Il festival ANIMA di Bruxelles è uno scrigno delle meraviglie per il cinema d’animazione di tutto il mondo, ma è ovvio che l’anteprima di un film Pixar susciti una curiosità particolare. Certo, da quando il prestigioso studio ha cominciato a produrre un maggior numero di titoli – ricordate le pause dei primi anni Duemila? – l’uscita delle sue opere non è più circondata da un clima di attesa messianica. Eppure, le aspettative si mantengono elevate: ogni produzione targata Pixar brilla quantomeno per un’intuizione creativa che spinge a riconsiderare l’intero film con occhi diversi, e Onward non fa eccezione; la compiutezza dell’opera si rivela infatti solo alla fine, dimostrando la maturità di uno studio che ambisce ad affiancare bambini e adolescenti nelle asperità della vita, senza edulcorarne i lati più foschi.
Il film di Dan Scanlon è forse il più “post-moderno” nella storia della Pixar, poiché rielabora un immaginario preesistente – quello dell’high fantasy e dello sword and sorcery – sulla base di una sensibilità ironica e contemporanea, con maggiore disincanto rispetto a Gli Incredibili, Wall-E e Ribelle (altri titoli che lavoravano su generi e tradizioni pregresse: i supereroi, la fantascienza, la fiaba). In questo caso, peraltro, il ricorso a un approccio post-moderno è giustificato dal contesto: Onward si svolge in un mondo fantastico, caratterizzato da tutti i principali tòpoi dell’high fantasy, ma traslato in un presente alternativo che non è molto diverso dal nostro. Ci sono le stesse tecnologie, le stesse professioni, gli stessi quartieri suburbani, gli stessi lavori d’ufficio, gli stessi fast food… ma popolati da elfi, unicorni, fatine, centauri et similia. La magia esiste, ma non interessa più a nessuno: creare la luce con un interruttore e una lampadina è molto più semplice, e anche viaggiare in automobile è più pratico che cavalcare.
Il timido Ian Lightfoot (Tom Holland) è un elfo che fatica a inserirsi, mentre suo fratello maggiore Barley (Chris Pratt) è un ragazzone irruente che protesta per difendere le antiche tradizioni, appassionato di vecchie imprese eroiche, stregoni e formule magiche. Il padre, morto anni fa per malattia, aveva chiesto a sua moglie di consegnare loro un misterioso regalo quando entrambi avessero compiuto la maggiore età, e il sedicesimo compleanno di Ian è il momento giusto per svelare l’arcano: si tratta di un bastone magico, che consentirà di riportare in vita il genitore per una singola giornata. Qualcosa però non va per il verso giusto, e i due fratelli riescono a far comparire solo la metà inferiore del padre. Partono quindi per trovare il cristallo che permetterà loro di completare l’incantesimo, ma hanno tempo solo fino al tramonto del giorno dopo.
Il titolo stesso racchiude già il senso del film: Onward (“in avanti”) indica la direzione di ogni quest dell’immaginario fantasy, basata sull’inesausto cammino dei protagonisti verso un obiettivo comune; ma, al contempo, suggerisce anche di “guardare avanti”, elaborare i lutti del passato per proiettarsi nel futuro. Così, l’avventura di Ian diventa un percorso formativo per la sua personalità adulta, fedele all’idea – pienamente realistica – che nessuno sia ancora “se stesso” all’età di 16 anni. È un processo lungo e spesso accidentato, quello che porta alla costruzione della propria individualità. Ian lo impara in una toccante epifania che anticipa il finale, quando capisce la sostanziale inutilità della sua ricerca: i padri non sono sempre quelli che ti aspetti.
Inno all’amore fraterno e all’accettazione della perdita come fatto inevitabile (ma non insuperabile), Onward è anche il primo film con cui la Pixar affronta le istanze del presente in termini di rappresentazione. Lo fa con un misto di orgoglio e timidezza, ma non c’è dubbio che inserire un personaggio LGBTQ+ in un film d’animazione Disney (seppure relegato a una singola scena) contribuisca a normalizzarne la percezione presso il grande pubblico. Al contempo, anche lo spazio riservato alla madre Laurel (Julia Louis-Dreyfus) dimostra l’intenzione di emanciparsi da alcuni schermi del passato, almeno per quanto riguarda ciò che accade sullo schermo. Lo stesso discorso vale per la deliziosa Manticora di Octavia Spencer, che con Laurel forma un duo femminile in grado di bilanciare almeno in parte i protagonisti maschili.
Siamo lontani dalle vette della Pixar (per quelli ci sarà l’attesissimo Soul di Pete Docter), ma Onward si afferma come una delle migliori produzioni “medie” del prestigioso studio californiano. Magari il contesto non è totalmente inedito: strano a dirsi, ma il poco riuscito Bright è arrivato prima, almeno se pensiamo a un presente alternativo costruito sui codici dell’high fantasy. Ovviamente il film di Scanlon è tutt’altra cosa, e ha il merito di equilibrare il lato umoristico e quello emotivo senza mai perdere il filo. Come ogni quest, anche stavolta c’è una ricompensa finale ad attendere i nostri eroi, ma il suo valore supera qualunque oggetto magico: è il superamento di quel disincanto che spingeva gli abitanti di questo mondo a guardare la magia con occhi fin troppo smaliziati, come facciamo noi di fronte agli eccessi romantici. Onward torna al passato per guardare con più fiducia al futuro.
“In avanti”, per l’appunto.