Flash Gordon (FantaDoc)

Flash Gordon (FantaDoc)

Di DocManhattan

Giusto una settimana fa, parlando del cartone animato di Flash Gordon della Filmation, si diceva come a finanziarlo sia stato, indirettamente, anche il produttore Dino De Laurentiis, con i soldi pagati allo studio d’animazione di Lou Scheimer per avere alcuni diritti di distribuzione per il suo Flash Gordon. Il film di Mike Hodges del 1980. Quello che viene ricordato come un coloratissimo flop (sarà poi proprio così?) con Max von Sydow, Ornella Muti, Mariangela Melato, Timothy Dalton. E un attore biondo (per finta) ai ferri corti con la produzione. Com’è iniziata questa storia? Come tante altre storie di Hollywood: molti anni prima e con altri nomi. Come quello di Federico Fellini, o di un giovanotto californiano che avrebbe creato come ripiego Star Wars

STAR WARS, FELLINI E IL TRAUMA DI BARBARELLA

George Lucas ha cullato per anni il sogno di portare sul grande schermo le strisce a fumetti di Flash Gordon, il personaggio creato per il King Features Syndicate nel 1934 da Alex Raymond. Lucas era un fan, in particolare, del Flash Gordon del ’36, il serial cinematografico in 13 puntate realizzato con una pochezza di mezzi disarmante. Uno dei due film che Lucas vuole realizzare con la United Artists, dopo aver completato nel ’71 il suo primo lungometraggio, L’uomo che fuggì dal futuro (THX 1138) è American Graffiti, l’altro è proprio una pellicola su Flash Gordon. Ma non riesce a ottenere quei diritti, e perciò si crea una sua space opera, andando alle radici di quanto aveva ispirato lo stesso Raymond, e cioè le storie di John Carter di Marte, nel Ciclo di Barsoom di Edgar Rice Burroughs, e altri vecchi romanzi a base di amori e avventure cosmiche, come Lieut. Gullivar Jones: His Vacation di Edwin Lester Arnold (1905). Gli avessero comprato i diritti di Flash Gordon, la storia del cinema (di fantascienza e non), avrebbe avuto un corso completamente diverso.

Quei diritti sono in mano a De Laurentiis, dicevamo. Il produttore nato a Torre Annunziata e trasferitosi negli USA negli anni 70 ha da tempo in mente una versione per il grande schermo di Flash Gordon. E se si decide a rompere gli indugi è proprio per il successo planetario – guarda te – di Star Wars. Questo articolo de La Stampa, nel settembre del ’77, riporta quella che è una voce di corridoio che circola da tempo: Federico Fellini, quindici anni prima, si era offerto di girarglielo gratis, un film su quell’eroe dei fumetti da tanto amato dalla sua generazione. Il flop di Barbarella, nel ’68 (e quel “miliardo” lasciato per strada per il film cult con Jane Fonda), aveva spinto però il produttore a considerare quello dei film di fantascienza tratti dai fumetti un campo minato da cui tenersi lontano. Ma ora c’era un nuovo genere, là fuori, fatto di pellicole piene di avventura ed effetti speciali. E un nuovo pubblico stregato da quei film. Star Wars aveva conquistato il pianeta, Richard Donner si apprestava a portare in sala il suo Superman. Era ora di mettere in pista il vecchio Flash. Altro corto circuito: nel cartoon Filmation, lanciato nel ’79, anche quello per seguire la scia di Star Wars, la principessa Aura è ritratta spesso in pose alla Barbarella.

FLASH! AH-AH!

Per dirigere il suo film, De Laurentiis ingaggia Nicolas Roeg, il regista che aveva trasformato l’incommensurabile David Bowie in un alieno anche al cinema, con L’uomo che cadde sulla Terra (1976). Roeg è un altro dei fan dei fumetti di Raymond da aggiungere alla lista, e lavora alla pre-produzione per un anno. Ma a De Laurentiis non piace quello che ne viene fuori. Il produttore si rivolge così al grande Sergio Leone, che però vorrebbe un Flash Gordon più prossimo a quello delle strisce, più avventuroso, meno ironico. Non se ne fa niente. Alla fine De Laurentiis si accorda con lo sceneggiatore e regista Mike Hodges, quello di Get Carter con Michael Caine, e affida il copione a Lorenzo Semple Jr., che aveva scritto i primi episodi del Batman televisivo del ’66 e alcune puntate del Calabrone Verde, prima di firmare le sceneggiature di alcune pellicole di grande successo negli anni 70 (Papillon, I tre giorni del Condor, King Kong), le ultime delle quali proprio per De Laurentiis.

Quanto al cast, il protagonista è Sam J. Jones, un ex giocatore di football semi-professionista, la cui unica esperienza sul grande schermo è 10, la commedia di Blake Edwards del ’79. Dale Arden è Melody Anderson, attrice canadese ai tempi attiva soprattutto in TV (Battlestar Galactica, Dallas, T. J. Hooker, CHiPs… è apparsa anche nell’episodio pilota dell‘A-Team), il perfido Ming un compassatissimo Max von Sydow. Zarkov è l’israeliano Topol, Vultan è Brian Blessed, il principe Barin il futuro 007 Timothy Dalton. E Richard O’Brien è Fico. Nel senso che il suo personaggio si chiamava proprio così. Ma chiedete a ogni italiano che ha visto Flash Gordon, e del film ricorderà soprattutto la bellezza ipnotica di Ornella Muti (Principessa Aura), Mariangela Melato… e probabilmente la maglietta con il logo del film.

Freddie Mercury, visto che la colonna sonora l’avevano firmata i Queen, ne indossava una uguale, sulle spalle di un roadie vestito da Darth Vader, in uno storico concerto al Budokan di Tokyo, nell’81. Gli valse una lettera degli avvocati di Lucas, che gli chiedevano di non farla mai più, quella cosa di Darth Vader. Nel documentario Life After Flash, Lisa Downs ricorda che quando fu proposto a De Laurentiis di usare le canzoni dei Queen per il film, il produttore rispose “Ok, incontrerò questi Queen”, perché non aveva idea di chi fossero. Ah, Fellini alla fine, nel film, c’era: ma era solo il, uh, nano di compagnia di Aura, interpretato da Deep Roy, a cui avevano dato questo nome in omaggio al grande regista.

FLASH DAGLI OCCHI NON BLU

Se il serial di Flash Gordon del ’36 era stato girato dalla Universal con gli scarti di altre produzioni – soprattutto della commedia fantascientifica della Fox I prodigi del 2000 (Just Imagine) – per questo nuovo film non si bada a spese. Il budget, secondo alcune fonti, si gonfia fino a superare abbondantemente i 20-25 milioni di dollari. Sul set praticamente tutti gli attori, tranne Max von Sydow, vengono seguiti da acting coach, perché alcuni non sono di madre lingua inglese e altri, come Jones, sono alle prime armi. Proprio Jones dirà in un’intervista che il suo coach gli stava talmente incollato addosso che gli sembrava “di recitare per lui, non per il regista”. Ma il coach e i problemi con trucco e parrucco – oltre a farlo biondo, hanno provato a lungo e invano a infilargli un paio di lenti a contatto colorate per rendergli gli occhi blu, ma l’attore non le sopportava – sono il meno. Verso la fine delle riprese il rapporto tra Sam J. Jones e la produzione va in frantumi. L’attore minaccia di mollare, viene firmato al volo un nuovo contratto, ma sono solo i primi colpi di una guerra legale che si protrarrà per mesi, rendendo impossibile, a prescindere dal risultato al botteghino, un secondo film con lui come protagonista. Partono cause e controcause, per cachet non pagati e impegni contrattuali non rispettati. Sulle pagine di Variety volano gli stracci.

ARBORIA È BELLA, MA NON SO SE CI GIREREI

Flash Gordon debutta negli USA il 5 dicembre del 1980. Parte della critica lo trova comprensibilmente troppo campy, soprattutto per quei lontani cugini del Dottor Destino con i mascheroni dorati e le sue scenografie da superpuntata di Fantastico, ma non mancano le recensioni positive. Come quella del celebre e temuto Roger Ebert, o quella del The New Yorker. In Italia arriva in sala pochi giorni dopo, l’11 dicembre. È uno di quei film con la fama da superflop, Flash Gordon, ma in realtà riesce a recuperare probabilmente i soldi investiti: nei soli USA incassa 27 milioni di dollari, va benino anche in altri mercati, come quello italiano, trainato dalla presenza della Muti. Negli anni, come tante pellicole dell’epoca, si ritaglia il suo status di pellicola cult, ma quel che è certo è che non è il successo epocale che la produzione spera, e che in tante cose avrebbe potuto essere una pellicola migliore. Lo dicono anche, subito dopo, le persone coinvolte nella sua realizzazione.

In un’intervista su Starlog dell’83, Lorenzo Semple Jr. riconosce che il suo copione non era esattamente materiale da Leone d’oro e se la prende, beh, un po’ con tutti, a partire dallo scenografo Danilo Donati, che ai tempi aveva già portato a casa due Oscar, per Romeo e Giulietta di Zeffirelli e Il Casanova di Fellini: “La confusione totale del film era secondo me anche colpa del direttore artistico, Donati, che non ha mai letto il copione e lavorava di testa sua. Progettando dei set fantastici, ma che non avevano nulla a che fare con la storia ed erano difficili da utilizzare. Ha fatto spendere un milione di dollari per il set di Arboria, che è servito per una sola scena. Dino lo considera un genio, e lo è, ma quando lavora con registi altrettanto visionari come Federico Fellini”. In quella stessa intervista, Semple ricorda anche di aver sbagliato a seguire l’approccio umoristico voluto da De Laurentiis, perché durante le riprese non si riusciva a decidere se girare quelle scene con un tono serio o ironico. Il fatto che Jones fosse un attore “davvero terribile”, non incoraggiava “a sforzarsi di fare di meglio. E l’intero film andò fuori controllo”. E si nota, eh.

De Laurentiis non si sarebbe però arreso. Avrebbe cercato altrove il suo eroe, trovandolo infine, qualche mese dopo, in un austriaco nerboruto trasformato in un cimmero che invita il suo dio alla malora. Una storia di cui qui nella FantaDoc Tower ci siamo già occupati, con i suoi inquietanti retroscena a base di cani e cammelli troppo aggressivi

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