“La principessa Sapphire, sai le battaglie che fa. Con la sua spada sguainata lei va, e i manigoldi vincerà”, recitava l’indimenticabile sigla dell’anime della Principessa Zaffiro. Serie animata storica in Giappone, arrivata da noi con oltre vent’anni di ritardo. Giusto in tempo per apprezzare il prototipo, il primo di una serie di personaggi simili, venuti dal Giappone, che avrebbero calcato l’etere in quegli e negli anni successivi…
Ribon no kishi, cioè “il cavaliere del nastro”, va in onda per la prima volta in Giappone il 2 aprile del ’67, e prosegue la sua programmazione per un anno intero, ogni domenica pomeriggio: 52 puntate che si chiudono il 7 aprile del ’68. Trasmessa da Fuji TV, la serie è realizzata da Mushi Production, compagnia fondata nel ’61 dal “dio dei manga”, Osamu Tezuka, per fare concorrenza al suo ex datore di lavoro, la Toei. L’avventura di quella Mushi durerà giusto una decina d’anni, e l’azienda chiuderà sommersa dai debiti nel ’73. Ma sono anni che a Tezuka bastano e avanzano per fare la storia degli anime, con la prima serie animata di successo per la TV, trasmessa anche all’estero (Tetsuwan Atom, alias Astro Boy, ’63-’66). In Italia, la storia della principessa Sapphire (Zaffiro), coraggiosa spadaccina di Silverland accompagnata da un angioletto che si trova sulla Terra in punizione e dal destriero bianco Opale, arriva solo nell’80, sulle TV locali, per approdare poi su Italia 1 un paio d’anni dopo. La prima voce della principessa Zaffiro è di Paola del Bosco (Nausicaä della Valle del vento, Il magico mondo di Gigi) e la seconda di Laura Boccanera; quella della Regina di Eva Ricca (Wonder Woman), dell’angelo Choppy/Tink di Emy Eco.
La principessa Zaffiro nasce come un manga dello stesso Osamu Tezuka nel gennaio del ’53, sul magazine Shojo Club della Kodansha. Un manga la cui storia è diversa in molti punti rispetto alla sua successiva trasposizione animata, e che era estremamente popolare tra le ragazze giapponesi dell’epoca. È stato serializzato per tre anni e seguito da altri tre cicli di storie, sempre pubblicati da Kodansha: nel ’58, nel ’63 e nel ’67. La versione del ’63 era in realtà un remake del manga originale, mentre quella del ’67 una storia di fantascienza, scritta da Tezuka e illustrata da Hideaki Kitano. Il manga della Principessa Zaffiro nella versione del ’63 è stato pubblicato da noi da Hazard Edizioni, in tre volumi. J-Pop ne ha annunciato, durante la scorsa edizione di Lucca Comics & Games, una nuova edizione, in arrivo prossimamente.
La principessa Zaffiro è, come tante altre opere di Tezuka, la prima esponente di un nuovo genere. Nel corso degli anni, i critici si sono divisi sulla vera natura del personaggio: c’è chi ha visto in Zaffiro semplicemente un’eroina tosta, in un mondo di eroi uomini, e chi invece nella figura della ragazza costretta a comportarsi da maschiaccio ha visto la misoginia del Giappone di quei tempi (non molto diversa dalla misoginia del Giappone di oggi, ma quella è un’altra storia). Sia quel che sia, Zaffiro mostra che anche una ragazza può essere una paladina della giustizia e far tremare i cattivi. È, del resto, proprio per questo che Tezuka l’ha creata su carta: la Kodansha gli aveva chiesto un personaggio in grado di replicare, per il pubblico femminile, il successo che i suoi personaggi riscuotevano presso quello maschile.
La principessa Zaffiro spalanca così la porta a una serie di eroine in abiti e atteggiamenti maschili, a cominciare ovviamente da Lady Oscar (Versailles no Bara), il cui manga è del ’72, e in altre opere come La spada di Paros (manga dell’86 della Yumiko Igarashi di Candy Candy e Georgie) o La rivoluzione di Utena. Proprio il carattere di novità rappresentato da La principessa Zaffiro si rivelò un ostacolo per la sua diffusione in alcuni paesi. La statunitense NBC aveva trasmesso Astro Boy ed era ovviamente interessata ad altre produzioni firmate da Tezuka. Ma i suoi dirigenti credettero che Zaffiro sarebbe stata vista come un personaggio che aveva cambiato sesso, e questo in un programma per bambini non andava bene. La NBC rifiutò l’accordo, la serie (ribattezza per il mercato internazionale Princess Knight), restò senza acquirente. Ma solo per poco. Appassionatosi alle vicende di Zaffiro, l’animatore Joe Oriolo (Felix the Cat, Casper il fantasmino) ne comprò i diritti e realizzò un film di montaggio dei primi episodi, distribuito sulle TV private USA a inizio anni 70 con il titolo di Choppy and the Princess.
Il primo adattamento del manga di Tezuka non è stato però la serie TV. Per il summenzionato successo del fumetto, già nel ’55 venne realizzato un radiodramma di Ribon no kishi. La principessa Zaffiro divenne così una serie di 115 puntate da 15 minuti l’una, in cui la voce della protagonista era quella di Kazue Takahashi. Tra le altre cose, doppiatrice di Shotaro Kaneda, il ragazzino che pilotava uno dei primi robot giganti in Tetsujin 28-go. Quella popolarità non è mai scemata del tutto, nel corso degli anni, e ha dato vita anche a varie trasposizioni teatrali della storia, compresi due musical negli ultimi quindici anni (2006 e 2015). Un ritorno al teatro, visto che da quei palchi, in buona sostanza, era arrivata l’idea alla base di tutto.
Quando quell’editor della Kodansha gli aveva chiesto un’eroina per il suo nuovo manga, Osamu Tezuka aveva infatti guardato al teatro tutto al femminile della compagnia Takarazuka Revue (ne abbiamo parlato qui). L’autore aveva vissuto proprio a Takarazuka da ragazzo, dove aveva assistito a molti loro spettacoli, e da questi prese ispirazione. Zaffiro veniva dalla dansō no reijin, cioè la figura classica, nelle opere della compagnia, della bella ragazza in abiti maschili. Il Principe Franz/Franco di Goldland era ispirato a un’attrice famosa della Takarazuka Revue, Yachiyo Kasugano. L’angelo Choppy/Tink alla versione di Nobuko Otowa di Puck nel loro Sogno di una notte di mezza estate, come spiegato da Natsu Onoda Power nel suo libro su Tezuka intitolato God of Comics: Osamu Tezuka and the Creation of Post-World War II Manga.
Oltre alla serie TV del ’67 (di cui la Mushi aveva realizzato, un anno prima, un episodio pilota dal tono differente e con una storia più prossima al manga), esiste anche un’altra trasposizione animata della principezza Zaffiro. Si tratta di un cortometraggio di circa 8 minuti realizzato per il Tezuka Osamu World a Kyoto, nel ’99, cioè circa trent’anni dopo la fine della serie TV. Il corto può essere recuperato su YouTube. In seguito, a metà degli anni Duemila, venne messo in cantiere un lungometraggio animato da far uscire nel 2008, per quello che sarebbe stato l’ottantesimo compleanno di Tezuka (scomparso nell’89). Ne è stato realizzato un breve filmato dimostrativo, diretto dal veterano Gisaburō Sugii (vecchio amico e collaboratore di Tezuka ai tempi della Mushi), ma la cosa non è poi andata in porto.
In porto, invece, c’è andato nello stesso anno l’inquietante remake a fumetti di Ribon no kishi. Dal maggio del 2008 al giugno del 2009 è stata pubblicata sulla rivista Nakayoshi una rivisitazione della storia originale, scritta da Natsuko Takahashi e illustrata da Pink Hanamori (la disegnatrice di Mermaid Melody – Principesse sirene. Si vede, eh?) Nel 2013, sul magazine online Puratto Home, è iniziata la serializzazione di un altro reboot, Re:Born: Kamen no Otoko to Ribon no Kishi. Disegnato da Shōko Fukaki, si è concluso nel 2015.
“Ai ferri corti col perfido zio, e vorrei aiutarla anch’io”. L’ipnotica sigla italiana, “La principessa Sapphire”, venne incisa su un 45 giri Fonit Cetra nell’80. Il lato B conteneva la versione strumentale dello stesso brano. Scritta da Luigi Albertelli (testo) e Corrado Castellari (musica), e arrangiata da Vince Tempera, era cantata da “I cavalieri di Silverland”, cioè lo stesso Castellari, Silvio Pozzoli (corista, e in seguito autore di brani dance e interprete della sigla della Ruota della fortuna) e da un trentenne che aveva già fatto da corista in altre sigle di Tempera e Albertelli, come “Ufo Robot” e “Capitan Harlock”. Il suo nome era Marco Ferradini, e un anno dopo la sua “Teorema” avrebbe insegnato a tutta l’Italia la dura legge dell’amore. Cioè, a tutta l’Italia tranne a Giacomo di Aldo, Giovanni e Giacomo.