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L’Uomo Invisibile e l’incredibile successo della Blumhouse!

Pubblicato il 04 marzo 2020 di blogmaster

Nel contesto di una Hollywood abituata a blockbuster altisonanti, budget alle stelle e spese folli, la Blumhouse Productions si staglia come un’alternativa vincente. La casa di produzione fondata nel 2000 da Jason Blum è specializzata in pellicole dai costi irrisori, ma capaci di ottenere risultati ai botteghini più che dignitosi. Una scommessa che non sempre ha generato risultati qualitativi all’altezza. L’Uomo Invisibile, tuttavia, sembra aver soddisfatto anche i palati più fini.

Il film nasce dalle ceneri del fu Dark Universe, il tentativo di creare un universo narrativo coeso popolato dai celebri mostri classici della Universal. Il progetto naufragò immediatamente, dopo il flop de La Mummia con Tom Cruise. Tra le pellicole già programmate, spiccava proprio L’Uomo Invisibile. Nel ruolo del protagonista si sarebbe dovuto calare Johnny Depp. Tutti i piani, però, sono saltati, e la Blumhouse è entrata in gamba tesa con il preciso intento di rimettere insieme i pezzi.

Un successo immediato

Del soggetto iniziale è rimasto ben poco, se non l’intento di rinfrescare la figura classica dell’Uomo Invisibile. Nell’interpretazione del regista Leigh Whannell, storico collaboratore di James Wan, il mostro diventa uno stalker, un predatore domestico. Una chiave di lettura molto interessante, enunciata in modo chiaro nel primo trailer del film. La protagonista, Elisabeth Moss, si trova sulla cresta dell’onda dopo la sua partecipazione alla serie The Handmaid’s Tale.

Il risultato è un lungometraggio capace di conquistare 50 milioni di dollari nel primo weekend di programmazione internazionale. A fronte di un budget di soli 7 milioni. Attualmente l’emergenza sanitaria ha fatto ritardare l’uscita del film nelle sale nostrane, ma L’Uomo Invisibile è già ampiamente rientrato nei costi, pronto a macinare profitto. Sul fronte della critica, poi, la pellicola è stata promossa con un sonante 91% di recensioni positive sul portale Rotten Tomatoes.

Il modello Blumhouse

Il modello della Blumhouse funziona, e ha molto da insegnare all’industria dell’intrattenimento cinematografico. Con le pericolose sirene delle piattaforme streaming alle porte, la sopravvivenza delle sale sembra poggiarsi sui grandi film-evento, capaci di calamitare l’attenzione del grandissimo pubblico con lustrini e paillettes. I budget lievitano sempre di più, ripercuotendosi sui costi dei biglietti, sempre più esosi per rimpinguare le casse delle major.

In questo scenario, la Blumhouse dimostra che c’è ancora spazio per pellicole di genere a basso costo. Esperimenti che permettono a registi indipendenti di mettersi in luce, facendo di necessità virtù. Non sono necessari budget gargantueschi per raccontare storie appassionanti. Il cinema di genere può ritornare alle radici, ripulendosi dagli effetti visivi magniloquenti per puntare al cuore del racconto. A dimostrarlo, almeno in questo caso, il beneplacito di pubblico e critica.