Spesso tendiamo a dimenticarlo, ma gli anni Cinquanta sono stati al centro di una grande nostalgia collettiva. Tra i Settanta e gli Ottanta, quel decennio era visto esattamente come noi oggi pensiamo agli stessi anni Ottanta e Novanta: un’epoca felice, colma di rimpianti e romanticismo, che precede la perdita dell’innocenza (prima la guerra del Vietnam, ora l’11 settembre). Ovviamente quella supposta “felicità” è solo una costruzione illusoria, ma il pensiero a posteriori filtra la realtà attraverso il sogno, nascondendone i lati oscuri. La nostalgia per gli anni Cinquanta, insomma, era davvero tale: basti pensare a film, serie tv o libri come L’ultimo spettacolo, La rabbia giovane, Grease, Happy Days (nomen omen), Ritorno al futuro, IT, Stand By Me, L’attimo fuggente e A spasso con Daisy, giusto per citarne alcuni. Tutte opere ambientate negli anni Cinquanta, ma girate o pubblicate fra i Settanta e gli Ottanta.
È anche per questo che la nostalgia di The Vast of Night suona piacevolmente démodé. Se paragonato a Stranger Things o altri prodotti contemporanei, il film dell’esordiente Andrew Patterson scava più a fondo nell’immaginario fantastico, e omaggia Ai confini della realtà con un’imitazione sorprendentemente fedele: la scena d’apertura mostra infatti la sigla di Paradox Theatre, show fittizio che proietta gli spettatori negli stessi mondi immaginifici di The Twilight Zone. Questo espediente funge da cornice, e ritorna più volte nel corso della narrazione, ambientata in una cittadina del New Mexico chiamata Cayuga (come la Cayuga Productions di Rod Serling, celebre creatore della serie).
Siamo al crepuscolo degli anni Cinquanta. Fay Crocker (Sierra McCormick) ha sedici anni, e lavora nel centralino locale. La sera dell’incontro di pallacanestro, quasi tutta la popolazione è concentrata nella palestra della scuola, e il DJ radiofonico Everett Sloan (Jake Horowitz) trasmette per i pochi ascoltatori che non sono alla partita. Lui e Fay sono amici, ma fra loro si avverte una tensione che potrebbe lasciar presagire qualcosa di più. Quando la ragazza capta una strana frequenza audio, la fa sentire a Everett, che la trasmette in radio per scoprire informazioni in proposito: l’avventura che ne segue si svolge nell’arco di una notte fatale, che metterà i due ragazzi a confronto con l’ignoto.
Il cinema indie dimostra di avere ancora molto da dire sulla fantascienza, ottenendo risultati generalmente più originali rispetto a Hollywood. Non è tanto la trama di The Vast of Night a stupire, né la sua risoluzione, quanto la capacità di imbastire un mystery compatto e trascinante con pochissimi strumenti essenziali. La costruzione stessa dell’incipit è esemplare: Patterson e gli sceneggiatori (James Montague e Craig W. Sanger, anch’essi esordienti) ci immergono nella placida quotidianità serale di Cayuga, lasciando al centro dell’inquadratura Fay ed Everett per quasi tutto il tempo, finché i due amici non si separano. Siamo immediatamente travolti dalla ricchezza dei dialoghi, fitti e scoppiettanti, che fanno trasparire le personalità dei ragazzi e il loro rapporto brillante. Il copione, in effetti, è alquanto verboso: The Vast of Night è in buona parte un film di parole, e il dipanamento della trama si affida all’incontro con due figure chiave. Proprio come in The Twilight Zone, l’esposizione verbale ha un ruolo determinante, e anche la “poetica” è la stessa: consueto e inconsueto si compenetrano a vicenda, persone comuni entrano in contatto con l’impossibile.
Patterson imita il registro della serie in alcuni segmenti limitati, con tanto di bianco e nero, anche quando non c’è una vera e propria giustificazione tematica o narrativa per farlo. Più interessante è lo stile visivo che domina il film: campi lunghi o totali, pedinamento dei protagonisti con la steadycam e long take di ampio respiro, personaggi spesso inquadrati da lontano per valorizzare la loro relazione con lo spazio. The Vast of Night, in effetti, lavora su questo rapporto fin dalle primissime battute. La macchina da presa scivola fra le strade di Cayuga per esplorarne ogni angolo (impressionante il piano sequenza che parte dal centralino, attraversa la partita di basket e raggiunge la stazione radio), donando un senso di continuità che si riverbera anche nella coesione temporale. Montague e Sanger onorano rigorosamente le tre unità aristoteliche (se si considera l’intera cittadina come unità di luogo), contribuendo a un racconto ipnotico che s’inoltra progressivamente nel buio.
Certo, l’epilogo può apparire sin troppo “facile”, e certe soluzioni registiche hanno un’aria vagamente leziosa: Patterson è bravo, ma talvolta è fin troppo ansioso di dimostrarcelo. Questo però non pregiudica il fascino dell’opera, né tantomeno la sua raffinatezza stilistica. Il gusto dell’indagine, l’eccitazione della scoperta, la patina avvolgente delle atmosfere notturne: The Vast of Night riesuma una fantascienza che ormai fanno in pochi, intrigante e anti-spettacolare, dove persino un semplice tema musicale – composto da Erick Alexander e Jared Bulmer – riesce a dare un brivido di piacere. Potete recuperarlo su Amazon Prime Video, di certo non vi lascerà indifferenti.