È un film-manifesto prima di tutto, Queen & Slim. Vuole programmaticamente mettere in scena gli stereotipi, i luoghi comuni che il cinema ha cementato nell’immaginario collettivo riguardo la cultura nera americana. Il viaggio intrapreso dai due fuggitivi protagonisti si trasforma in un percorso a tappe volutamente definito dalla sceneggiatura di Lena Waithe, dove ogni sosta rappresenta un aspetto dell’essere afroamericani. L’intento che il lungometraggio sviluppa non è quello di contestare questi luoghi comuni, ma di trovare la verità e soprattutto l’umanità dietro di essi. La regista esordiente Melina Matsoukas infatti compone questo puzzle socio-psicologico come un dramma ostentato forse ma certamente pulsante, carico di emozioni impossibili da evitare. In più di una sequenza Queen e Slim si trovano dentro contesti e situazioni che abbiamo già visto innumerevoli volte sul grande schermo, ma raramente con tale intensità emotiva; basta vivere sulla propria pelle la scena in cui i due decidono di concedersi un ballo nel locale di campagna: un momento di cinema privo di originalità ma assolutamente carico di forza e passione.
La forza primaria del lavoro della Matsoukas è quella di non aver paura di adoperare il genere per arrivare al cuore dello spettatore. Queen & Slim possiede in tutto e per tutto la forma del melodramma, conseguentemente a livello estetico la regista non si tira indietro quando si tratta di esporre le emozioni. Eppure allo stesso tempo la messa in scena sa rivelarsi sensibile, gentile nella rappresentazione, pur attraverso delle scelte visive cariche della presenza dell’autrice stessa. Vi sono momenti in cui Queen & Slim è impregnato di una disperazione o di una violenza fisica e psicologica che rimandano direttamente al cinema degli anni ’70.
C’è ancora un tipo di cinema capace di scuotere, perfino di scioccare senza essere necessariamente scioccante. Queen & Slim è uno di questi film, molto più complesso di quanto la sua forma filmica esplicitamente sfrontata racconta. Non è un’apologia accorata né una critica monotematica su cosa sia o cosa significhi essere neri in America oggi. È una parabola che, come scritto in precedenza, lavora sui luoghi comuni per mostrarne l’ambiguità ma anche ad esempio il valore morale. È un film su esseri umani, con le loro scelte sbagliate, il loro passato doloroso, il loro futuro incerto. Melina Matsoukas mette in scena tutto questo sfruttando principalmente la grande energia liberata dai due protagonisti Daniel Kaluuya e Jodie Turner-Smith, che si compenetrano magnificamente sfruttando la recitazione trattenuta di lui e la potente fisicità dell’attrice. Se nel corso della storia Queen e Slim da esseri umani sfaccettati si trasformano gradualmente in emblemi, è anche grazie a loro due. Un film che fa male, ma che deve essere visto.