In questi giorni la paura per un virus che il sensazionalismo giornalistico ha esaltato fino all’eccesso, creando una vera e propria psicosi, ha riportato gran parte delle persone a ripensare a molte di quelle pellicole apocalittiche che sembrano quasi avere dei punti in comune con le attuali vicende di cronaca; di seguito, ecco una serie di titoli cinematografici basati su pandemie globali!
Steven Soderbergh costruisce una pellicola che nei giorni attuali appare secondo alcuni quasi inquietantemente profetica: una malattia sconosciuta arrivata dalla Cina inizia a decimare la popolazione di Hong Kong prima e del mondo poi, mentre c’è chi, paventando una cura, lucra sulla tragedia e chi invece si impegna nella ricerca di un vaccino.
Un letale virus, simile all’ebola ma molto più potente e scoperto negli anni 60 in Zaire, ricompare 30 anni dopo in Africa: la malattia aggredisce ed uccide i contagiati in meno di 72 ore. Il film affronta la pandemia anche dal punto di vista dell’intervento governativo e militare, più teso all’insabbiamento che a far fronte all’epidemia. Dustin Hoffman è il protagonista della pellicola, che cercando di sfuggire alle forze armate è alla ricerca di una scimmietta che potrebbe rappresentare l’arma finale contro la terribile minaccia.
L’epidemia zombie è la più classica delle pandemie globali, ripresa da una moltitudine di film e serie tv: 28 Giorni Dopo di Danny Boyle è uno dei tanti esempi che qui citiamo come esempio per il genere, accanto a pellicole simili come World War Z, la saga di Resident Evil o i vecchi film di Romero.
In 28 Giorni Dopo, un ragazzo (Cillian Murphy) si sveglia in un ospedale deserto, per poi scoprire che l’intera popolazione di Londra sembra essere scomparsa. In realtà, gli abitanti sono stati mutati in creature incredibilmente violente e rabbiose da un misterioso virus, il cui periodo di incubazione è velocissimo (già dopo pochi secondi i contagiati perdono la ragione ed iniziano una rapidissima trasformazione). Come da manuale, il protagonista scoprirà presto che il virus non è la minaccia principale, e che dovrà guardarsi dai sopravvissuti ancor più che dagli infetti.
Remake del quarto film originale della saga, L’Alba del Pianeta delle Scimmie spiega il segreto alla base della straordinaria intelligenza manifestata dai primati protagonisti: si tratta di un virus, nato inizialmente per curare l’Alzheimer, che aumentando i neuroni delle scimmie le rende appunto intelligenti come (forse anche più) degli umani.
Da qui arriva la ribellione verso gli umani, colpevoli di sfruttamento verso gli animali, mentre si scopre che il “famoso” virus conduce lentamente gli umani alla morte. Il finale del film rimanda ad un futuro dove gli umani sono quindi destinati all’estinzione, e quindi in un futuro lontano ad una diversa origine per Il Pianeta delle Scimmie, primo film della saga.
Non un vero e proprio “virus” ma una sorta di feromone secreto dalla vegetazione è la minaccia in questo (in realtà poco riuscito) film di M. Night Shyamalan: le piante, sentitesi minacciate dalla crescente presenza sul pianeta della razza umana, sembrano aver iniziato a ribellarsi, tramite una neurotossina che spinge gli esseri umani a togliersi la vita, eliminando l’istinto di conservazione delle persone. Una premessa interessante che da sola vale la vista del film, che però consta di vari momenti non-sense e di pessime interpretazioni, culminando in un enorme caos e lasciando un finale più che aperto.
Un virus letale ha contagiato l’intera umanità, e nel 2035 solamente l’1% della popolazione mondiale è sopravvissuto. James Cole (Bruce Willis) viene inviato nel passato per indagare sull’accaduto, mentre tutte le prove portano al coinvolgimento del gruppo di ecoterroristi chiamato “L’esercito delle 12 Scimmie”. Il punto focale del film è in effetti giocato sui paradossi temporali, ma le rare scene ambientate nel futuro dipingono una desolazione inquietante.
Un virus originario dalla Scozia miete milioni di vittime nel 2008, portando la Gran Bretagna ad isolare il suolo scozzese dietro il Vallo di Adriano. 30 anni dopo, il virus arriva anche a Londra: una spedizione militare parte quindi alla volta dei focolai d’infezione originari nella speranza di trovare un portatore sano del virus e, quindi, una cura. Nell’entroterra la popolazione vive perl’esercito ormai da anni in condizioni medievali, asserragliata nei possenti castelli scozzesi dove la società ha subito una involuzione quasi tribale che costerà cara ai soldati protagonisti.