The Old Guard rilegge il cinema d’azione ai tempi della woke culture

The Old Guard rilegge il cinema d’azione ai tempi della woke culture

Di Lorenzo Pedrazzi

Con i grandi titoli rinviati ai prossimi mesi, The Old Guard occupa l’inattesa posizione di unico blockbuster estivo del 2020, nonché uno dei pochi cinecomic a trovare la via del pubblico nell’arco di quest’anno funesto. Ruolo bizzarro per un film prodotto in sordina, e che rischiava di perdersi nel mare magnum di Netflix tra innumerevoli action e sci-fi di bassa lega. Certo, in questo caso abbiamo la luce di Charlize Theron a guidare la compagnia, mentre una solida base narrativa è garantita dal fumetto di Greg Rucka (testi) e Leandro Fernandez (disegni), con il primo coinvolto in veste di sceneggiatore: due fattori decisamente superiori alla media, almeno tra i film originali della piattaforma on-line.

Un cinecomic, quindi, ma lontano dai modelli supereroistici di Marvel e DC. The Old Guard guarda soprattutto agli esponenti dell’azione e dello spionaggio contemporanei, come John Wick e Mission: Impossible, calando le imprese dei suoi guerrieri immortali in contesti “realistici”. Sì, perché la trama ruota attorno a un gruppo di mercenari che vivono in eterno, e risorgono istantaneamente quando vengono uccisi: la più antica è Andromaca di Scizia (Theron), leader della squadra, indurita da mille battaglie e disillusa da un mondo in cui non crede più. Nicolò da Genova (Luca Marinelli) è invece un crociato che vive una relazione centenaria con un vecchio avversario, Yusuf Al-Kaysani (Marwan Kenzari), a dimostrazione di quanto l’amore superi l’odio religioso. Sebastian le Livre (Matthias Schoenaerts) è un ex soldato napoleonico, incupito dal lutto e dalla solitudine. Alla squadra si aggiunge la marine Nile Freeman (Kiki Layne), morta sul campo e tornata in vita subito dopo. Nile non ha nemmeno il tempo di adattarsi all’idea di essere immortale, che un ex agente della CIA (Chiwetel Ejiofor) e il CEO di una multinazionale farmaceutica (Harry Melling) danno loro la caccia per scoprire il segreto della vita eterna.

Quella che segue è un’avventura dall’impianto tradizionale, con sorprese modeste ma coerenti, e una successione dei fatti che premia la linearità. Ogni personaggio ha le sue motivazioni (tendenzialmente elementari e stereotipate), e reagisce agli eventi in accordo alle sue esperienze passate, come si addice a una sceneggiatura pulita e un po’ scolastica. Stesso discorso per le scene di combattimento: Gina Prince-Bythewood – alla sua prima esperienza nel cinema d’azione dopo due drammi e una commedia – le gira con professionalità, dando respiro e valore alle buone coreografie di Danny Hernandez, che citano il “gun-fu” di John Wick. Insomma, un action onesto e godibile, dove la consueta bravura di Charlize Theron spazia dall’impegno atletico alle sfumature emotive.

Il suo limite principale, se mai, è di svolgere una funzione quasi esclusivamente “introduttiva”, come il lungo pilota di una serie tv: gli antagonisti sono soltanto una flebile scusa per innescare l’azione, mentre gli accenni al passato di Andromaca, ai commilitoni perduti e alla sua visione del mondo sono gettati lì per caso. È fin troppo chiaro che The Old Guard punta alla serialità (Rucka ha concepito l’adattamento come una trilogia), e certi dettagli servono solo a preparare il terreno per i sequel.

Ciò che più colpisce, allora, è l’attenzione che il film riserva al presente per immaginare un altro modo di fare cinema action. The Old Guard rovescia infatti i rapporti di forza in seno a questo genere, storicamente dominato dal “maschio bianco etero”, ovvero l’antagonista sociale della contemporaneità. Qui, gli appartenenti a quella categoria sono tutti villain o traditori, mentre la protagonista è una donna (forse lesbica o quantomeno bisessuale, anche se non viene detto chiaramente), e la sua “erede” è una ragazza afroamericana. Nera è anche la regista Prince-Bythewood, e fa piacere che abbia avuto un’altra opportunità nei cinecomic dopo il tramonto di Silver and Black.

L’apice è però rappresentato da Nicky e Joe, raro caso di personaggi maschili gay cui viene riservato un ruolo guerresco: non è poco, in un genere che ha sempre celebrato il machismo più tradizionale. I due ex avversari sono inoltre al centro di una delle dichiarazioni romantiche più belle degli ultimi anni, stravolgendo il topos secondo cui i legami tra commilitoni sono sempre e solo di solidarietà virile. The Old Guard, peraltro, non fa niente di tutto questo in modo cattedratico: la sua lealtà verso la woke culture è pienamente assimilata nei meccanismi del racconto e nella caratterizzazione dei personaggi, senza bisogno di proclami didascalici o lezioncine saccenti. E, rispetto ad altri film della medesima “scuola” (pensiamo al recente Birds of Prey), copre un ventaglio ancora più ampio di rappresentazione etnico-sessuale. Senza forzature, con naturalezza, segno che la strada è ormai tracciata: vedremo in quanti saranno capaci di seguirla.

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