E la chiamano estate: la recensione di Summertime

E la chiamano estate: la recensione di Summertime

Di Lorenzo Pedrazzi

Nella sua costante ricerca di nuovi prodotti adolescenziali, Netflix riesuma uno dei pochissimi cult italiani dell’ultimo trentennio, quel Tre metri sopra il cielo che conobbe un grande successo internazionale nei primi anni Duemila. La notorietà oltre confine del romanzo di Federico Moccia si presta bene alle ambizioni della piattaforma, le cui serie escono contemporaneamente in molti paesi del mondo, e cercano di rivolgersi a un pubblico universale. Così, la storia di Babi e Step viene rielaborata per le nuove generazioni, adattandosi a un clima socio-culturale ben diverso rispetto a quello del 1992 (anno in cui il libro fu pubblicato per la prima volta) e del 2004 (quando Feltrinelli lo ripubblicò in un’edizione ridotta e modificata).

Di fatto, Summertime e Tre metri sopra il cielo non hanno quasi nulla in comune, e il riferimento letterario è solo una maschera promozionale. Il maggiore pregio della serie è proprio questo: si allontana dal romanzo per cercare la propria strada, dimostrandosi sensibile alle pressioni della woke culture e ai cambiamenti di un mondo in evoluzione.

Il fatto che la protagonista sia afroitaliana ha già di per sé un valore simbolico, dettaglio non trascurabile in un paese che ancora fatica a considerare “connazionale” chiunque diverga dal fenotipo europoide. Summer (interpretata dall’esordiente Coco Rebecca Edogamhe) deve il nome alla celeberrima canzone di George Gershwin, scelto dal padre trombettista e dalla madre cantante/chitarrista, cui presta il volto la Thony di Tutti i santi giorni. Il paradosso è che odia l’estate, nonostante viva in una località balneare come Cesenatico: la stagione calda, infatti, le ricorda le mancanze del padre, sempre assente per i suoi tour musicali. Summertime si svolge proprio nell’arco di un’estate, quella in cui Summer compie 18 anni e s’innamora di Ale (il Ludovico Tersigni di SKAM Italia), ragazzo molto diverso da lei, che corre in motocicletta a livello agonistico. Se Ale ha un’indole festaiola, Summer è invece più introspettiva, e frequenta sempre gli stessi amici: Edo (Giovanni Maini) e Sofia (Amanda Campana). Con loro c’è spesso Blue (Alicia Ann Edogamhe), la sorellina di Summer, mentre Ale è spesso in compagnia del suo migliore amico Dario (Andrea Lattanti), che sogna di fargli da meccanico in scuderia.

Questo microcosmo attribuisce alla serie un impianto corale, dove i protagonisti passano talvolta in secondo piano per lasciare spazio ad amici e parenti. Il paradosso è che le vicende di Edo, Sofia e Dario sono più interessanti e “fresche” rispetto all’amore tra Summer e Ale. Il loro legame nasce senza alcun approfondimento psicologico ed emotivo, e suona forzato nell’economia dei primi episodi: l’avvicinamento tra i due ragazzi non ha sfumature, ma avviene semplicemente “perché deve”. Solo alla fine, nel delicato epilogo dello show, si comincia ad avvertire l’esigenza di quella relazione e i suoi effetti sulla vita dei protagonisti.

Gli altri personaggi, in compenso, vivono storie meno stereotipate. Se Ale e Summer rappresentano l’amore romantico secondo l’utopia adolescenziale, Edo, Dario e Sofia sono invece ben calati nelle dinamiche “reali” dei rapporti odierni. Vincoli spesso incerti, saltuari, che possono durare pochi giorni o anche una sola notte. Summertime ha il merito di demistificare le relazioni amorose, riconoscendone la fluidità e la precarietà ai tempi dei social network: le separazioni possono consumarsi senza drammi, e le potenziali storie bruciano nella rapidità dei legami affettivi. Eppure, ogni esperienza è determinante nel percorso formativo dei personaggi, che alla fine risultano tutti cambiati. Non è affatto banale, a pensarci bene. Troppo spesso le narrazioni seriali tendono a radicare i protagonisti in una caratterizzazione fissa, dalla quale non si smuovono mai; nel caso di Summertime si verifica l’opposto, poiché l’adolescenza è un processo in divenire, che modella la personalità dell’individuo.

Questo percorso comprende uno spettro affettivo ben più ampio. Il rapporto tra Dario e Sofia, ad esempio, ci offre un buon esempio di amicizia tra uomo e donna (anche se l’assenza di ambiguità è dovuta al fatto che lei sia gay), mentre i legami familiari oscillano tra complicità e conflittualità, com’è giusto che sia in quegli anni tumultuosi. La serie riesce effettivamente a pizzicare corde verosimili quando mette in scena gli amori sfumati o inespressi, ma anche l’alternanza tra leggerezza e introspezione che è propria dell’adolescenza. Non sempre i dialoghi sono naturali, e talvolta i personaggi – Sofia in primis – hanno il difetto di parlare per stereotipi o aforismi, segno che il copione scivola nel didascalico. Dal canto loro, le interpretazioni scontano una certa inesperienza, pur riuscendo a rendere bene la goffaggine e l’imbarazzo che caratterizzano la pubertà. Anche la perenne ricerca di contatto fisico – memore del bellissimo Mektoub, My Love di Kechiche – tocca un aspetto fondamentale della pubertà, ancor più vero nei giochi estivi.

L’ambientazione, in tal senso, è una formula vincente: Summertime racconta un momento della vita in cui l’estate è ancora una stagione lunghissima, fatta di avventure ed esperienze nuove; una stagione che amplifica le percezioni sensoriali con la sua luce e i suoi profumi, esaltando al contempo le reazioni emotive. I registi Lorenzo Sportiello e Francesco Lagi riescono a dare alla serie un registro visivo riconoscibile, con una palette cromatica brillante che valorizza i toni accesi, piacevolmente irreali nei loro contrasti. Peccato solo che la costruzione degli episodi sia un po’ schematica, scandita com’è da riprese patinate delle spiagge (con molti panorami a volo d’uccello) e brani musicali di tendenza. La regia diventa addirittura soporifera nelle scene di moto, totalmente prive di dinamismo, ma per fortuna sono poche; molto meglio, invece, quando gestisce il dialogo dei corpi nello spazio (e con lo spazio), dando luogo ad alcune inquadrature ben costruite.

L’esito finale è nettamente superiore – e molto più moderno – rispetto a Baby, giusto per citare un’altra serie Netflix. Anche la rappresentazione del sesso e degli orientamenti sessuali punta sulla normalizzazione (invece che sul moralismo sensazionalistico), abbracciando una libertà che non si vede tanto di frequente negli show italiani. Intendiamoci, siamo lontani dalle migliori produzioni americane e britanniche, ma è comunque un notevole passo avanti. E chissà che, più avanti, Summertime non abbia l’opportunità di raccontare un’altra estate nelle vite dei suoi personaggi, diventando più matura al loro fianco…

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