Downhill: la recensione del remake di Forza maggiore con Will Ferrell

Downhill: la recensione del remake di Forza maggiore con Will Ferrell

Di Adriano Ercolani

A sei anni dall’uscita dell’originale svedese Forza maggiore – a nostro avviso uno dei film europei più originali e sferzanti dello scorso decennio – ecco arrivare il remake americano che vede protagonisti Julia Louis-Dreyfus e Will Ferrell. Diretto Nat Faxon e Jim Rush (vincitori dell’Oscar per l’adattamento di Paradiso amaro) Downhill rispetta in maniera piuttosto pedissequa la trama del film di Ruben Östlund: venuta in vacanza in montagna, una comune si ritrova a essere vittima di un incidente più spaventoso che realmente pericoloso. La reazione inaspettata del marito e padre di fronte all’imminente rischio causerà però ripercussioni emotive e psicologiche che metteranno in crisi l’intero sistema familiare.

Una delle migliori interpretazioni della carriera di Ferrell

Più che le similarità sono ovviamente le differenze tra Forza maggiore e Downhill a essere interessanti e degne di analisi, poiché in sostanza rappresentano la visione e l’approccio con cui il cinema europeo e quello americano (in questo caso indipendente) si porgono di fronte al connubio narrazione/messa in scena. L’ipnotico lungometraggio di Östlund ad esempio privilegiava la forza della visione e la durata dell’inquadratura per insinuare nello spettatore un senso di inadeguatezza e scomodità emotiva a dir poco penetrante. I silenzi prolungati dei personaggi, spesso spersi in ambienti troppo vasti per contenere la loro frustrazione, rappresentavano per lo spettatore la possibilità di colmare tale assenza di senso con la propria sensibilità. Il lavoro di Faxon e Rush invece privilegia maggiormente il non-senso, non la sua mancanza: lavorando principalmente sul confronto tra Billie e Pete, Downhill è in un certo senso un damma comico più “spiegato”, in cui le psicologie dei protagonisti emergono con pienezza attraverso la banalità e l’assurdità di situazioni e comportamenti più o meno maturi. Se Östlund sottraeva al pubblico i sostegni narrativi necessari per empatizzare con le figure presentate, Faxon e Rush al contrario ritraggono i due protagonisti con accuratezza e sincerità, non evitando ovviamente di ridicolizzarli di fronte alle loro piccole grandi mancanze. E difficilmente avrebbero potuto far altrimenti, dato che il loro film è comunque costruito sulle performance di due veterani della commedia come Julia Louis-Dreyfus e Will Ferrell. Ed è in particolar modo quest’ultimo a rivelarsi la carta vincente di Downhill: l’attore fornisce infatti una prova di sorprendente compostezza e maturità, lavorando sul senso di tristezza e inadeguatezza che il suo corpo e il suo volto possono trasmettere. Se non addirittura la migliore, quella offerta in Downhill è senza dubbio una delle migliori interpretazioni della carriera di Ferrell.

L’azzeccata rivisitazione di un cult-movie contemporaneo

Dove invece il rifacimento paga tributo rispetto a Forza maggiore è in un finale che non possiede la corrosiva circolarità dell’altro. Per il resto Downhill è una rivisitazione a nostro avviso azzeccata di un cult-movie contemporaneo. Lo scarto presente tra le due opere è più che rappresentativo del modo in cui lo storytelling a stelle e strisce – quando riuscito – sa re-interpretare spunti e idee provenienti da altre sensibilità e visioni. Il cinema americano è racconto, esplorazione di caratteri e trame, e su questo costruisce poi la propria estetica. Il cinema europeo invece, molto spesso se non quasi sempre, parte da altre fonti di ispirazione per concepire l’opera cinematografica su fondamenta differenti. E qui sta probabilmente tutta la differenza tra Downhill e Forza maggiore.

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