Homemade: il dono del tempo, la memoria del cinema | Recensione dei corti Netflix

Homemade: il dono del tempo, la memoria del cinema | Recensione dei corti Netflix

Di Lorenzo Pedrazzi

Il cinema reagisce sempre agli eventi epocali, ne introietta i codici e li trasforma in opportunità: ne abbiamo parlato a inizio lockdown, quando l’eccezionalità del contesto suggeriva una riflessione sul ruolo “catartico” della Settima Arte, sulla sua capacità di sopravvivere ai drammi della Storia ponendosi come strumento di crescita ed elaborazione. Le istanze del reale, insomma, modellano il cinema, che opera al servizio della memoria e si fa documento, testimonianza dei tempi e delle persone che li hanno vissuti.

Homemade, uscito oggi su Netflix, è il primo passo di un cammino che durerà anni, utile ad assorbire gli effetti sociali, emotivi e psicologici di una pandemia che ha stravolto le prospettive di tutti. In tal senso, il progetto di Lorenzo Mieli, Juan de Dios Larraín e Pablo Larraín ricorda il film collettivo 11 settembre 2001, ma con alcune differenze dovute al formato (in Homemade gli episodi sono separati, non riuniti in un unico lungometraggio) e alle circostanze: in questo caso, infatti, i registi coinvolti hanno goduto di maggiore autonomia tematica, ma minore libertà produttiva. Tutti i corti sono stati girati durante la quarantena, con pochissimi mezzi tecnici (spesso lo smartphone), nessuna troupe (familiari a parte) e ambientazioni obbligate (la casa e/o i dintorni).

Il risultato è molto interessante, ricco di quella creatività che si esalta proprio nelle limitazioni logistiche. Ed è significativo che alcuni cineasti abbiano declinato l’emergenza Covid-19 come tema, mentre altri come opportunità. Solitudine e isolamento diventano così il motore espressivo del progetto, capace di adeguarsi a una gamma sorprendentemente ampia di generi: dal documentario alla commedia, dal video-saggio alla fantascienza, dall’horror al musical. Il tratto comune è una vitalità che non accenna ad arrestarsi, l’esigenza a creare e comunicare che è propria di ogni artista; una polifonia di voci che, pur partendo da situazioni privilegiate, riescono a toccare la verità dell’esperienza umana.

Vediamo i corti nel dettaglio (le note sulla trama sono le sinossi ufficiali di Netflix).

Homemade

Ladj Ly

Buzz fa volare il suo drone sopra Montfermeil e cattura i contrasti causati dalle misure di contenimento del virus.

Ladj Ly torna nella Montfermeil de I miserabili (Premio della Giuria a Cannes 2019) insieme a uno dei suoi protagonisti, Buzz, che stavolta usa il drone per esplorare la nuova quotidianità del lockdown. Un po’ irrisolto, ma fascinoso per come associa le sonorità riflessive dell’accompagnamento musicale allo sguardo “impossibile” della telecamera, che invade la privacy del vicinato come un’entità immateriale. Una piccola testimonianza di realtà sociale.

Paolo Sorrentino

A Roma due figure solitarie si incontrano, flirtano e riflettono su una vita di distanziamento sociale. L’amore può continuare se le loro menti di plastica si scontrano?

Il corto di Paolo Sorrentino dà corpo alle sue ossessioni ricorrenti, giovandosi di una compattezza e un’essenzialità che spesso gli sono estranee: il delizioso flirt tra la Regina Elisabetta II e Papa Francesco – rappresentati dai rispetti pupazzetti – è un’ironica riflessione sulla prigionia (ovviamente privilegiata) del potere, descritto come una sorta di lockdown perenne. L’idea di fondo e i dialoghi vivaci lo rendono uno dei migliori corti del lotto, nonché uno dei più creativi.

Rachel Morrison

Una regista compone un’affettuosa poesia lirica per il figlio, nella speranza che lui ricordi la magia quotidiana di avere cinque anni in un periodo straordinario.

Rachel Morrison – direttrice della fotografia di Sound of My Voice, Fruitvale Station, Black Panther e Mudbound, nonché prima donna candidata agli Oscar in questa categoria – dedica una meravigliosa lettera d’amore al figlioletto di cinque anni, stabilendo una connessione tra un suo drammatico ricordo d’infanzia e il presente. Morrison ha la sensibilità di riconoscere che il lockdown della sua famiglia (ci sono anche la compagna e la figlia secondogenita) è privilegiato, quindi accarezza i giochi del piccolo Wiley con le parole e la macchina da presa, riportando alla mente i bellissimi home movies di Jonas Mekas. Una splendida celebrazione dello sguardo infantile, e della sua alterità rispetto al mondo degli adulti: avrebbe meritato qualche minuto in più.

Pablo Larraín

Un uomo che vive in una casa di riposo si collega in videoconferenza con una donna di cui è stato fidanzato decenni prima, confessando il suo eterno amore per lei.

Il corto di Pablo Larraín è uno dei più rigorosi e “strutturati”: la sceneggiatura non è aperta come in altri casi, l’ambientazione è meno domestica, e l’opera stessa può vivere di vita propria anche al di fuori di Homemade. Il risultato è una rara deviazione del grande regista cileno nella commedia, con effetti spassosi e paradossali. Uno dei migliori dell’intera operazione, anche per il modo in cui rielabora il cliché della videoconferenza: da Larraín non ci si poteva aspettare niente di meno.

Rungano Nyoni

Immagini schiette e SMS ancora più schietti catturano il disintegrarsi di una coppia e i comici tentativi di creare un legame durante la quarantena.

Anche Rungano Nyoni, regista zambiana – naturalizzata gallese – dell’acclamato I Am Not a Witch, gioca con gli stereotipi “social” della quarantena, impostando l’intero corto come una serie di conversazioni su Whatsapp (comprensive di immagini e video). I dialoghi serrati e brillanti ne fanno una validissima rom-com in miniatura, davvero graziosa nel suo modo di scomporre e ricomporre la coppia. Il più divertente del lotto, anche per lo sguardo ilare e scanzonato sulla quotidianità.

Natalia Beristáin

Una bambina piccola ma molto determinata in quarantena prova tutto quello che le riesce di fare per mantenersi occupata e divertirsi a casa.

Come Rachel Morrison, anche la messicana Natalia Beristáin (Eterno femminile) focalizza l’attenzione sulla prole, ma il suo approccio è molto diverso: la cineasta opta infatti per l’unicità della bimba sullo schermo e nell’ambiente che la circonda, immaginando una quarantena dove gli adulti non esistono più, se non come incorporee voci di sottofondo. Ne consegue un’altra celebrazione dello sguardo infantile, anche se meno poetica e potente a livello visivo.

Sebastian Schipper

Un uomo alle prese con la monotonia quotidiana della vita in quarantena trova compagnia in modo inaspettato.

Il tedesco Sebastian Schipper, regista dell’apprezzato Victoria, merita un plauso anche per il semplice fatto di aver girato il corto realmente da solo, nell’arco di un fine settimana. La scarsità di mezzi aguzza l’ingegno: Schipper sfrutta con intelligenza il montaggio e i controcampi per confrontarsi letteralmente con se stesso, rendendo credibile lo sdoppiamento grazie a un lavoro sul suo aspetto fisico. Una simpatica messa in scena dell’isolamento in quarantena, dove l’ironia stempera la solitudine, e chi vive da solo può contare soltanto su se stesso.

Naomi Kawase

Durante lo stato di emergenza in Giappone, la pandemia spinge un ragazzo a contemplare la vita umana sulla Terra.

Il corto di Naomi Kawase (Le ricette della signora Toku) è forse il più criptico dell’intera collezione, e anche per questo è dotato di un fascino peculiare. Il taglio impressionista genera un accumulo di immagini suggestive, spesso con inquadrature strettissime, dove il singolo riflette sulla sua collocazione nel mondo. Ciò che ne risulta è un flusso di coscienza sia verbale sia visivo, una proiezione della mente e delle sue divagazioni nel tempo della solitudine. Ipnotico ed enigmatico.

David Mackenzie

Istantanee di vita di un’adolescente di Glasgow durante la pandemia: la stranezza e la noia dell’isolamento, voli di fantasia e fuggevoli momenti di contatto sociale.

David Mackenzie, regista di Hell or High Water e Outlaw King, dirige un validissimo cortometraggio che, nella sua attenzione alla quotidianità del reale, si divide tra il documentario e il Free Cinema britannico. I ragazzini e il loro sguardo sono ancora una volta centrali, ma il cineasta inglese ne valorizza soprattutto le interazioni sociali, i giochi condivisi, gli scherzi, le conversazioni: tanti frammenti di vita che compongono un’opera tenerissima e avvolgente.

Homemade

Maggie Gyllenhaal

Mentre un misterioso virus attacca il sistema solare, un uomo che cerca di sopravvivere in solitudine fatica a conservare le semplici comodità di una volta.

Il corto di Maggie Gyllenhaal – interpretato dal marito Peter Sarsgaard – è senza dubbio il più ambizioso in termini produttivi, nonché quello che dispone di mezzi maggiori. Memore della fantascienza indie americana, la regista e attrice newyorkese immagina una pandemia “cosmica” che aumenta la massa lunare e provoca conseguenze simil-apocalittiche, ma focalizza lo sguardo su un singolo uomo che vive in solitudine: l’esito è un’accattivante parabola sull’elaborazione del lutto, favorita dai riti della quotidianità e dall’invadenza del fantastico. L’impianto del corto è tradizionale, ma le immagini e l’ambientazione conservano un certo fascino.

Nadine Labaki e Khaled Mouzanar

Intrappolata in una stanza con il suo unicorno giocattolo, la piccola Mayroun crea un mondo immaginario che diventa più spaventoso a ogni minuto che passa.

Forse il corto più deludente del lotto, soprattutto se consideriamo il talento di Nadine Labaki (ma in realtà è stato girato dal marito Khaled Mouzanar). I meriti sono tutti della piccola Mayroun, che effettivamente è meravigliosa nel suo monologo immaginifico, capace di traslare progressivamente dal gioco infantile all’alienazione dell’isolamento. Il corto in sé, però, non è altro che una ripresa della bimba, con pochi interventi di montaggio e un accompagnamento sonoro (insieme all’alterazione dell’immagine). Ciò non significa che sia brutto, ma l’impressione è che la regista libanese e il marito non abbiano compiuto grandi sforzi.

Antonio Campos

La prudenza e il buon senso di due donne in quarantena si trasforma in terrore quando la figlia scopre un misterioso sconosciuto privo di conoscenza in riva al mare.

Antonio Campos, regista indipendente americano di Afterschool e Christine, flirta con l’horror e dirige il corto più misterioso del progetto Homemade, nonché il più autonomo dal tema della pandemia. Il ritrovamento dello sconosciuto sulla spiaggia dà luogo a un enigma sovrannaturale che avviluppa lo spettatore, sfociando in una circolarità potenzialmente infinita. Mai didascalica, l’opera si affida all’interpretazione del pubblico. Ipnotica e raffinata.

Johnny Ma

Un uomo in quarantena in Messico condivide frammenti di vita quotidiana e prepara ravioli cinesi in una commovente videolettera per sua madre che lei probabilmente non vedrà mai.

Il sino-canadese Johnny Ma (Old Stone, To Live to Sing) compone una delicatissima lettera d’amore per la madre lontana, mostrandole – pur sapendo che forse non la vedrà mai – la sua quotidianità con la compagna e i figli di lei. A connettere la sua vecchia vita con quella nuova è la ricetta dei ravioli, che Johnny e famiglia preparano tutti insieme per la festa della mamma: il risultato è un meraviglioso, struggente crescendo emotivo, dove gli esseri umani vivono in armonia con una natura che esplode rigogliosa in ogni inquadratura. Splendido e toccante, uno dei migliori della collezione.

Kristen Stewart

Bloccata a casa, in preda all’insonnia e tormentata dai grilli, una giovane donna cerca di spegnere il cervello in uno stato estenuante di confuso dormiveglia.

Alla sua quarta regia di un cortometraggio, Kristen Stewart realizza l’opera più intimista e autoreferenziale del lotto: il volto dell’attrice ha una centralità assoluta in quasi tutte le inquadrature, mentre la telecamera ne coglie ogni singolo mutamento. Un po’ ripetitivo, ma efficace nel mettere in scena l’alienazione della quarantena e lo stordimento atemporale del lockdown, quando sembrava di vivere in un eterno presente tutto uguale. Ne deriva, per certi aspetti, una sorta di cortocircuito tra vita pubblica e privata, in cui la diva americana sfoga la sua insofferenza per l’ossessiva attenzione dei media.

Gurinder Chadha

Con uno sguardo amoroso per la sua famiglia durante l’isolamento, la regista usa l’inatteso dono del tempo per riavvicinarsi ai figli e piangere i suoi cari scomparsi.

L’adorabile corto di Gurinder Chadha (Sognando Beckham, Blinded By the Light) è un documentario pieno di gioia e forza vitale, capace di gettare uno sguardo luminoso anche sui lutti che colpiscono la famiglia prima e durante il lockdown. Si respira un clima di serena familiarità, dove “il dono del tempo” in una quarantena dorata viene valorizzato per condividere gioia, calore, spazi, giochi, musica. Anche lei pone al centro lo sguardo infantile, ma lo unisce al proprio, ricordando come l’isolamento le abbia permesso di piangere le sue perdite in modo appropriato. Delizioso.

Sebastián Lelio

Una donna canta della sopravvivenza in quarantena mentre fa le pulizie di casa, balla e riflette sull’influsso che la pandemia sta avendo sull’umanità.

Ci voleva Sebastián Lelio, regista di Gloria e Una donna fantastica, per trasformare l’isolamento e le pulizie domestiche in un musical in miniatura. Il regista cileno genera così un piacevole cortocircuito fra il genere più surreale di tutti e la banalità della vita quotidiana, con effetti stranianti e canzoni dissacranti. Un modo brillante per esprimere le riflessioni suggerite dalla pandemia, impreziosito da un uso originale degli spazi.

Ana Lily Amirpour

Il giro in bicicletta apparentemente tranquillo di una donna mostra una Los Angeles strana e affascinante pur nel vuoto inquietante della pandemia del 2020.

Ana Lily Amirpour (A Girl Walks Home Alone at Night, The Bad Batch) si avvale della voce di Cate Blanchett per il suo video-saggio dedicato al lockdown, condividendo una serie di pensieri in libertà. Le immagini di una Los Angeles deserta sono potenti, le inquadrature molto suggestive, ma la narrazione è un po’ troppo didascalica e le riflessioni appaiono talvolta disorganiche. Più interessanti i discorsi sull’arte e sul punto di vista, che coinvolgono il mezzo cinematografico stesso. Nel complesso, però, è forse il corto più debole della lista.

Homemade

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