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Watchmen: perché la serie HBO è la migliore del 2019!

Pubblicato il 24 dicembre 2019 di blogmaster

Il compito affidato dall’emittente HBO a Damon Lindelof, già showrunner di Lost e The Leftovers, aveva dell’impossibile: realizzare un sequel televisivo della graphic novel Watchmen, fumetto di culto scritto da Alan Moore. Eppure, nonostante qualche piccolo tentennamento, il miracolo è avvenuto. Seguendo una ricetta in apparenza semplice, ma che ha bisogno delle mani di un cuoco sopraffino per risultare davvero appetitosa: rispettare il passato, cercando al contempo di proporre qualcosa di nuovo.

Un inizio difficile

In effetti, le prime battute della serie HBO possono lasciare disorientati i lettori del capolavoro di Moore. Il setting è completamente diverso, la storia appare molto personale e poco “globale”, e su ogni aspetto della narrazione regna incontrastato il tema del razzismo. Un argomento non del tutto fuori posto, se consideriamo che le vicende del Watchmen a fumetti toccavano anche la paura per l’ignoto e il diverso, ma che non era mai stato reso così esplicito e dichiarato.

Eppure, si tratta di una naturale progressione ed estensione. Se durante la Guerra Fredda la minaccia incombente era rappresentata dall’olocausto nucleare, nel 2019 il mondo è attraversato da correnti estremiste che appaiono come rigurgiti di un passato da dimenticare. Così, l’orologio ricomincia a ticchettare, e per fermarlo sarà necessario lo sforzo congiunto di vecchi e nuovi personaggi.

Una sceneggiatura di ferro

Il vero punto di forza dell’operazione è il fondamento su cui dovrebbe poggiare ogni buona opera di narrativa: la scrittura. Lindelof è riuscito a infondere, nelle nove puntate che compongono la serie, lo spirito grottesco che caratterizzava soprattutto il finale dell’opera originale. Un elemento rigettato dalla trasposizione cinematografica di Zack Snyder, e che qui ritrova il suo posto in maniera perfettamente bilanciata. Come tutto dovrebbe essere, direbbe qualcuno. Non stupisce, dunque, vedere momenti di crudo realismo alternati a sequenze sopra le righe, eppure magnetiche.

Quinta e settima puntata, in particolare, compongono un dittico capace di rivaleggiare con i momenti più alti del fumetto. Il tutto, senza rinunciare alla messa in scena tipica del nuovo medium di destinazione. Senza rinunciare neppure ad un cast davvero all’altezza, e che vede come ciliegina sulla torta il titanico Jeremy Irons. Il suo Ozymandias potrebbe fare storcere il naso ai puristi, ma sotto la superficie eccentrica emergono fragilità capaci di rendere ancora più sfaccettato un personaggio già affascinante.

Novizi e veterani

Da lodare, inoltre, il tentativo spasmodico di rendere il prodotto accessibile anche a chi, di Watchmen, non aveva mai sentito parlare prima d’ora. Certo, chi conosce la graphic novel apprezzerà maggiormente i riferimenti, coglierà alcuni indizi al volo e vivrà con più trasposto diverse situazioni. Ciononostante, alcuni momenti espositivi perfettamente contestualizzati consentono a chiunque di restare al passo. I misteri sono tali per qualsiasi tipo di spettatore. I momenti di grande televisione che punteggiano le diverse puntate, anche.

Non tutto è perfetto, certo. Il finale risulta un pò troppo affrettato, e forse qualche episodio in più avrebbe giovato per esplorare ancora meglio le sfaccettature del microcosmo di Tulsa. Al termine, poi, il disorientamento che aveva caratterizzato l’incipit ritorna a farsi strada. Un sovvertimento delle aspettative che potrebbe risultare indigesto. Il cinismo e la rassegnazione del fumetto lasciano il posto all’ottimismo e alla speranza. Un colpo di coda che crea qualche stonatura nella melodia, ma che conclude il discorso intrapreso da Lindelof in modo coerente.

Il diritto di sbagliare

Laddove l’opera di Alan Moore rappresentava la fine dell’innocenza, la disillusione e la decostruzione del mito supereroistico, la serie HBO cerca di ricostruire, di mettere insieme i pezzi e di lanciarsi verso il futuro in modo propositivo. Senza rinunciare del tutto all’ambiguità, e soprattutto al diritto di sbagliare. Se nel 1986, quando Watchmen venne pubblicato, risultava straniante proporre un finale che faceva dei toni di grigio e del compromesso il suo punto di forza, nel 2019 è invece coraggioso optare per un tono più caloroso e per risvolti più lieti. Forse proprio in questa rottura del canone imperante risiede il più grande omaggio allo spirito sovversivo di Moore.