Clint Eastwood ha perso definitivamente fiducia nel sistema americano. Se mai l’ha veramente avuta, oseremmo scrivere: a ben guardare molti dei suoi film mettono in scena il singolo individuo che attraverso soltanto le proprie forze e i propri valori morali si batte contro il potere (solo apparentemente) soverchiante dello status quo. Pensate ai suoi western più riusciti, da Il texano dagli occhi di ghiaccio a Il cavaliere pallido.
Negli ultimi anni questo discorso si è fatto ancora più nichilista, dal momento che l’autore ha cominciato a raccontare storie vere di uomini diventati “vittime” di un apparato governativo che non tutela più la libertà e il valore del cittadino ma esclusivamente i propri interessi (politici, economici o sociali poco importa). Prima Amenican Sniper e Sully, adesso Richard Jewell lo testimoniano. Il suo ultimo film è però ancora più emozionante dei precedenti perché al centro della vicenda stavolta c’è un “Signor Nessuno”: un trentatreenne che vive ancora con la madre, che non è riuscito a entrare nelle forze dell’ordine e si ritrova a essere addetto alla sicurezza durante i concerti delle Olimpiadi del 1996. Richard Jewell è uno che spesso prende troppo seriamente il proprio lavoro, mosso dal desiderio genuino di voler proteggere e servire; è uno che in casa ha svariate armi da fuoco, perché vive ad Atlanta, Georgia, dove tutti ne posseggono. Eastwood non vuole nascondere le ambiguità del personaggio, al contrario lo rende esplicitamente contradditorio per avvalorare la sua idea di partenza: l’essere umano non deve necessariamente essere integerrimo, un “modello”, per meritare la protezione e la giustizia degli organi che lo governano.
La forza del suo ultimo lungometraggio è poi anche quella di non fare del protagonista una vittima: per il cineasta la cosa più importante è raccontare l’integrità incrollabile, se vogliamo anche ingenua e ottusa di un uomo che segue la propria coscienza, mentre coloro che dovrebbero essere responsabili e custodi del benessere comune hanno altri obiettivi. Nel percorso di delineazione della figura principale Richard Jewell è un lungometraggio sia toccante che lucido nella definizione della psicologia dell’antieroe. La bella fotografia di Yves Bélanger aggiunge poi, soprattutto nella seconda parte, quel tocco di malinconia autunnale che è diventata la cifra stilistica del regista de Gli spietati e Mystic River. Come regista di attori Eastwood si dimostra come sempre capace di permettere ai suoi interpreti di dare spessore emotivo ai suoi personaggi comuni. E Kathy Bates, Sam Rockwell e un emozionante Paul Walter Hauser lo ripagano al meglio. Dove invece Richard Jewell sbanda vistosamente è nella scrittura degli “antagonisti”: il personaggio della giornalista Kathy Scruggs interpretata da Olivia Wilde è oggettivamente grossolano, delineato in maniera sommaria e retorica, così come almeno un paio di scene che descrivono le indagini volte a incolpare o scagionare Jewell sono piuttosto deboli dal punto di vista logico.
Non è un film perfetto Richard Jewell, tutt’altro. Ma colpisce con enorme forza emotiva nel mettere in scena l’uomo comune, la bonaria e inoffensiva guardia di sicurezza che le persone salutano distrattamente quando magari entrano in un centro commerciale. Eppure quell’uomo e il suo senso del dovere salvarono decine di vite umane, per poi essere arrostito dai media e dall’FBI. Eastwood mette in scena tutto questo con semplicità, puntando ai dettagli che restituiscono allo spettatore un senso di familiarità capace di arrivare dritto al cuore. E così anche il semplice gesto di mangiare una ciambella può diventare carico di emozione…