Judy Garland è stata sicuramente una delle più importanti artiste del XX secolo: cantante, ballerina, attrice, la sua eredità è rimasta viva anche nel talento della celebre figlia d’arte, Liza Minnelli.
Una donna tormentata che dietro il solare sorriso nascondeva notevoli drammi personali: la vita di Frances Ethel Gumm (questo il suo vero nome) appare nel film di Rupert Goold traumaticamente rovinata dalla partecipazione a Il Mago di Oz, film ironicamente che rappresenta il suo più grande successo. In Judy, ripercorriamo gli ultimi mesi dell’artista passati sulle scene, in una serie di concerti a Londra che celano e svelano interessantissimi retroscena sul tramonto della Garland.
Il film si apre in una perfetta ricostruzione del set de Il Mago di Oz, dove il “villain” della storia, L.B. Mayer, riesce subito a dettare i toni della narrazione allo spettatore tramite le sue parole ad una allora giovane ed ingenua Judy Garland. Uno dei temi principali della pellicola, che verrà analizzato a fondo fino agli ultimi istanti della stessa, emerge prepotentemente fin dall’inizio: qual’è il costo della notorietà? Quanto siamo disposti a scendere a compromessi con noi stessi per emergere dalla noiosa e spaventosa mediocrità?
Judy scopre a sue spese un lato oscuro di Hollywood che il film non smette neanche per un attimo di ricordarci: inizia da giovanissima non solo una dipendenza da farmaci – cui deriva una conseguenze estrema difficoltà nel dormire – necessari per mantenere un aspetto “idoneo” ed una concentrazione ai massimi livelli, ma in lei si sviluppa velocemente anche un continuo bisogno di approvazione da parte degli altri, di un pubblico che, ed è questa la sua più grande paura, potrebbe dimenticarla e rendere così futili tutti i suoi sforzi.
La pellicola inizia in realtà in un momento già di estrema crisi per la carriera della Garland: senza fissa dimora, costretta a chiedere asilo ad un ex marito (Sid Luft, interpretato da Rufus Sewell) che odia pur di offrire un letto ai propri figli, pronta a mettersi in gioco su palcoscenici minori per pochi dollari. La svolta arriva per amore dei suoi figli: per recuperare il denaro necessario ad offrire loro una vita dignitosa, Judy si trasferisce a Londra, dove è ancora amata e venerata, iniziando una serie di concerti che, nonostante i suoi modi bruschi, i suoi ritardi e la onnipresente depressione riscuotono un enorme successo, principalmente grazie all’aiuto della sua assistente Rosalyn Wilder (interpretata da Jessie Buckley; la Wilder ha fornito alla produzione una consulenza essenziale per la costruzione del film).
Judy racconta la storia di Judy Garland affrontando alcuni degli ultimi mesi della sua vita, ma si chiude 6 mesi prima della sua dipartita (avvenuta accidentalmente per abuso di farmaci ad appena 47 anni): il film non vuole mostrarci il lento cammino verso la morte della donna, bensì fornire uno spaccato della sua quotidianità talmente intenso da poter perfettamente essere preso ad esempio per la sua intera vita. Dagli eccessi, sia personali che sentimentali (come per il frettoloso matrimonio con Mickey Deans, interpretato da Finn Wittrock), al disfunzionale amore per i figli, dai piccoli momenti di estrema lucidità alle più profonde fragilità.
Ne risulta un accuratissimo ritratto la cui trattazione – ma non poteva essere altrimenti – smorza in alcuni punti il ritmo del film, ma che riesce a creare un legame empatico con la figura della Garland incredibilmente potente.
Il merito è in gran parte della protagonista assoluta della pellicola: Reneé Zellweger è davvero fenomenale nella sua ricostruzione, solo in apparenza caricaturale, di Judy Garland. Un’interpretazione quasi incredibile che domina la scena in qualsiasi momento e che riesce a mantenere altissimi i toni della pellicola anche nei momenti di maggior quiete: sembra in realtà che il film si sia potuto concedere determinate derive stilistiche proprio in virtù di una così carismatica interprete sul set.
Tutti i comprimari agiscono in funzione e a corollario della Zellweger, al punto che anche la regia in ultima analisi si trova ad essere necessariamente fagocitata dal talento dell’attrice: le inquadrature di Goold sono praticamente costrette ad omaggiare la recitazione della protagonista del film, soprattutto nei vari momenti relativi alle esibizioni di Judy sul palcoscenico di Londra.
Vedere Reneé Zellweger nei panni di Judy Garland è quasi ipnotico: si tratta di un’interpretazione molto lontana da ciò a cui l’attrice ci ha abituato, che ad una primissima impressione potrebbe risultare quasi non adeguata non tanto al personaggio quanto proprio all’interprete; ma subito invece diventa talmente naturale da riuscire a far sfumare nella mente dello spettatore i contorni delle due attrici, personaggio e protagonista. La Zellweger non veste solamente i panni di Judy Garland, ma in un certo senso diventa lei in tutto e per tutto, spogliandosi completamente dei propri stilemi e delle proprie caratteristiche personali, attoriali e recitative per ricreare un personaggio iconico che appare letteralmente tornato a nuova vita.
Le nostre scommesse, in vista della prossima cerimonia degli Oscar, sono certamente tutte in sue favore.