Locke & Key, l’horror per ragazzi abita ancora qui | Recensione

Locke & Key, l’horror per ragazzi abita ancora qui | Recensione

Di Lorenzo Pedrazzi

L’atteso rilancio dell’horror per ragazzi, innescato da Stranger Things e proseguito con Scary Stories to Tell in the Dark, potrebbe trovare in Locke & Key una nuova tappa decisiva: i dieci episodi della prima stagione rimandano infatti ad atmosfere che non si respiravano da tempo, e non è un caso che il demiurgo dell’intera operazione sia proprio Joe Hill, autore dell’omonimo fumetto con Gabriel Rodríguez. Dal padre Stephen King, lo scrittore americano eredita la predilezione per l’orrore che si cela nelle pieghe della quotidianità, insieme a una visione morale molto specifica: ben lungi dall’essere buoni o malvagi per natura, i suoi personaggi definiscono il proprio cammino in un’alternanza di cadute e redenzioni, meriti ed errori, scelte giuste e sbagliate. Il male “puro” è relegato alla dimensione sovrannaturale (come il Charlie Manx di NOS4A2), mentre gli esseri umani agiscono per libero arbitrio, e non perché destinati a compiere il bene o il suo opposto.

Qualcosa del genere accade anche in Locke & Key, dove il contesto apparentemente ordinario – una cittadina costiera del Massachusetts – rievoca le ambientazioni periferiche dei cult anni Ottanta, valorizzando al contempo il clima di “normalità” in cui irromperanno gli elementi fantastici. Salta subito all’occhio un piccolo dettaglio che diverge dai fumetti: nella serie, la cittadina non si chiama Lovecraft, bensì Matheson. Due scrittori – H.P. Lovecraft e Richard Matheson – che hanno influenzato moltissimo sia Stephen King sia Joe Hill, entrambi determinanti per l’evoluzione del genere horror in letteratura; ma scegliere Matheson per la versione televisiva significa citare un autore che ha lavorato moltissimo anche sul piccolo schermo (leggendari i suoi episodi di Ai confini della realtà), stabilendo così un’assonanza tra il mezzo espressivo e i suoi numi tutelari.

È proprio a Matheson che si trasferisce la famiglia Locke, composta dalla madre Nina, dal primogenito Tyler, dalla secondogenita Kinsey e dal piccolo Bode. Il padre Rendell è stato appena ucciso da un suo studente che pretendeva informazioni su una misteriosa “chiave Alpha”, e i Locke, devastati, decidono di lasciare Seattle per andare a vivere nell’antica magione di famiglia. Mentre Tyler e Kinsey tentano di ambientarsi nella provincia, Bode scopre che la casa nasconde numerose chiavi magiche, dotate di straordinari poteri. Ben presto anche Tyler e Kinsey vengono coinvolti nella ricerca delle chiavi, mentre una donna spietata e inarrestabile, Dodge, vuole appropriarsene per i propri oscuri motivi.

Locke & Key recensione

Creata dallo stesso Joe Hill, ma sviluppata dagli esperti Carlton Cuse, Aron Eli Coleite e Meredith Averill, Locke & Key conferma la tendenza di Netflix a diversificare i suoi prodotti adolescenziali, oscillando fra dramma e commedia, avventura e romanticismo, tematiche sociali e disimpegno. In questo caso, il fantastico incrocia il teen drama e la commedia, amalgamati da sfumature macabre che rimandano all’horror per famiglie: come Stranger Things (anzi, ben prima di esso, dato che il fumetto è del 2008), la serie riporta bambini e adolescenti al centro della vicenda, ritrovando il gusto di metterli in pericolo e incaricarli della loro stessa salvezza, senza l’aiuto degli adulti. Anzi, questi ultimi sono per lo più d’impaccio, incapaci di ricordare i loro incontri con la “magia” e di fornire un contributo effettivo alla battaglia.

Ciò che ne deriva è una celebrazione della solidarietà tra fratelli – e, per esteso, tra ragazzini – in grado di avvincere la curiosità del pubblico fin dall’enigmatico cold open, per poi entrare subito in connessione con la famiglia Locke. Il merito è anche dei dialoghi, più vivaci rispetto alla media di questi prodotti, e alla caratterizzazione semplice ma immediata dei tre fratelli. Se Bode resta legato a una purezza infantile, Tyler e Kinsey vivono invece i dubbi e i turbamenti dell’adolescenza, che li spingono a usare le chiavi per tentare di migliorare la loro vita: Kinsey, soprattutto, cerca in questi prodigi una via di fuga dalle sue insicurezze, fino al punto da usare la head key per rimuovere i timori e le inibizioni che la perseguitano. Il punto focale di Locke & Key risiede proprio in questo rapporto fra le chiavi e l’inconscio dei protagonisti. Ogni chiave apre un universo di possibilità che si estende nella loro psiche, trasformando la grande magione in un luogo della mente: c’è sempre una nuova stanza da esplorare, un nuovo oggetto da sbloccare, e gran parte del divertimento sta nello scoprire cosa farà la prossima chiave.

Locke & Key recensione

L’intera stagione mette in dialogo svariate dimensioni spaziali e temporali, facendo del dualismo la propria chiave interpretativa. I dieci episodi sono infatti punteggiati dal botta e risposta fra diversi “piani” del racconto: il passato e il presente sono sempre in comunicazione grazie ai flashback, innescati dai meccanismi associativi della memoria (ciò che Tyler, Kinsey e Nina vedono a Matheson rimanda spesso al trauma recente, impedendo loro di vivere una vita serena). Al contempo, però, il dialogo mette in connessione anche gli spazi: gli orizzonti della città costiera, colmi di luce vibrante e di tramonti invernali, bilanciano la cupezza polverosa della Key House, dedalo di stanze caratterizzate da un piacevolissimo horror vacui. Infine, il racconto oscilla costantemente fra il piano della realtà e quello dell’astrazione, poiché le chiavi permettono di uscire dal mondo sensibile per esplorare altre dimensioni: mentale, extracorporea, fantasmatica, demoniaca… insomma, un continuo andirivieni “metafisico”.

Magari non ha la personalità di uno Stranger Things, né le sue potenzialità iconiche, eppure Locke & Key riesce a intrattenere con una scrittura abbastanza stratificata, dove l’elemento ludico delle chiavi non perde mai il suo fascino: vogliamo scoprirne i poteri, ma anche vedere le tentazioni che susciteranno nei personaggi, sempre sul punto di fare la scelta sbagliata. Perché le chiavi sono oggetti neutrali, né buoni né cattivi; è il modo in cui vengono usate a determinare i loro effetti sul mondo, e Joe Hill lo mette in chiaro fin dall’inizio.

Ci si diverte parecchio, e la voglia di tornare a Matheson non manca.

Locke & Key recensione

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