Su Twitter, un fan ha pregato il regista James Gunn di non uccidere nessun personaggio nel terzo film de I Guardiani della Galassia. Gunn ha risposto quanto segue:
Quindi non credi che i personaggi dei film dovrebbero morire? Non potrei essere più in disaccordo. Ritengo che i film possano aiutarci a scendere a patti con la nostra mortalità, e anche con quella delle persone a cui vogliamo bene. Affrontarla attraverso la lente di storie/favole/miti può essere molto d’aiuto. In più, la morte di alcuni personaggi rende più significativa la sopravvivenza degli altri.
Una dichiarazione molto interessante, soprattutto se ricollegata ad una delle critiche che più spesso viene rivolta al Marvel Cinematic Universe: raramente i personaggi muoiono davvero. Anzi, la dipartita è ridotta ad una sorta di porta girevole. Un difetto ereditato proprio dalla fonte d’origine primaria dei cinecomic, ovvero i fumetti supereroistici. Nelle pagine degli albi Marvel e DC, quasi tutti gli eroi più conosciuti sono defunti, in tempi e circostanze diverse. La maggior parte di questi, però, è ritornata in vita dopo un lasso di tempo variabile, grazie a pretesti narrativi sempre diversi e fantasiosi.
I film targati Marvel Studios hanno seguito questa linea. Loki, per citare uno dei nomi più noti, ha tirato le cuoia diverse volte, e adesso troveremo persino una versione alternativa del personaggio nella serie Disney Plus. A morire in maniera definitiva solo i personaggi secondari, vedasi Yondu in Guardiani della Galassia vol. 2. Fino a prova contraria, certo. Non si sa mai cosa potrebbe accadere in futuro. Resurrezioni improbabili sono sempre dietro l’angolo, magari persino quella di Tony Stark.
James Gunn, nel tweet riportato sopra, ha analizzato la questione da due punti di vista. Il primo è caratterizzato da un sapore filosofico. I prodotti narrativi aiutano gli spettatori ad accettare la mortalità. Le fiabe e le favole hanno sempre impartito ai più piccoli lezioni morali importanti, aiutandoli nella fase della crescita e della maturazione. Il corrispettivo moderno potrebbero essere, nel loro piccolo, proprio le storie di eroi sgargianti e apparentemente invincibili. Miti moderni che, di tanto in tanto, hanno il diritto di crollare, per mostrare uno spiraglio della cruda realtà.
Il secondo punto fa riferimento diretto alle regole della scrittura creativa. La morte dei personaggi aumenta la posta in palio, e rende più significativa la sopravvivenza degli altri. Del resto, stiamo vivendo una fase della narrativa pop peculiare, e che trova il suo massimo esponente in Game of Thrones. La dipartita dei protagonisti è divenuta quasi una necessità, un elemento imprescindibile per rendere una storia degna di essere raccontata.
Frequente la lamentela nei confronti di numerosi film e serie TV: “Non muore mai nessuno”. La troviamo rivolta, appunto, anche nei riguardi del Marvel Cinematic Universe. Una necessità inespressa fino al decennio scorso, laddove era in voga la figura dell’eroe imbattibile. Eppure, prodotti d’intrattenimento in cui tutti i protagonisti hanno salva la vita hanno ancora senso di esistere, senza per questo risultare meno drammatici. A patto che ci sia un’evoluzione significativa della loro psicologia, e che gli eventi raccontati abbiano un impatto. Ne Il Signore degli Anelli, ad esempio, il tasso di mortalità è insospettabilmente basso.
Come spesso capita, la verità sta nel mezzo. Dimezzare i protagonisti sotto la falce della cupa mietitrice appare talvolta come un escamotage facilone. D’altro canto, la morte studiata di un personaggio amato può rendere più significativa l’impresa finale dei superstiti. Una lezione, quest’ultima, da cui forse il Marvel Cinematic Universe dovrebbe prendere spunto più spesso. Basta chiedere a James Gunn.
Fonte: ScreenRant.com