Cinema roberto recchioni Recensioni Star Wars
La “pezza a colori”, è così che a Napoli si definisce quando qualcuno cerca di riparare una situazione ma, così facendo, non fa altro che sottolineare ancor di più il problema.
Quella toppa colorata che metti sullo strappo di un abito e che non fa altro che far risaltare ancor di più che l’abito è strappato.
Diciamolo subito: L’ascesa di Skywalker è, senza alcuno dubbio, una pezza a colori. Il tentativo in extremis di J.J. Ambrams di sistemare tutte le cose che non sono andate nella travagliata produzione della terza trilogia di Star Wars. Di giustificare. Di dare un senso. Di far conciliare cose che conciliabili non sono. Di dire una cosa e, nello stesso tempo, di dirne anche un’altra. Di tornare sui propri passi cercando però di non dire che i passi fatti fino a quel punto sono stati tutti nella direzione sbagliata. È una patch di un videogioco.
E questa è una maniera di vederla.
Ed è la maniera in cui la vedranno tutti quelli che hanno deciso che “la Disney ha rovinato Star Wars” o che “i nuovi film sono scritti dall’ufficio del marketing che ha cambiato idea a seconda della reazione dei fan”.
E, sia chiaro, è un modo di vedere le cose abbastanza lecito, basato su fatti reali.
È vero, per esempio, che non c’è stata alcuna pianificazione a monte nel concepimento di questa nuova trilogia e che si è deciso di elaborare ogni film in base alle reazioni e alle emozioni suscitate dal capitolo precedente.
Episodio VII è stato un successo al botteghino ma in tanti hanno criticato il fatto che non fosse altro che un remake povero di Episodio IV e c’è un forte “sentiment” che indica che il pubblico voglia andare oltre al classico Star Wars?
E allora, fuori Abrams e dentro Ryan Johnson, che ha idee fresche e coraggio e che saprà portarci su percorsi inediti. E poco importa se i suoi progetti sconfessano quanto fatto e detto dal capitolo precedente perché è questo che vuole il pubblico. Mica vorremo fare come Lucas che, a forza di seguire la “sua visione”, si è fatto nemico proprio quel popolo che lo adorava, no?
Ma se il nuovo film va molto meno bene del precedente e queste idee “fresche e nuove” sono rigettate dalla fan base? Se il sentiment del web ci si rivolta contro al grido di “questo non è il vero Star Wars!”? Cosa facciamo, in quel caso?
Ci facciamo prendere dalla paura e richiamiamo Abrams, chiaro! E, in ginocchio sui ceci, gli chiediamo di fare il miracolo e di ricucire da dove aveva lasciato, trovando una qualche maniera per integrare dentro quanto è stato fatto in mezzo (contraddicendolo, pure, non è importante), e infilando la quantità di roba che sarebbe bastata per fare due film e mezzo, in una sola pellicola.
Tutta roba vera, non lo metto in dubbio.
Come non metto in dubbio che, sempre a voler essere cinici, tutta l’operazione condotta in porto e arrivata in questi giorni nelle sale cinematografiche è posticcia, artefatta e, a tratti, molto goffa.
Ma c’è anche un’altra maniera per vedere la cosa: il kintsugi.
In Giappone c’è questa antichissima pratica di riparare le preziose ceramiche con un filo d’oro, facendole diventare più preziose di quanto fossero in origine perché nell’essersi spezzate e poi ricostruite si trova la loro forza, il loro valore aggiunto. E le cicatrici sono la loro forza, non la loro debolezza. Episodio IX rappresenta esattamente questo: un qualcosa di enormemente prezioso che è stato danneggiato e infranto e che è stato ricostruito, lasciando ben in evidenza tutti i punti di frattura, facendone un vanto e una forza, non un qualcosa di cui vergognarsi.
Non è un caso che Ambrams ripari il casco di Kylo Ren proprio con questa tecnica, del resto.
E quindi, è un film furbo e ruffiano? Assolutamente sì.
È pieno di strizzate d’occhio ai “veri fan” e di “scusate, abbiamo capito la lezione, adesso facciamo come dite voi, basta che poggiate a terra quel blaster”? Sì.
È un film che si rimangia il poco di buono e coraggioso che Johnson aveva messo in campo con Episodio VIII? Anche, ed è la sua peggiore colpa.
Ma è un Star Wars.
Lo è nel divertimento.
Nella spettacolarità della messa in scena.
Nella potenza delle immagini (davvero, davvero, splendide).
Nell’amore che sa suscitare in personaggi di cui, fino a questo punto, non fregava nulla a nessuno.
Nel ritmo.
Nel suo senso di epicità.
Nella sua capacità di evocare meraviglia e stupore.
Nella regia (Abrams si è innamorato di George Miller e si vede tantissimo).
Nella colonna sonora (indovinate? Sì, tornano tutti i temi di John Williams, sparati al massimo del volume possibile).
E, soprattutto, nei sentimenti.
Tanti sentimenti. Così ben serviti che, in due momenti, sono venuti gli occhi lucidi anche a me, che ho il cuore ferito di un amante tradito, quando si parla di Star Wars.
Questo film è un grande Star Wars. Uno vero.
E ha i suoi difetti (come tutti gli Star Wars, anche i migliori).
E va benissimo così.
La Forza scorre ancora potente.
E lo farà sempre.
P.S.
Il film trova anche il tempo di aggiustare la più grande ingiustizia della saga messa in scena in Episodio IV. Sarò sempre grato a Abrams per questo.
P.P.S.
Mi vedo costretto a riformulare la mia classifica degli Star Wars cinematografici in senso assoluto.
Ve la posto qui di seguito. Fateci conoscere le vostre.