Da più di trent’anni il nome di Hiroiko Araki è legato a Le Bizzarre avventure di Jojo. L’autore nato a Sendai nel 1960, a Miyagi, ha cominciato a proporre alle case editrici le sue opere durante il suo primo anno delle superiori.
Ma dopo i continui rifiuti, decise di viaggiare fino a Tokyo per chiedere una spiegazione. Rimasto intimidito dall’edificio della Shogakukan, dove viene pubblicata la rivista Weekly Shōnen Sunday (Detective Conan, Inuyasha), decise di portare la sua opera all’edificio accanto, la Shueisha dove viene pubblicato Weekly Shonen Jump (One Piece, Naruto, Slam Dunk).
L’editor gli disse di sistemare la storia, per presentarla ai Tezuka Awards che si sarebbero tenuti 5 giorni dopo. Poker armato, questo il nome della storia breve, fu premiata con il premio per il runner up.
La sua carriera cominciò nel 1980, tre anni iniziò a pubblicare Magical B.T. sul Jump, seguito poi da Baoh e da Gorgeous Irene. Ma è nel 1986 che arriva la svolta con la pubblicazione di JoJo, dove continua a esservi pubblicato fino al 2004. L’opera cambiò rivista quell’anno, sul mensile Ultra Jump, dove ancora oggi è pubblicata.
La serie, pubblicata in Italia da Edizioni Star Comics, ha venduto più di 100 milioni di copie cartacee ed è uno dei manga più venduti della storia.
Nel 2012 JoJo è stato adattato in una serie animata dallo studio David Production, che ha adattato le prime cinque parti del manga in quattro serie. Al momento lo studio sta lavorando ai nuovi OAV di Thus Spoke Kishibe Rohan, introdotto nella quarta parte Diamond is Unbreakable, protagonista di numerosi spin-off. Oltre a Così parlò Rohan Kishibe, rivediamo il personaggio nella collaborazione con il museo francese Rohan al Louvre e infine in Rohan Kishibe va da Gucci.
Di seguito il nostro recap della sua prima visita a una manifestazione del fumetto italiana, Lucca Comics & Games.
Principalmente la creazione dei personaggi e del loro look si basa sugli incontri che faccio quotidianamente. Tutto quello che riesco a captare dalle persone, un po’ strane, vestite in maniera un po’ azzardata, oppure vestite in un modo più coraggioso e colorato.
Raccolgo molte cose da tutte le persone che incontro tutti i giorni.Faccio anche delle foto a queste persone e guardando poi le loro immagini, a volte cambiando l’angolazione, riesco a catturare la posizione dei personaggi, per poi studiare il look.
In particolare sull’Italia poi, mi ispiro molto anche alle statue, quindi a un design più classico.
Questo stile l’ho appreso molto dai viaggi che ho fatto da giovane in Italia. Le visite che ho fatto nei musei hanno dato un’ispirazione chiaramente classica.
Per me è molto naturale disegnare in questo modo, e secondo me anche i lettori giapponesi lo accettano naturalmente, in modo molto spontaneo.
Al contrario se dovessi fare qualcosa come scrittore giapponese, probabilmente non mi risulterebbe facile nel mio processo di creazione.
Non lo so, sono stato molto grato di esser stato scelto ma non conosco il motivo. In realtà credo di esser stato scelto dal Comitato JOC (Japanese Olympic Committee) per le mostre che ho fatto.
L’anno scorso il maestro ha festeggiato i 30 anni di carriera con la mostra Hirohiko Araki JoJo Exhibition: Ripples of Adventure tenutasi al National Art Center di Tokyo. In precedenza solo un altro mangaka aveva ottenuto questo onore: Osamu Tezuka.
Lo sto disegnando adesso, ancora non l’ho finito, ma lo sto disegnando davvero molto figo!
Il poster è stato rivelato il 6 gennaio, assieme a quello di altri 19 artisti. Si potranno ammirare al Museum of Contemporary Art Tokyo fino al 16 febbraio. Le opere sono un omaggio alle Olimpiadi e alle Paralimpiadi.
Sul sito ufficiale l’opera è accompagnata da questa dichiarazione:
“Ho immaginato gli dei degli sport che discendono sul Giappone da un cielo pieno di nuvole che assomigliavano a delle onde burrascose.
Il motivo compositivo è stato tratto dalla stampa di Katsushika Hokusai, The Great Wave off the Coast of Kanagawa. Decidere il colore del Monte Fuji è stato difficile, ma alla fine ho optato per un color miele”.
Molti i riferimenti anche a JoJo, dalle Maschere di Pietra allo stand Aerosmith che vola…
Questa è facilissima! In Giappone c’è una catena di ristoranti aperti 24 ore su 24 che si chiama Jonathan’s.
Il nome è partito da quello, il personaggio è nato perché volevo disegnare un macho, un maschio italiano.
Il ristorante però è in stile americano, c’è poca roba d’italiano.
Non ci ho ancora pensato, ci penserò poi. Però adesso non ne ho idea di cosa farò dopo.
Non sono un lettore di fumetti americani, supereroistici. Più che altro da giovane ho letto fumetti francesi, in particolare Bilal.
Spider-Man è un personaggio che mi piace. I supereroi sono dei personaggi che pensano un po’ troppo a sé stessi, si piangono un po’ troppo addosso. Preferirei delle persone con i piedi per terra che guardano in avanti. Più realistiche. Sono un po’ lamentosi, ecco.
Mi piacciono i film horror, ma un po’ realistico. Mi piace The Walking Dead.
In realtà era una motivazione molto alta. Vento Aureo è stato pubblicato su Shonen Jump che è una rivista per bambini, adolescenti. Per me la cosa più brutta per un bambino è il tradimento. In quella scena loro tradiscono il boss e se ne vanno. Se magari continuo a far vedere quello che non segue il gruppo, diventa una cosa molto più triste, pesante per i lettori. Quindi ho preferito concentrarmi sul gruppo e non Fugo.
È stata dura abbandonare quei personaggi ma il processo della storia era giunto per me a una conclusione. Sebbene finisca in realtà vi è un processo di rinascita. Quindi la ricreazione di un nuovo mondo.
Per me era come ripartire, e la scrittura di partenza coincide con il processo di rinascita del mondo. Si è stato difficile abbandonare quei personaggi, ma in realtà poi non si tratta di un abbandono totale perché dopo rinascono leggermente diversi.
Si sono cambiato, ma per quanto riguarda i personaggi, è vero sono cambiati così come la storia e il contesto ma in realtà quello che rimane, il filo conduttore che lega la storia, è la spiritualità. Il cuore, l’anima, lo spirito dei personaggi è il filo conduttore di tutta la saga.
Quando ho iniziato Phantom Blood, era una cosa strana, particolare vedere morire il protagonista. È vero Jonathan ad esempio muore nella prima serie ma quello che trasmette a tutti i personaggi in quelle successive, è lo spirito, i valori, il cuore e l’anima del personaggio che rimane per tutta la saga.
All’inizio per esempio i personaggi erano molto muscolosi, forti, che usavano il potere delle Onde Concentriche. La spiritualità mi ha poi portato alla creazione dello Stand come spirito guardiano, che è una conseguenza diretta dell’anima che viene trasmessa alle generazioni successive.
I personaggi hanno un’anima, un cuore forte e immortale. Questo si riflette nello Stand, il loro potere, la loro spiritualità così forte, messa su carta.
In realtà i superpoteri non si possono vedere a occhio nudo, ma per me è un modo per mettere su carta il potere, la forza, la spiritualità dell’anima di questi personaggi.
La manipolazione del tempo, poterlo fermare, aumentare e cambiare. Per me è il potere più forte che ci possa essere. Quando giungeva il momento dei nemici finali, questo è un potere che dovevano avere. È una cosa che mi affascina, poter manipolare il tempo e trasmetterlo dai genitori ai figli, ai discendenti. È sicuramente il potere più forte che ho pensato fino adesso.
Quando ho creato Kira ho immaginato che il mio vicino di casa vivesse un assassino. Ma com’è? Non è un personaggio vistoso. È una persona comune, quindi calma, molto tranquilla, sta in casa, ha degli hobby, delle attività. Quindi immaginando una persona del genere ho creato il personaggio di Kira.
Quello che lo rende forte e che mi affascina è che lui è un personaggio che accetta se stesso. Non è combattuto, guarda oltre, sa come è fatto, si conosce molto bene e affronta la vita di conseguenza.
Ne vorrei parlare ancora, ho letto tanti libri sugli assassini.
Da giovane mi piaceva molto lo stile di Versace, per esempio le spille e cose del genere. Non ho nulla in programma al momento.
È un personaggio un po’ grassoccio che viene ucciso nella quarta serie, da Kira. Si chiama Shigechi (Shigekiyo Yangu di Diamond is Unbreakable). Il tipo che raccoglie le monetine.
Il momento che mi piace di più è la quarta serie, perché è ambientata a Morio-cho, che è una città che ho creato ispirandomi alla città dove sono nato. Mi piace molto l’ambientazione, ci sono molto legato.
Non lo conosco. In realtà non penso che si siano molte similitudini anche perché, non conosco il processo creativo di Murakami, probabilmente ascolto la musica ma per me è una cosa quotidiana.
Tutti i giorni ho la musica accesa. Quindi non so lui faccia la stessa cosa, non penso ci sia una similitudine. Non conosco il processo creativo di Murakami, non penso che quando scrive ascolta la musica, probabilmente si.
Io sono già venuto a Lucca per Puccini, perché amo la sua opera.
Ci ho pensato molto. Il personaggio di Dio è molto forte, pensare a qualcuno che è così forte, fa così paura, che non ha un senso di responsabilità, è veramente l’antitesi del buono, della famiglia Joestar in questo caso.
Quindi il fatto che questa cosa venga tramandata con la resurrezione mi ha affascinato molto. È un personaggio talmente forte che non poteva morire così.
C’è questo processo di rinascita che lo rende ancora di più spaventoso. Questa è una cosa che in Giappone spaventa molto, questo discorso sulla rinascita, il passaggio dall’antenato al discendente.
Nel caso di Dio serviva per far capire che era così forte e questo era l’unico modo per farlo andare avanti nella storia.
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Buonasera a tutti. C’è un personaggio che conosco lì…
L’idea dalla quale è partito JoJo, era che volevo disegnare, mettere su carta i superpoteri di qualcuno. Superpoteri che, di solito, non si possono vedere disegnati.
Io lo volevo disegnare, trasformare in immagini. L’ho fatto su Shōnen Jump, dove ho debuttato, e ho cercato di mettere un nome facilmente ricordabile, un nome JoJo, quindi delle consonanti e delle vocali che si collegassero nello stesso modo.
In realtà nasce tutto perché mi è stato detto: ‘Disegna una cosa del genere’. Quindi io ho cominciato a disegnare su questo argomento. Mi sono accorto dopo, disegnando: ‘Accidenti è una cosa molto interessante, un tema così profondo, l’ammirazione per l’essere umano, insomma è una cosa veramente seria. Ma me ne sono reso conto dopo perché prima non ci avevo pensato.
Questa è stata la versione corta. La versione più lunga è che in realtà volevo lavorare anche sul tema dell’affermazione del genere umano, il non negare la propria umanità. E quindi ci sono le persone buone e le persone positive, che sono comunque apprezzate ma anche personaggi negativi che hanno comunque qualcosa di apprezzabile proprio per il fatto di essere umani. E questo voleva essere un po’ il tema dell’opera.
All’inizio è stata una risposta un po’ superficiale, ma è stata una bella risposta.
In realtà non lo faccio per cattiveria nei confronti della famiglia Zeppeli, completano un po’ quella che è la famiglia dei Joestar, servono un po’ per la storia, quindi il discorso che poi muoiono etc. serve poi per completare la storia e per facilitare il suo proseguire.
Sono un grande fan degli Zeppeli perché il bello di questa famiglia è che alla fine muoiono ma, trasmettono questi valori, questa positività anche attraverso la morte.
È il mio lavoro pensare sempre ogni giorno cose nuove. Ma prendo ispirazione da tante cose, da cose della quotidianità, quando incontro gli amici, quando vedo gesti particolari anche dei miei amici, parlando e incontrando l’anziano che vive accanto a me. O quando bevo un po’ d’acqua e mi rimane in gola dico: ‘Ah magari potrei fare un potere dello Stand simile’.
Quindi il processo di trovare idee è basato sull’osservazione della quotidianità.
Per quanto riguarda la parte sui viaggi, questo aspetto è stato molto ispirato dalle uscite che facevo in bici quando ero bambino. Facevo questi piccoli viaggi in bicicletta e andavo in tanti posti.
Salivo le montagne, giravo per le città. Però questo viaggiare, questo muoversi è stato un processo che mi ha aiutato molto a crescere, nel passaggio da bambino ad adulto.
E quindi per me è molto importante la filosofia del viaggio perché consente ai personaggi che l’affrontano di diventare adulti, di crescere dalla partenza alla fine del viaggio.
Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, il processo di creazione nel manga dei luoghi contenuti…
Per esempio quando si va a fare un campeggio, e ci si ferma durante il viaggio perché c’è qualcosa da affrontare, una paura da affrontare, succede spesso che la si affronta corpo a corpo.
Io mi sono chiesto, cosa sarebbe successo se questo nemico, questa paura da affrontare si nasconde, sta ferma, aspetta, magari proprio nell’appartamento accanto. E quindi da questa idea nasce il contesto di Morio-cho, il fatto di avere un nemico che non è visibile, è una persona tranquilla, che aspetta in silenzio. Per me era un’altra sfida rispetto a quelle che avevo affrontato fino a questo momento.
Morio-cho è basata sulla città dove sono nato e cresciuto. È vicino Sendai ed era piena di gente strana.
Sono brave persone quelle che ci vivono.
La cosa che mi influenza di più è il ritmo. Probabilmente lo vedete anche nelle scritte che appaiono [nel manga], ad esempio come il pam-tan-pam! Sono tutti diversi tipi di ritmica che ascolto e che mi influenzano nella creazione della storia.
In realtà non lo so. [Traduttore: Probabilmente non lo vuole dire]. Avevo ben chiaro l’inizio e abbastanza ben chiara la fine.
Tutto quello che succede in mezzo è come un concerto jazz, quindi è tutto spontaneo e un processo di narrazione molto spontaneo. Però la fine è abbastanza chiara, su come finirà.
Stephen King mi piace, mi è piaciuto molto The Twilight Zone. Sicuramente c’è un’influenza dei film horror, che mi piacciono molto. Nell’ambito dei film horror mi ispirano di più pellicole come Chucky [La bambola assassina].
In realtà non le ho decise io. Ma mi piacciono molto. Amo PFM (Premiata Forneria Marconi) e l’opera di Puccini.
La caratteristica che unisce tutti i vestiti è che devono essere abiti che rendono facili il movimento. Però in particolare nei protagonisti, lui si concentra sempre sul modello della divisa scolastica giapponese, su quella poi ci aggancio altri particolari come per esempio la spilla della coccinella, cose più fantasiose.
Ma la base, sopratutto sui protagonisti, rimane la divisa scolastica.
Un manga che mi è piaciuto molto è Babil Junior dove il protagonista con la divisa da studente va in posti tipo il deserto, per me era una cosa bellissima. È stato una grandissima ispirazione perchè per me era fantastica l’idea di far muovere in questi paesaggi desolati, personaggi con la divisa scolastica. Addirittura mi sono commosso moltissimo, vi veniva da piangere quando l’ho letto.
Se oggi prendo ispirazione dal tempo che c’è a Lucca, che è piovoso. In Giappone esiste questo modo di dire Hare Otoko, Ame Otoko, cioè le persone che portano bel tempo e le persone che portano il brutto tempo, la pioggia. [concetto su cui è basato Weathering with you di Makoto Shinkai, ndr.]. Io vorrei avere il potere di cambiare il tempo.
Per esempio oggi pensavo che piovesse tantissimo grazie a me e invece come vedete non piove.
Sì, scusatemi, però era così cattivo che la fine doveva essere quella in un mondo o nell’altro. Mi viene comunque segnalato anche dai fan giapponesi che in effetti… Però scusate.
[Ride] Non è Rohan. In realtà è quello che vorrei essere. In realtà non c’è un personaggio che mi assomiglia però mi piace Shigechi, che raccoglie i soldi.
Non so se può essere interessante, quando scrivevo per Shōnen Jump, le scadenze prevedevano consegne di 19 pagine. Tutte le volte non riuscivo a farne 19, ne facevo sempre 21.
Due pagine mi toccava sempre buttarle. Le tagliavo sempre, due pagine dovevo sempre tagliarle. E non finivano nemmeno nel capitolo dopo.
Invece adesso sono molto tranquillo e anche soddisfatto perché su Ultra Jump sono 45 le pagine. Forse adesso sono anche troppe.
Quello che correggerei sono gli errori di stampa, tipo in giapponese quando ci sono delle esclamazioni, invece di “Nani suru da!” ogni tanto veniva scritto “Nani surunda!” con la N. Ecco quella N è un errore. Però non ero io che le correggevo, era una responsabilità del redattore. Ecco quello correggerei. Nei primi volumi ci sono tanti errori di scrittura.
Visualizza questo post su InstagramSi va in scena #livedrawing #hirohikoaraki #luccacg19 #edizionistarcomics #ilovemanga
[Ride]. Ne farò due ma andrò a ispirazione.
In realtà è una motivazione molto semplice. Da sempre ho disegnato in analogico, e per me pensare di passare improvvisamente al digitale, le sensazioni che trasmetterei poi sull’immagine non sono le stesse che do adesso con l’analogico.
Mi riesce un po’ difficile pensare di passare al digitale, dopo aver lavorato per più di 30 anni all’analogico.
Qui probabilmente non esiste. È un pennello giapponese, il nome è proprio pennello. Pensavo ci fosse un nome più tecnico invece no.
Oggi invece uso semplicemente il pennino.
Ito: Lavorare con il sensei è molto particolare per un editor, sopratutto nel panorama dei mangaka. È molto particolare intanto perché ha un ritmo di vita molto regolare, nel senso ogni settimana lui ha due giorni di riposo, cosa un po’ strana fra i disegnatori di manga che hanno delle schedule molto strette e spesso non rispettano gli impegni.
Invece lui rispetta la tabella con questi due giorni riposo, lavora cinque giorni su sette. Per un editor lavorare con una persona così è un po’ particolare nel panorama dei manga ma per noi è ottimo.
Ito: Il modo di lavorare con lui è molto facile: una volta a settimana, ci incontriamo a un family restaurant [dei ristoranti in Giappone aperti 24/24]. Prima ci vedevamo al Jonathan’s, adesso invece al Royal Host. In un giorno prestabilito c’incontriamo sempre la sera e parliamo di come proseguire il manga, e quali modifiche fare.
Araki: [ride] Vi invito a venire, dovrete cercarlo.
Ito: Probabilmente mi ripeto anche io, però la particolarità, e questo lo voglio sottolineare, è davvero un particolare del maestro, è che lui ha un ritmo di lavoro veramente regolare, ma non è una cosa scontata. Si sveglia la mattina presto, lavora fino a una certa ora, rispettando tutte le scadenze. La notte dorme, non succede quasi mai che un mangaka dorme la notte, e poi la mattina si risveglia, a un orario regolare, veramente preciso, una cosa mai vista in un mangaka.
Ito: Ho lavorato per Shueisha, anche con Takashi Yoichi di Captain Tsubasa, e in realtà sono anche venuto a vedere una partita di calcio qui in Italia.
A Lucca invece è la prima volta che vengo. Mi piace molto, soprattutto qui durante il festival è interessante vedere una città molto antica, che potrebbe essere paragonato a Kyoto in Giappone. Ma dove vengono fusi questi elementi importati dal Giappone, non so se è una cosa recente. Però vedere anime, manga, cosplay all’interno di un contesto così antico, così classico, è una cosa molto interessante. Anzi mi piacerebbe vedere anche in Giappone una cosa così, questo contrasto tra culture differenti.
Ito: Per quanto riguarda la domanda, ci sono molti tipi di manga, ma sicuramente – vedendo poi anche la reazione adesso del pubblico – quello che piace del maestro Araki è il disegno che riesce a mettere su carta. Le illustrazioni che produce sono molto particolari, molto diverse da qualsiasi altra illustrazione realizzata dai mangaka attuali.
È stato un processo un po’ lungo e un po’ difficile, trovare il mio stile personale. All’inizio mi ispiravo molto a Babil Junior di Yokoyama Mitsuteru. Dopo all’autore Shirato Sanpei, era una fonte d’ispirazione e addirittura lo imitavo all’inizio. Poi da JoJo, ho cominciato a formarmi come artista e a trovare il mio stile. Quindi è stato un processo un po’ lungo, all’inizio era un’imitazione e un ispirazione ai mangaka più classici.
Araki: È molto importante per me avere un proprio stile. Ad esempio, adesso forse meno e in passato di più, in Giappone in treno molte persone leggono i manga uno accanto all’altro durante il viaggio.
In queste situazioni, se da lontano dando semplicemente una piccola occhiata al manga che la persona accanto sta leggendo, si riesce a capire che titolo è, questo per me è molto importante.
Vuol dire che l’autore ha un tratto, uno stile che è veramente riconoscibile. Riconoscerlo da lontano vuol dire avere veramente la consapevolezza di quello che si sta facendo e aver creato un buon lavoro.
Araki: Non esistono persone che l’hanno creato, però è una cosa che è stata tramandata da senpai a kouhai. Ho imparato da altre persone, ho preso ispirazione per la tecnica del disegno, lo sviluppo della storia.
Se devo trovare un nome, non c’è. Però è una cosa che molto probabilmente esiste perché è stata tramandata. Non so esattamente da chi.
Ito: È una domanda un po’ difficile perché è molto soggettiva. Dall’idea della storia si prepara tutto. Da lì poi si sviluppano i personaggi, il character design. Per esempio vedendo JoJo, dalla prima parte all’ottava, si vede che lo stile di disegno è cambiato e anche chiaramente la storia. In ogni capitolo la storia è diversa e lo stile si è evoluto.
Ma probabilmente è una conseguenza anche dello sviluppo di un ottimo artista.
Ito: In realtà non l’ho seguito sempre io. Però, in virtù proprio di quanto detto prima sulla regolarità del sensei, devo dire che non è difficile seguirlo, anzi, lui è molto di aiuto, probabilmente è anche questo uno dei motivi per il quale il manga va avanti da 30 anni.
Ito: Anche io non lo so benissimo. Però non è che l’ho seguito io fin dall’inizio. Io forse sono il tredicesimo redattore, non mi ricordo bene il numero. Però come dicevo prima, in realtà il sensei è una persona che rispetta molto i suoi impegni, fa un lavoro regolare, e quindi non è difficile seguirlo. Anzi lui aiuta molto, il redattore con cui lavora.
Probabilmente questo è anche uno dei motivi per il quale il suo manga continua ad andare avanti così tanto.
Ito: A me non importa molto dell’influenza estera. La cosa importante, nel caso del sensei, è prendere ispirazione da cose particolari. Capita alle volte di prendere ispirazione al family restaurant da una persona che passa, che si siede accanto, magari vestita in maniera particolare. ‘Ah potremmo prendere ispirazione da quello’.
Il sensei, nei suoi viaggi all’estero, prende molte ispirazioni dalle sculture, dall’arte straniera, ma questo perché è una cosa non ordinaria per lui, è una cosa particolare. Quindi tutto quello che non è ordinario, tutto quello che è particolare, lo colpisce. Lui ne prende ispirazione e questo contribuisce a creare le idee del manga.
Araki: La prima ispirazione mi è venuta quando sono andato Museo Borghese a Roma e ho visto le statue di Apollo e Dafne del Bernini.
Quello che mi affascina è il movimento della torsione delle statue, le prime ispirazioni sono nate da queste sculture.
Araki: Vorrei spiegare perché ho fatto questi due disegni. Il secondo perché Giorno è il protagonista di Vento Aureo, il primo, ero un po’ indeciso, volevo capire quale era il personaggio che vi sarebbe più piaciuto.
All’inizio volevo disegnare Bucciarati, poi ho pensato, va bé facciamo Mista. Ancora ci sto un po’ pensando, forse, forse, stavo pensando a Bucciarati.
Araki: Sono molto contento che piacciano, perché cerco di disegnare l’ammirazione per l’essere umani, per gli uomini. Che è un po’ il tema delle mie opere.
Cerco di umanizzare molto questi personaggi, il fatto che vi piacciono per me è una cosa bellissima.
La moderatrice chiede in inglese se ci sono persone provenienti dall’estero che vogliono fare delle domande al maestro.
Una ragazza dalla Germania, in cosplay da Bucciarati, chiede se può dare un regalo al maestro, una riproduzione della Freccia e della Chiave di Coco Large, dalla quinta parte.
Il momento della consegna:
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Araki: Grazie è bellissima, sono molto contento.
Araki: Kira Yoshikage, lo stand di Killer Queen.
Araki: Jonathan probabilmente è diventato un personaggio così popolare perché combatteva contro forze estremamente potenti e malvagie, semplicemente con la sua forza, i suoi muscoli. Da Jotaro poi sono arrivati gli Stand, e quello probabilmente l’ha reso ancora più popolare.
Araki: Mi piace molto disegnare i personaggi cattivi. Tra i tanti il mio preferito è Dio.
Araki: Scusa, preferiresti che vincessero i cattivi? [Applausi].
Io credo nella giustizia, voglio credere nella giustizia, forse è per questo che alla fine i personaggi buoni trionfano alla fine.
Araki: Perché nel periodo in cui l’ho scritto, probabilmente andavano di più i personaggi maschili, quindi per quello è stato poi trasformato in un personaggio maschile.
Araki: Forse, l’avrebbe fatto meglio.
Ecco la foto ricordo con il pubblico:
Fonti Tokyo 2020, Natalie