della Vought. Inoltre, non nutre alcuna soggezione verso Homelander, e l’attitudine alla leadership non le manca. Il gruppo deve dare la caccia a un presunto “super-terrorista”, sulle cui tracce ci sono anche gli stessi Boys, in cerca di un modo per riabilitarsi con l’aiuto della CIA. Ovviamente scopriranno una realtà ben più intricata di ciò che sembra.
Fin dalle sue storie del Punitore, Garth Ennis ha sempre detestato il modo in cui i supereroi monopolizzano il mercato, e The Boys riflette questa insofferenza su scala più ampia. Mentre i cinecomic dominano il box office, la serie si prende gioco delle strategie di marketing che caratterizzano gli studios hollywoodiani, a partire dal pinkwashing: ora i Sette hanno tre donne in squadra, e attorno a questa novità viene costruita una campagna promozionale ruffiana, basata sullo pseudo-femminismo “corporativo”. È proprio Stormfront a ridicolizzare il sistema, imponendosi come una voce autonoma sul carrozzone dello show business.
Già, perché la serie equipara i supereroi ai divi dello spettacolo: fanno videointerviste tutte uguali, round table con i giornalisti, pubblicità di cosmetici, e si affidano ai PR per curare la loro immagine. C’è persino la riunione per un film sulle origini dei Sette, con tanto di colonna sonora zimmeriana e personaggi femminili monodimensionali. Tutto ciò che accade oggi nell’industria dello spettacolo, The Boys lo concretizza in questi supereroi egoisti e boriosi, se non esplicitamente depravati. Pedine da usare per strappare contratti al governo, o per accattivarsi le simpatie del pubblico. Il problema è che i superpoteri amplificano le loro manie, le loro idiosincrasie e le loro idee radicali. Il gender swap di Stormfront, in tal senso, è un’ottima mossa: la caratterizzazione suscita una certa simpatia, ma quando la “supereroina” rivela la sua vera natura – ben nota ai lettori del fumetto – l’effetto è ancora più scioccante.
I risvolti più brutali e perversi dell’opera di Ennis sono stati edulcorati, e The Boys sicuramente perde qualcosa in originalità, ma le scene sanguinose non mancano. In alcuni casi hanno il parossismo grottesco dello splatterstick (la sequenza della balena), in altri servono ad alimentare l’odio del pubblico per determinati personaggi, in particolare Homelander e la stessa Stormfront. Al contempo, però, i protagonisti guadagnano nuove sfumature: Abisso compie un interessante percorso formativo che lo spinge ad affrontare le sue insicurezze, mentre il rapporto conflittuale tra Butcher e Hughie diventa più profondo. Anche il personaggio di Kimiko si arricchisce, ed è fra quelli che suscitano maggiore empatia, soprattutto nel terzo episodio.
In generale, l’impressione è che Eric Kripke e la sua writers room (tra cui Rebecca Sonnenshine, autrice della validissima seconda puntata) siano riusciti a migliorare ogni aspetto della prima stagione, dalla caratterizzazione dei personaggi ai parallelismi con l’attualità, anche perché il tema del suprematismo bianco sarà centrale in questi episodi. Come inizio è davvero buono.
Vi ricordo che il 4 settembre arriveranno su Amazon Prime Video solo le prime tre puntate, le altre usciranno a cadenza settimanale.