SerieTV ScreenWEEK Originals The Doc(Manhattan) is in
Quando Relic Hunter fece la sua comparsa sulla TV USA, nel ’99, si sprecarono i paragoni con Indiana Jones. I titoli su questa “Indy al femminile per il piccolo schermo”, visto che il personaggio interpretato da Tia Carrere, la cacciatrice di reliquie Sydney Fox, era tra un’avventura e l’altra una docente di archeologia a tempo perso, proprio come il Dr. Henry Walton Jones Jr., detto Indiana. Ma a scrivere quei titoli, su riviste e siti web della Internet 1.0, erano persone che non avevano impugnato un pad negli ultimi tre anni. O che si erano coperti occhi e orecchie ogni qual volta – all’epoca all’incirca ogni trenta secondi – veniva menzionato da qualcuno o qualcosa questo fenomeno planetario noto come Tomb Raider…
Non ci vuole questo grande sforzo ermeneutico, infatti, per rendersi conto che Relic Hunter e la sua formosa eroina perennemente in canotta erano il generico televisivo di Tomb Raider. Sydney Fox come Lara Croft. Poi sì, chiaro, Lara (archeologa pure lei) era a sua volta ispirata a Indy, ma è a Tomb Raider e al suo straordinario successo che guarda il produttore californiano Gil Grant quando immagina questa serie, al crepuscolo del vecchio millennio. Grant ha iniziato a scrivere per la TV a fine anni 70, e ai tempi è appena stato produttore esecutivo di The Cape, serie sulla vita degli astronauti della NASA andata in onda per una sola stagione, tra il ’96 e il ’97. In seguito sarebbe stato tra i producer di serie come NCIS – Unità anticrimine e NCIS: Los Angeles, ma Relic Hunter è una delle poche sue creazioni.
Prodotta in Canada, Relic Hunter viene pensata per il mercato delle serie in syndication. L’idea di base è – come per le sgambate su PC e console di Lara – quella di un’avventuriera alle prese con reperti perduti o rubati, nei quattro angoli del globo, e spesso in competizione con altri “cacciatori di reliquie”. Una scusa perfetta per infilarci un po’ di scazzottate e colpi di arti marziali. Per risparmiare sul budget, visto che i soldi in basso sono quelli che sono, e cioè pochissimi, le avventure da globetrotter dell’archeologia che porteranno Sydney Fox ovunque, da Hong Kong all’Italia, dalla Russia alla giungla peruviana, vengono tutti girati lì in Canada, a Toronto e dintorni. E si vede, eh. La foresta sullo sfondo è sempre la stessa. Ma a chi far interpretare la protagonista? A un’attrice che viene dalla TV ma in quegli anni è popolarissima anche sul grande schermo…
Nata a Honolulu, Hawaii, nel ’67, Tia Carrere ha esordito giovanissima come modella, per poi apparire in serie come Airwolf e General Hospital. A un certo punto dovrebbe diventare una dei protagonisti dell’A-Team, nel tentativo di risollevare con l’aggiunta di un nuovo personaggio le sorti dello show di Hannibal, Sberla e compagni, ma gli impegni pregressi con General Hospital le impediscono di farlo. Il suo personaggio sparisce, e non viene nominato più nelle avventure dell’A-Team. A partire dalla fine degli anni 80 arrivano i suoi primi ruoli per il cinema, pellicole in cui spesso le fanno fare la giapponese, pur essendo lei una statunitense di origini cinesi, filippine e spagnole (Harley Davidson & Marlboro Man, Resa dei conti a Little Tokyo, Rising Sun…).
Arrivati a fine decennio, Tia Carrere è una delle attrici più in vista del momento, anche e soprattutto grazie a True Lies di Cameron e a Cassandra Wong, il personaggio interpretato nei due Fusi di Testa con Mike Myers. Tia, che ha rifiutato una parte in Baywatch, ma è una presenza fissa nelle classifiche delle attrici più belle di Hollywood stilate dai magazine di allora, è all’apice della popolarità e salta a bordo di Relic Hunter quando le offrono la chance di una serie tutta sua. I giorni in cui tornerà in TV partecipando a vari reality show, come il Ballando con le stelle USA e The Celebrity Apprentice con Donald Trump, sono ancora lontanissimi.
I due co-protagonisti dello show sono gli assistenti di Sydney al “Trinity College” (le scene del campus, tanto per cambiare, sono girate in un’università di Toronto), Nigel e Claudia. Il primo accompagna spesso la professoressa nelle sue missioni sul campo, Claudia resta a presidiare la base e offre il suo aiuto in remoto, inventando ogni volta dei modi buffi per agevolare gli spostamenti degli altri due in luoghi inospitali. Nigel è l’inglese Christien Anholt, Claudia è Lindy Booth di The Librarians. Nella terza stagione, Claudia la pasticciona viene rimpiazzata da Karen (Tanja Reichert).
Il tono degli episodi di Relic Hunter è ammiccante in più di un senso. Non ci si fa il minimo scrupolo a indugiare sulle grazie della protagonista, che finisce in biancheria (o in camicia da notte sexy, o coperta solo da un asciugamano che – non inquadrata – lascerà scivolare per terra) per tutta una serie di ragioni, e il tono è sempre ironico. Non è un caso che Relic Hunter arrivi in TV nel ’99, un anno dopo l’esordio di V.I.P. con Pamela Anderson. Se togli da quest’ultimo show le guardie del corpo e ci mette i cacciatori di tesori, siamo lì.
Non è facile dire come siano state prese, soprattutto dal pubblico USA, le avventure di Sydney e compagni a caccia della chitarra perduta di Elvis Presley o dello scettro del regno di Ungheria, visto che i dati d’ascolto si perdono nel sottobosco delle serie trasmesse in syndication. Non devono però essere stati eccezionali, quei dati, per tutta la durata dell’avventura televisiva di Relic Hunter (66 episodi in totale) o quanto meno nella terza e ultima stagione, visto che la produzione decide di non rinnovare il contratto una volta terminati i primi tre anni previsti sin da principio. L’ultimo episodio della stagione 3, Il mistero di Stonehenge, va in onda Oltreoceano il 20 maggio del 2002, meno di un anno dopo l’arrivo in Italia della serie (su Italia 1, e come ti sbagli, nel giugno ’01). Merita una visione, Relic Hunter, oggi, visto che tutta la serie è disponibile in streaming su Prime Video? Oh, sicuro. Per farsi due risate, soprattutto per la collezione di stereotipi riguardante tutti i Paesi visitati per finta dai protagonisti. Italia inclusa. Una meravigliosa Italia del 2000 ancora ferma agli anni 50 della gita romana di a Gregory Peck e Audrey Hepburn in sella a quella Vespa, che ve lo si dice a fare…