La nuova favola natalizia scaturita dalla coppia inedita formata dal regista Paul Feig e dalla sceneggiatrice/attrice Emma Thompson funziona su due livelli ben precisi, che si intersecano tra loro con armonia formando una miscela cinematografica soltanto apparentemente realizzata per un consumo superficiale.
Prima di tutto Last Christmas è un “feel-good movie”, e difficilmente poteva essere altrimenti viste le premesse: la giovane Katerina (Emilia Clarke), figlia di immigrati venuti a vivere a Londra a causa del conflitto nella ex-Jugoslavia, ha perso se stessa dopo aver subito un trapianto di cuore. Incapace di essere affidabile, la ragazza passa le giornate tra il suo lavoro come commessa in un negozio che vende addobbi natalizi e audizioni per musical nel West End. L’incontro con l’affascinante e affidabile Tom (Henry Golding) le cambierà la vita e la aprirà all’idea che aiutare il prossimo può senz’altro aiutarti a tornare sulla retta via.
Last Christmas è una favola dalla trama leggera, quasi impalpabile, che si rivela però precisa al fine di supportare le qualità di attrice della Clarke, assolutamente spigliata nell’impersonare una figura femminile che tenta di vivere con leggerezza e positività situazione emotiva e psicologica che invece leggera proprio non è. È la star esplosa con Game of Thrones il centro del film, frizzante e soavemente svagato, qualcuno con cui ci si può immedesimare con facilità assoluta. La love-story romantica con Tom si sviluppa in maniera coerente e ampiamente prevedibile, ma poco importa: Last Christmas non è il tipo di prodotto che vuole – e soprattutto deve – intrigare lo spettatore con colpi di scena o personaggi complessi. Il suo scopo è coccolare il cuore del pubblico, regalargli un’ora e quaranta di buoni sentimenti espressi attraverso uno spettacolo coerente nella sua semplicità. E qui entra in gioco il secondo livello di lettura del film, che non esitiamo a definire esplicitamente “politico”.
Esatto, perché in piena epoca di Brexit e di estremismi xenofobi, Last Christmas mette in scena l’idea fondamentale che una comunità coesa, salda, empatica, stretta intorno ai singoli individui maggiormente bisognosi, è una comunità in piena salute. A prescindere dall’etnia e dal livello sociale. La sceneggiatura scritta dalla Thompson insieme a Bryony Kimmings mette in scena persone comuni, che stentano ma si impegnano a rendere la vita migliore per coloro che gli sono vicino, per quelli con cui condividono un’esistenza non sempre appagante, tutt’altro.
Il melting pot rappresentato dal film di Paul Feig – cineasta che sa essere leggero e insieme sottilmente arguto – è variegato, incerto, volenteroso, vitale. Imperfetto anche nella sua dimensione favolistica, che poi è ciò che il film vuole essere, ma capace di restituire agli spettatori un senso di umana dignità che è ciò di cui oggi probabilmente si ha disperatamente bisogno. Dietro la confezione scanzonata ed edificante Last Christmas ha dunque un messaggio molto preciso e importante da consegnare a tutti noi. E dovremmo seriamente farlo nostro…